Alessandro Molinari Pradelli era nato nel 1945, figlio di Francesco Molinari Pradelli, uno dei più grandi direttori d’orchestra italiani, nonché collezionista d’arte, in particolare di nature morte. Alessandro amava raccontare che suo padre ogni tanto annunciava a tutta la famiglia “Stasera andiamo da Lamma e pago io!” e così andavano in questa storica osteria bolognese in via de’ Giudei (ora non c’è più) a mangiare grandi piatti di tonno, fagioli e cipolla, la specialità della casa.
Forse anche per episodi come questo Alessandro ha sempre coltivato un’enorme passione per il cibo, ma anche per la storia e per le tradizioni contadine che lo hanno portato a percorrere le campagne per interrogare massaie e cuochi, trascrivendo le ricette per i suoi numerosi libri. Quando stava scrivendo quello sulla cucina sarda -tuttora il più venduto in Italia- raccontava Alessandro che si presentava in bicicletta nelle case poco prima di pranzo, si faceva dettare le ricette di famiglia e poi, alla fatidica domanda “Ma lei dove va a mangiare adesso?” rispondeva inesorabilmente “Qui volentieri!”. Un modo sicuro per testare la cucina casalinga di una regione che pochi avevano passato al setaccio come lui.
Dire che fosse solo un appassionato di cibo e di vino sarebbe fargli torto: Alessandro Molinari Pradelli era un grande gastronomo e, senza ombra di dubbio, il maggiore conoscitore della cucina bolognese. Le sue ricerche non si spingevano solo nella direzione puramente culinaria, ma affondavano le mani nel mondo di piccole osterie e grandi ristoranti che lui conosceva bene. Dalla briscola all’osteria del Sole, quando Luciano abbassava la serranda a metà e si continuava a bere e giocare senza altri clienti, al tavolo fisso al Tinello dove si incontrava con gli amici fumettisti, Alessandro ha sempre avuto un rapporto strettissimo con la città che amava di più.
L’ha ripagata con i suoi ricettari di cucina bolognese ed emiliano-romagnola, che rimangono due capisaldi assoluti, gli unici che consulto regolarmente ogni volta che mi sorge un dubbio. Il suo spirito antidogmatico traspare anche nelle ricette in cui consiglia diverse varianti che dipendono dalle consuetudini locali, senza per questo intaccare minimamente l’importanza storica e identitaria di un piatto.
Ricordo perfettamente quando, forse vent’anni fa, mi disse che non esisteva “IL” tortellino, ma “I” tortellini e penso che sia stato uno dei motivi per cui ho iniziato a prendere in seria considerazione il lavoro sulla pluralità delle ricette tradizionali che mi ha portato a scrivere di gastronomia.
Lo spirito colto, sagace e gaudente di Alessandro lo aveva condotto a esplorare molti altri campi, affini come quello dell’enologia, e meno vicini, come quello dell’arte in cui aveva operato come restauratore, organizzatore di mostre (molti ricorderanno quella dell’Archiginnasio su Augusto Majani) e collezionista. Vero esperto di fumetti e grafica, conosceva e frequentava da sempre i più celebri illustratori italiani, con cui aveva collaborato per diversi progetti editoriali.
Oggi ci rimangono i suoi libri – che sfiorano quota 100 – che disegnano il profilo di un’Italia dalle mille sfumature, aggrappata ancora con forza alle proprie tradizioni culinarie, o quantomeno a quelle che sono sopravvissute e, per questo, ancora più preziose.
Se esiste ancora questo patrimonio culturale italiano, forse il più importante e riconosciuto in tutto il mondo, dobbiamo ringraziare anche Alessandro Molinari Pradelli. Come i suoi predecessori, da Anna Gosetti della Salda a Ada Boni e all’indietro fino a Pellegrino Artusi, ha contribuito a conservare un universo di ricette, di tradizioni e di saperi che non ha eguali.
Se volete ricordarlo, come farò io, cucinate una delle sue ricette e alzate un calice di quello buono, ne sarebbe felice.