Dunque, perché siamo qua? Perché ne stiamo parlando? Prima di tutto, e non mi sento di vantarmene, perché ho l’abbonamento a Discovery Plus. Questo significa che dalla piccolezza del mio PC ho visto diversi programmi discutibili (ma attenzione: è appena comparsa una docuserie sulle Spice Girls che potrebbe animare anche gli spiriti più scettici) e tra questi, uno in particolar modo, Wild Teens “contadini in erba”.
Mi prendo il merito e il demerito di farvi scoprire questa piccola perla per diverse ragioni. La prima è che parla di campagna, e Dio solo sa quanto va di moda la campagna adesso e l’idea di fare i contadini (per gioco, si intende), immergendosi nel realismo della sveglia alle cinque del mattino, della vita rurale come unica alternativa, come Via dalla pazza folla avrebbe titolato Thomas Hardy, delle montagne di sterco, la camicia a quadri, il grembiule di jeans. Tutte cose che, lo dico senza remore, hanno su di me un certo effetto.
E quindi è con l’animo onesto e curioso, forzatamente privo della posa intellettualoide di chi vive come un topo di città tra riviste indipendenti sparse sul sedile di un divano finto scandinavo, che mi sono approcciata alla visione di questo reality appena sbarcato su Discovery Plus. Wild Teens è l’esperienza diluita in puntate di un gruppo di 12 adolescenti, spediti dai propri genitori a lavorare in una cascina. Ogni ragazzo e ogni ragazza ha una caratteristica, alcune per lo più improbabili: c’è la ragazza con milioni di follower su Tik Tok, c’è l’artista di Palermo, il bellone col riccio biondo, lo scapestrato col piercing al sopracciglio, il pugliese sottotitolato (giuro, è sottotitolato), la toscana a cui piace stalkerare i ragazzi su Instagram (è una professione? Un hobby?), e poi il mio preferito, Biagio, il ragazzo che segue l’andamento dei mercati sul cellulare.
È un crescendo di assurdità che comunque ha una logica, per quanto fastidiosa: tutti, dall’artista al broker, vengono presentati come dei cretini a cui la vita di campagna darà una raddrizzata. Attraverso una serie di domande e risposte assurde (“Che verso fa il maiale? Nitrisce!“) questa inadeguatezza viene spinta fino ai limiti e i ragazzi e le ragazze, non lo dico senza un po’ di tenerezza e di stizzimento, vengono ridicolizzati fino all’esasperazione.
Tutto ha un senso, dicevo, perché solo nella vita di campagna impareranno qualcosa: il senso della vita, il lavoro di squadra, l’importanza del lavoro. Ogni tre parole la quarta è “fatica” secondo uno stilema abbastanza retorico e stratificato: la vita di campagna è dura, stare tutto il giorno con il culo sul PC a compilare foglie Excel è un privilegio. E infatti la primissima frase che apre la puntata 1 è: “Milioni di famiglie italiane hanno origini contadine, poi sono fuggite dalla fatica dei campi, per migrare nelle città, e i pronipoti di quelle persone hanno dimenticato del tutto da dove vengono, e la bellezza della terra”.
È un po’ uno strabismo di cui soffre buona parte dell’agricoltura contemporanea, schiacciata tra due estremi: la narrazione dell’idillio e l’idea della fatica. Solo nel lavoro della terra l’uomo si eleva ritornando alla natura, eppure solo nel lavoro della terra l’uomo si svilisce col duro sudore della fronte.
E infatti in questo perfetto circolo vizioso i genitori di uno dei ragazzi concorrenti dicono la famosa frase, che tutti abbiamo sentito o pronunciato più volte nella nostra vita: vai a zappare! che presenta la destinazione agricola come la canna del gas di qualsiasi professione, non certo come Eden lavorativo.
Ma dopo una prima partenza, questo inizio così mortificante è lenito e smorzato su più fronti, nel senso che poi i ragazzi fanno veramente vita da fattori e lavorano la terra, in una cascina, pensate un po’, dove viene applicato il metodo biodinamico. Al passaggio in onda di un corno devo confessare un piccolo sussulto: si era mai vista la biodinamica in un ambito così pop? La senatrice Cattaneo ha avuto un mancamento? Il contesto è quello della Cascine Orsine, nei pressi di Pavia, nel Parco del Ticino, un posto ameno che combina coltivazioni e allevamento. A guidare il percorso c’è il fattore e attore Andrea Gherpelli, che sembra nato per fare questo ruolo. E infatti di contadino si tratta, oltre che di attore, come mi fa notare lui stesso, da quattro generazioni. Accanto a lui Adriana Busi ed Emidio Dellepiane, il personaggio più adorabile, che “cucina” pane e olio per tutti.
La verve mortificatoria si spegne subito, e viene lasciata, almeno per quanto ho potuto vedere, nelle mani di un solo personaggio, Elisabetta. Alla quale vorrei lanciare un messaggio: sappi che in futuro ti pentirai per aver preso parte a un programma in cui piangi per il fatto di stare in un’aia grossa come il mio salotto con una sola gallina impaurita e dici frasi tipo “Ho proprio fobia delle galline, come le coccinelle, solo che le coccinelle sono piccole riesco a schiacciarle”. E farai bene, non tanto per la gallina quanto per le povere coccinelle schiattate per colpa tua.
Chiudo con due cose, una bella e una scema. Partiamo da quella bella, ovvero che il vincitore di questa gara di resistenza – è pur sempre un reality – non si accaparra denaro ma un viaggio solidale in Indonesia. Come nelle favole dei Grimm, il percorso educativo di questa moderna fiaba ha una morale, e la morale è che quando smetti di faticare, continui a faticare. Punto. Quella scema è che per andare in fattoria i ragazzi devono lasciare i cellulari e vivere lontano dalla tecnologia, un’equazione questa campagna=no connessione, che è vera forse tra le comunità indigene ma qui da noi, fa sorridere. Conosco tanti contadini che hanno bellissime pagine Instagram con aggiornamenti quotidiani dal campo e le stories delle albe che vedono quando si alzano la mattina. Capisco che far sembrare gli agricoltori dei trogloditi misantropi come il nonno di Heidi sia più facile, però forse è il caso di aggiornarsi. O si rischia di non sembrare abbastanza wild?