Si è chiusa Lunedì 11 marzo la prima stagione di Pizza Hero, programma andato in onda su NOVE con 8 puntate da circa 50 minuti l’una. Protagonista assoluto Gabriele Bonci. Alla molti di voi sarà probababilmente sfuggito, tanti non ci avranno nemmeno fatto caso, altri ancora lo avranno snobbato di propria iniziativa, considerandolo (erroneamente) come il copia-incolla di uno dei tanti, troppi, talent culinari, che hanno decisamente iniziato a stancare.
Eppure, nel suo piccolo, il programma ha segnato una svolta su parecchi fronti, insegnandoci, inauspicabilmente, qualcosa sul magico mondo dell’arte bianca. Non sto parlando di ricette, di certo nessuno si aspettava di imparare a fare il pane guardando Pizza Hero, vero? Parlo di altro, una sorta di piccola rivoluzione, per il mondo dei lievitati, come solo il piccolo schermo poteva fare.
Non dico che siamo ai livelli di Alberto Manzi in “Non è mai troppo tardi” , siamo più sul piano di Maria De Filippi che, rideteci pure su, con “Saranno Famosi” (poi “Amici”) ha piazzato la danza classica in prima serata su Canale 5.
Insomma, forse dirò qualcosa che a voi potrà sembrar banale, ma tenete presente che un conto è quando di pane e pizza parliamo io, fanatico dei lievitati e voi, quantomeno appassionati di gastronomia, tutto un altro conto è portare quegli stessi concetti, seppur semplificati, in televisione.
Il format
Premessa breve ma necessaria: cos’è Pizza Hero?
Roma, Milano, Napoli, Livorno, Bologna, Levante Ligure, Altamura e Mantova: in ognuno degli otto viaggi scelti per questa prima stagione, il celebre gigante della farina ha fatto visita a 3 piccoli panifici tra i tanti che hanno chiesto il suo aiuto per spiccare nel mondo dell’arte bianca.
Di questi, i due più meritevoli si sono poi sfidati in un duello notturno, cercando di stupire il palato del maestro Bonci e di vincere, in tal caso, la ristrutturazione completa del locale.
Tutto chiaro?
Bene, allora diciamo anche cosa NON è Pizza Hero.
Non è la brutta copia di “Cucine da Incubo”: i locali selezionati non cadono a pezzi, non sono sull’orlo del fallimento e nemmeno mostrano evidenti lacune organizzative. Che poi diciamocelo, la telecamera puntata sulla cappa lurida e la cucina trovata “casualmente” in pessime condizioni igieniche ha francamente rotto le palle: non ci si crede e ha smesso di dare spettacolo, in caso lo abbia mai fatto.
Al contrario, si tratta di piccole ma meritevoli realtà, scelte tra le poco note, che hanno ancora qualcosa da imparare per fare il vero salto di qualità.
Non è nemmeno l’ennesimo programma di ricette; anzi, chi si aspettava un estratto de “La Prova del Cuoco” interamente dedicato alla pizza, rimarrà profondamente deluso. Ad onor del vero, lo spazio dedicato alla preparazione di un impasto è localizzato nella parte centrale della puntata, e serve solo da escamotage per il momento in cui, selezionati i due finalisti, viene data l’ispirazione necessaria per proseguire la prova.
Premesse fatte, pare evidente che il programma di Bonci sia stato ben lungi da ciò che tanti, compreso il sottoscritto, si aspettavano. E per fortuna, aggiungerei.
Il gioco, la sfida i giudizi sono solo un pretesto per lasciare qualche grossa ed ammirevole lezione.
Si, ma quindi cosa ci insegna Pizza Hero?
Il pane e la pizza stanno cambiando identità
E’ un po’ lo slogan del programma, un concetto che viene ripetuto in lungo e in largo durante le puntate, seppur in forma diversa.
E lasciatemelo dire, non esiste verità più certa. Ad aver subito una profonda mutazione è proprio il ruolo dei due indiscussi protagonisti dell’arte bianca.
Tutto nasce da un concetto di base: se fino a qualche decina di anni fa si mangiava esclusivamente per riempirsi la pancia, oggi i mondi dell’alimentazione e della gastronomia sono in continua evoluzione; si mangia per vivere un’esperienza, per stare bene, e si frequenta un locale o un ristorante per rimanere stupiti e scoprire nuovi risvolti della cucina stessa.
A cambiare, del pane, è proprio il ruolo sulla tavola: da elemento centrale dei pasti principali (per ragioni ovvie, spesso era l’unica fonte di sostentamento) la sua presenza è oggi relegata alla colazione.
A cambiare, del pane, sono anche i consumi: siamo passati dalle immense forme da chilo a un consumo pro-capite di 40 grammi.
E come il pane, anche la pizza ha un nuovo volto, in continua crescita. Sebbene qui si parli solo di un prodotto da banco come la teglia e la pala (Bonci va nei panifici, non nelle pizzerie), il lievitato più celebre al mondo è passato da essere un prodotto derivato, che il panettiere stendeva e condiva per concedere qualche gioia al consumatore, a un vero e proprio prodotto di alta cucina, che ospita l’estro dell’artigiano, la sua personalità, i suoi esperimenti, diventando la colorata vetrina di ogni locale che si rispetti.
La bottega, il banco e l’artigiano hanno ancora tanto da dire
Dicevamo, di panifici e non di pizzerie.
Perché oggi si parla troppo spesso dei soliti chef, delle solite personalità del mondo del food, di classifiche, di vincitori e di vinti. Ogni giorno nasce un campionato mondiale, del ventesimo locale aperto da Sorbillo e Condurro (senza nulla togliere a Sorbillo e Condurro).
