“Appena Valerio tornerà a Santarcangelo, gli organizzeremo una grande festa, e a giugno sarà l’ospite speciale alla festa della piadina”.
Santarcangelo di Romagna è un paese di ventimila anime in provincia di Rimini, patria di piadine e tortellini cappelletti, poco noto ai più ma da qualche giorno sulle prime pagine dei giornali per i meriti di un suo abitante: Valerio Braschi.
E’ lui, Valerio, proclamato pochi giorni fa sesto Masterchef d’Italia, il concorrente che ha messo in mostra un ai fornelli un talento insolito a soli 18 anni, nonostante il suo disordine, e quel grembiule che sembrava reduce da una guerra di trincea.
Alla fine, il giovane cresciuto con le lasagne della nonna e che lavorerà al Fourghetti, il ristorante bolognese di Bruno Barbieri, ha convinto grazie alla precoce padronanza di tecniche e ingredienti, fossero semplici e nostrani come quelli per l’impasto delle tagliatelle o esotici e sconosciuti come il mirin o il katsuobushi.
Per Valerio non c’era differenza: tutti erano elementi da sperimentare nel laboratorio della sua mente, sotto il casco di riccioli perennemente fuori posto (simile a quello di un giovane e mai dimenticato Fulvio Pierangelini), anche quando la prudenza avrebbe consigliato, nel corso di prove decisive, di attenersi a piatti più ordinari e conosciuti.
Ma lui no, lui ha sempre –e ora possiamo dire giustamente– seguito innanzi tutto istinto e passione. Perché questo è ciò che, in fondo, ha fatto la differenza tra Valerio e gli altri concorrenti, tutti: il suo grandissimo entusiasmo. A Valerio, brillavano gli occhi quando assaggiava qualche preparazione ben riuscita, anche se a voce magari diceva semplicemente “è buono, è buono!”.
Ma attenzione, Valerio ha anche dimostrato di non essere soltanto il giovane entusiasta che mira a stupire giuria e telespettatori, no: piatti come il suo antipasto di mare, con quella spuma di plancton,il sashimi di capesante affumicate e con il tocco inaspettato della fava di cacao grattugiata sopra non sono piatti che si inventano a caso.
Stessa cosa per il black cod (una sorta di merluzzo) in oliocottura su crema di mais, servito con pelle abbrustolita, mais bruciato e germogli di sakura (germogli di ciliegio, tipici della cucina giapponese).
E non si improvvisano dall’oggi al domani nemmeno piatti come i ravioli di carne al vapore di ispirazione giapponese (gli “xia long bao”) con brodo gelificato di alga kombu, katsuobushi e mirin, tutti ingredienti della tradizione nipponica.
L’attenzione di Valerio verso la cucina orientale non è stata improvvisata per la gara televisiva, come lui stesso ha raccontato nelle interviste degli ultimi giorni: “la mia passione per l’Oriente viene dai libri. Ne ho letti tanti, mi sono documentato, e così ho iniziato ad acquistare prodotti in rete per sperimentare piatti originali a casa”.
La stessa passione che lo ha spinto a chiedere ai suoi genitori, come regalo di compleanno, un pezzo di pregiato manzo di Kobe, invece del modello più recente di iPhone.
Ecco, in un’edizione di Masterchef che ha rinunciato alle solite strazianti scene di vita umana – niente ragazze madri con figli da crescere, né macellai in cerca di redenzione o altre cose di questo tipo – ha vinto la passione. La passione per la cucina, che sia rappresentata da una semplice e tradizionale piadina o da una originale e raffinata zuppa orientale.
Quella passione da tempo assente a Masterchef, che negli anni aveva perso l’originario focus sulla cucina a favore di una narrazione da serie tv sostenuta dal montaggio incalzante. Con il giovanotto romagnolo la cucina è tornata protagonista, a Masterchef.