In questi giorni si sta parlando molto di una trasmissione in cui si vede gente che va a fare la spesa al supermercato. Be’ non solo al super in verità, anche al mercato; e non solo la spesa ma anche a fare tutta una serie di compiti – semplici quanto fondamentali – che spesso hanno a che fare col cibo, come consegnare una busta di pesce ai vicini, o preparare una spremuta di mandarini e portarla alla famiglia che lavora nei campi. È una trasmissione televisiva giapponese, titolo originale Hajimete no Otsukai, che nel paese del sol levante va in onda da 30 anni, e che dal 31 marzo 2022 è visibile anche nel resto del mondo grazie a Netflix. La riduzione per occidentali è stata chiamata Old Enough; già, perché se vi state chiedendo qual è la particolarità del programma, e cosa c’è di così mirabile nell’andare a comprare gamberetti, il fatto è che queste persone sotto gli occhi delle telecamere sono bambini. Bambini piccolissimi, dai 2 ai 6 anni, che i genitori mandano a fare delle commissioni, una specie di iniziazione, di ingresso in società per dimostrare che, appunto, si è grandi abbastanza.
I bambini dovrebbero fare una tenerezza assurda, perché sono in quell’età in cui sembrano degli alieni – proprio una tradizione shintoista del Giappone vuole che i bambini fino a tre anni non siano completamente umani, ma una specie di messaggeri delle divinità – con quelle facce serissime e l’andatura ancora caracollante. In verità l’impressione che se ne ricava è di assurdo tout court, dato che il programma tutto ha quello stile plasticoso e da cartone animato, tipicamente giapponese: le scritte in sovrimpressione a caratteri grandi e colori pastello, l’ironica voce narrante che accompagna le gesta, gli applausi e le risate finte, persino le telecamere che spesso e volentieri entrano nell’inquadratura.
Questa natura palesemente finzionale di quello che è pur sempre un reality show, un pezzo di “tv verità” come si diceva da noi, servirebbe anche per rassicurare, ma se non vi bastasse ecco un po’ di dietro le quinte: le famiglie protagoniste sono accuratamente scelte mediante un lungo processo di selezione che addirittura parte dalle scuole; la maggior parte del girato non viene mandato in onda, meno dei 10% dei casi si trasforma in veri e propri episodi; tutti gli episodi o quasi non si svolgono in metropoli ma in paesini o campagne; tutti i percorsi sono esplorati e “bonificati” dallo staff e dalla famiglia per evitare strade pericolose o individui sospetti; la gente lungo il percorso è avvertita in modo che non chiami la polizia quando vede un treenne camminare da solo; le telecamere sono sì nascoste, ma molte persone lungo il percorso, un percorso comunque familiare, sono facce conosciute per i bambini, e pronte a rassicurarli.
In Giappone il programma, come si diceva, è un cult trentennale: il 20% della popolazione lo guarda. È una roba talmente storica che, come riporta il Post, gli episodi di oggi “mostrano come sono cresciuti i bambini e le bambine protagonisti degli episodi più vecchi, alcuni hanno per protagonisti figli di persone famose e ci sono anche stati casi in cui i bambini protagonisti degli episodi più recenti sono figli di bambini, ora cresciuti, protagonisti in passato”. Da noi arriva ben pompato da Netflix – per il momento pare con più successo di stampa che di pubblico – come punta di diamante di un pacchetto di show che la piattaforma ha appena acquistato dalla casa di produzione Nippon (altri titoli: Death Note, Your Turn to Kill, Life’s Punchline).
Come mai ha tanto successo in Giappone? Questo ha a che fare con alcune particolarità della cultura e della tradizione nipponica, una società in cui comunque i ragazzi acquisiscono abbastanza presto un’autonomia e una capacità di movimento. Quindi ciò che fanno quei bambini non è altro che un passaggio precoce di un comportamento che comunque ci si attende a breve: è una conferma delle coordinate culturali. E poi sì, c’è l’aspetto della cuteness, dell’essere “carini” – carattere che vale sia per i piccoli in sé che per il programma in generale – altra peculiarità giapponese.