Ogni giorno però, milioni di italiani passano la colazione, la pausa pranzo o la cena in altrettanti piccoli locali dove spicca l’arte, dove il valore dell’artigiano avrebbe ragione di essere valorizzato, dove elementi antichissimi come il pane e la pizza possono ritagliarsi il giusto spazio nella dieta. Il pregio di Pizza Hero è quello di farceli conoscere, di raccontare le storie di realtà poco conosciute ma meritevoli di presenziare sul piccolo schermo.
I professionisti devono evolversi, adattandosi ai consumi
Se è vero che il pane e la pizza stanno cambiando identità e ruolo, che il consumatore non entra più in un panificio per riempirsi la pancia ma per scoprire ogni giorno qualcosa di diverso, ancora tanti, troppi professionisti rimangono ancorati a vecchie concezioni.
Un cambiamento così radicale nei consumi richiede l’approccio a qualcosa di diverso, che non significa necessariamente dimenticare le tradizioni, ma offrire un banco più ampio e vario, un multicereali vicino a un casereccio, una creazione ricercata vicino alla pizza rossa o alla patate a sfoglia.
E lasciatemelo dire, in un 2019 dove la comunicazione è tutto, non basta nemmeno più lavorare di qualità per emergere. I valori tramandati, le scelte fatte sulle materie prime e sui prodotti, la filosofia degli impasti e delle cotture, non servono a nulla se il cliente entra ed esce dal forno senza uno straccio di informazione. Il consumatore è talmente bombardato di bufale, disinformazione, pregiudizi e preconcetti che non può più mangiare senza essere educato.
Purtroppo, una simile pigrizia da parte del professionista italiano è anche retaggio di un istinto comportamentale completamente sbagliato.
Apriamo la bottega e aspettiamo che la gente entri, professiamo qualità senza comunicarla, lavoriamo sulla tradizione senza offrire novità.
Bonci, nel suo programma, premia chi innova, chi non rimane ancorato solo con il pane da souvenir, chi esce dalle solite pizze bianco pallide da panificio anni ’70.
La ricetta non esiste se non contestualizzata
E’ un concetto che mi sta particolarmente a cuore, e non manca occasione per rimarcarne l’importanza.
Pizza Hero non è un programma di ricette perché la ricetta, senza ispiarazione e metodo, non serve a nulla, non esiste.
Pizza Hero mostra le idee, i colori, pre-annuncia i sapori e le creazioni dei fornari.
Bonci, a metà percorso, prepara un piccolo impasto e un paio di farciture innovative per concedere il giusto input necessario ai partecipanti alla sfida finale.
Mandatario è, tuttavia, il suo slogan più tipico: “Imitatemi, ma non copiatemi”.
Slegatevi dal concetto di ricetta come copia di una lista di dosi, come foglio bianco senza logica, come concetto impersonale.
La ricetta è una “conseguenza”, nasce come tesi di una serie di ipotesi ed esperimenti elaborati dall’artista; ma se non si ha la consapevolezza per capire tali ipotesi e tali esperimenti, la preparazione perde di efficacia, di calore.
Non state cucinando, ma solo preparando da mangiare.
La pizza è finalmente pronta per il piccolo schermo
Ci si chiedeva da tempo (almeno tra gli appassionati) perché il piatto più famoso al mondo non era ancora apparso sul piccolo schermo.
In realtà l’evoluzione della pizza è stata frenata per anni dalle sue stesse origini.
Nascendo come prodotto popolare, tanti ancora non ne concepiscono le nuove forme: se è un cibo del popolo, tale deve rimanere.
Ma i consumi cambiano, l’alimentazione anche, e come tale l’idea di tutti i protagonisti del mondo gastronomico.
La naturale conseguenza di questa malsana concezione dell’arte bianca ha fatto si che rimanesse un settore di nicchia, animato da nerd, scienziati, cultori, gente con la febbre dei lieviti e la fissazione per uno o l’altro metodo.
Pizza Hero ci insegna però che il nuovo volto del pane e della pizza è pronto per essere mostrato al grande pubblico, che la gente deve sapere quanto sia buona una forma calda e croccante di farro e segale o una pizza bianca farcita con porchetta e puntarelle.
I soliti programmi di cucina hanno decisamente stancato
Dopo quasi 20 anni di Masterchef, oggi il palinsesto televisivo è stracolmo della solita farcia: giudici inflessibili, tiranni ed inderogabili, gastrofighetti, bocciature estreme, insulti a destra e a manca.
Non fraintendetemi, sono profondamente convinto che se la cucina è oggi così bella e piena è anche grazie al protagonismo che sta vivendo nella realtà mediatica.
Ad aver stancato tuttavia, è proprio il format, e a dirlo sono semplicemente gli ascolti in deciso calo.
Ben vengano allora i Bonci e i Rubio della situazione, capaci di visitare la bottega italiana, di emozionarsi davanti a un trancio di pizza bianca, di consigliare senza distruggere, di insegnare senza intimorire.
La gente può dimenticare la tradizione (mannaggia però..)
Ecco, forse è però il caso di dire che non esiste un “Hero” senza macchia.
Per quanto sia inderogabile che tante città italiane necessitino di modernità, di stare al passo con i tempi, di far vivere di pane e di pizza la gente comune, forse ci si poteva risparmiare il coinvolgimento di realtà eterne come Altamura e il Levante Ligure.
Se per certi versi è stata l’ennesima occasione per far conoscere l’immenso pane di grano duro o le focacce genovesi e di Recco, è il pretesto a stonare: dire che i panifici di questa città devono portare innovazione e prodotti al passo con i tempi è un po’ come pretendere che si dimentichi quella tradizione storica ed intaccabile che ha contribuito a rendere celebre l’arte bianca nel mondo.
Direi che non è proprio il caso.