Che il lemma “stellato” avesse perso di senso, oramai riferito a qualunque ristorante velleitario o prodotto alimentare ambizioso, s’era capito ben prima di Ciao Darwin. Ma ieri sera, con imperdonabile ritardo, Canale 5 ha mandato in onda una puntata dedicata alla ristorazione segnante: “Trattorie contro Stellati” l’opposizione messa sul ring del programma di antropologia più volgare che si possa immaginare.
Due categorie sociali o concrete subculture vengono identificate ed estremizzate attraverso cliché e differenze formali, dall’abito al linguaggio, e poi fatte lottare in ogni modalità sceneggiabile, dalla prova fisica in stile Takeshi’s Castle al quiz di cultura generale. Il luogo comune viene portato allo stremo e l’identificazione dello spettatore è quasi inevitabile, purché si semplifichi il più possibile la categoria umana in gioco.
E la semplificazione è disarmante per chi si occupa di gastronomia, ma pure per chi sa cosa sia una stella Michelin. È come guardare una puntata di Report sull’aviazione essendo esperti di aviazione: si evince ogni bug tematico e più la cultura dello spettatore è specifica più le braccia cascano, mentre il principale argomento di Claudio Amendola, capitano della squadra “Trattorie”, è la scarsa quantità di cibo nel piatto “Stellato”. “Voi mettete la panna nella carbonara”, tuona la platea del fine dining, che per la verità non annovera un membro, nemmeno uno, che rappresenti la ristorazione stellata.
Nessuno stellato tra gli “stellati” di Ciao Darwin
Il capofila degli “Stellati” è Andy Luotto, attore e anche ristoratore (ci fosse stato Flavio Briatore, che tra le altre cose possiede anche ristoranti, il risultato sarebbe stato lo stesso), che sottolinea come dai ristoranti stellati, puliti a differenza delle trattorie, non si esca mai eccessivamente pieni (idiozia palese) e, perfino peggio, sentenzia: “noi parliamo di cultura” in un suicidio argomentativo senza pari. Durante la tradizionale sfilata di Ciao Darwin, le telecamere puntate sulle mutandine e sugli uomini in preda a finti infarti, per la categoria dei ristoranti à la page sfila Antonio Lorenzon, che ha vinto MasterChef qualche anno fa e ci risulta non aver ottenuto una stella Michelin per alcun ristorante di cui è cuoco. L’evidenza si palesa quando parla tale Alberto Palumbo, in arte Palu (bartender) che “non mette piede in un ristorante se non è sotto le 5 stelle“, confermandoci non solo di non essere mai stato in un ristorante stellato, ma pure di non sapere cosa un ristorante stellato sia, dal momento che la Guida Michelin, quella francese degli pneumatici nata a fine ‘800 per vendere le gomme, assegna al massimo tre Stelle.
Le trattorie devono vincere, e vinceranno
“Vi mentite da soli, perché quando è San Valentino portate le vostre donne da noi. Anche perché usiamo argenterie pregiate”. Calca la mano una “esperta di bon ton”, impegnatissima a spiegare cosa sia un amuse bouche: “il benvenuto che gli stellati riservano a noi dell’alta società per far capire quanto siamo meravigliosi. Tipo il calamaro con l’aria di mandorla”.
Le trattorie devono vincere, come è vero che quei borghesi degli “stellati” hanno vinto la sfida storica, basata sulla conoscenza della lirica, e le trattorie si sono imposte sul dibattito, ottenendo il massimo dei voti dal pubblico. Gli stellati sono intelleggibili, come la sinistra, e incondivisibili, come la ricchezza.
E poco importa se negli “stellati”, o nel “fine dining”, come si dice meno commercialmente, qualcuno ha scorto spunti creativi, avanguardia gastronomica: i ristoranti Stellati sono lì per ricordarci che abbiamo fame e Ciao Darwin non ha torto. Nei menu senza prezzi, nei ricarichi respingenti per chiunque non abbia uno stipendio normale, nella ricerca cieca di una Stella a discapito del godimento della clientela, il fine dining è appannaggio dei ricchi e arma del populismo berlusconiano.