Come mai ha tanto successo da noi? Be’, innanzitutto il successo è ancora da dimostrare: per esempio nelle classifiche dei più visti rese pubbliche dalla stessa Netflix, Old Enough non sfonda in top 10. Tra l’altro c’è un pretendete che non depone bene, almeno in Italia: nel 2007 ci fu un episodio pilota di una trasmissione chiamata Mi raccomando… fai attenzione!, che era ispirato al programma giapponese ma come sottolinea TV blog ne tradiva lo spirito trasformandolo in una specie di candid camera. Anche in altri paesi ci sono o sono state versioni simili, nei paesi asiatici ma anche in Inghilterra.
Paradossalmente, il motivo per cui da noi potrebbe piacere è proprio l’opposto di quello per cui piace in Giappone: perché sta completamente all’opposto della nostra cultura e del nostro modo di agire. Nel 2008 una donna di New York che fece prendere la metropolitana da solo al figlio di 9 anni per tornare a casa – percorso che avvenne senza incidenti – sollevò un caso nazionale e fu ribattezzata “la peggior mamma d’America”. Forse i tempi sono cambiati, o più probabilmente è il solito meccanismo per cui siamo attirati da ciò che ci fa orrore. Potremmo quindi essere elettrizzati dalla distanza, dall’esotico, dall’assurdo. Scrive Eater: “Mi sono ritrovata senza fiato quando i genitori sono stati presi dall’orgoglio o dall’ansia mentre i loro figli agivano per portare a termine un compito; avrei voluto confortare i ragazzi che sono scoppiati in lacrime”. E il Guardian: “assolutamente un ottovolante di emozioni che ti lascia a pezzi”.
Che dire? Come padre – di due ragazzetti ormai abbastanza grandi da non poter neanche più andare a Grandi abbastanza – ho sentimenti contrastanti. Da un lato, al livello personale, devo premettere che io per esempio non pubblico foto dei miei figli sui social neanche di spalle, per una serie di motivi, per cui l’idea di mettere dei bambini come protagonisti di un reality è totalmente agli antipodi di ciò che ritengo possibile.
Da un altro lato, penso che sarebbe un’ottima cosa da far vedere agli ansiosi e iperprotettivi genitori italiani, tenendo a menti i quali è stata notoriamente creata l’espressione inglese “helycopter parents”. Anche perché sono tutte success stories (e ci mancherebbe altro, magari in certe occasioni qualcosa è andato storto, ma certo non ce lo fanno vedere in trasmissione). Ricordo che il pediatra ci disse che c’è un’età, abbastanza precoce, in cui i bambini provano piacere a mangiare da soli: se si ha la pazienza di lasciaglielo fare – sporcheranno, mangeranno di meno – questa cosa gli resta, se no poi si dovrà imboccarli fino a molto più tardi. Mi è tornato in mente di recente, quando ho visto che mia figlia, che verso 7 o 8 anni si divertiva moltissimo ad andare al minimarket sotto casa e chiedeva di farlo anche se non ce n’era bisogno, ora non vuole scendere a fare la spesa neppure se deve prendere cose che interessano a lei, come il suo amato frappuccino. Certo, in mezzo c’è stata l’adolescenza e la pandemia, però.
Da un’altra parte ancora, c’è qualcosa che mi inquieta sempre un po’ in show del genere. E non è solo una generica avversione verso la reality tv la quale, che ci volete fare sarò boomer dentro, non riesce a entrare nelle mie grazie, mi viene sempre da gridare MA NON VI ACCORGETE CHE È TUTTO FINTOOO??!?!? È proprio che trovo un po’ creepy e, quello sì, molto da anziani, le trasmissioni in cui sono protagonisti i bambini: che siano bambini superdotati come quelli di Bravo Bravissimo o bambini normali che vengono messi alle prese con qualcosa di apparentemente più grande di loro. Ma d’altra parte siamo una società di vecchi – non a caso parliamo del Giappone, l’unico paese extraeuropeo in cui l’età media è alta come se non più che da noi – in cui i bambini sono sempre più rarità, fenomeni da baraccone, animali curiosi negli zoo. Ma fatemi concludere con una considerazione ancora più banale: ste povere creature poi, avranno tutta la vita per andare a fare la spesa; perché farle crescere anzitempo?