La prima puntata di Maestri di Cantina è andata in onda il 7 novembre su Mediaset Infinity, e mi ha lasciato addosso davvero molto imbarazzo. Questo inclemente spoiler riguarda il programma in sé, non il contenuto sul vino – tematica purtroppo poco trattata in televisione: le nozioni e i racconti sul vino sono interessanti ma anche forzatamente trasformati in una sfida che non ha senso, con un montaggio di sequenze veramente confuso e musica trionfale inserita anche dove non c’entrava assolutamente nulla. Insomma, il terrore di annoiare il pubblico era evidentemente altissimo, e hanno usato un piacevole racconto come bruttissimo ibrido tra Melaverde e 4 Hotel.
Al netto di provocazioni, frasi ad effetto, colonna sonora che alterna importanti archi e musichette bambinesche, recitazione che lascia a desiderare, e una gara che gara non è, consiglio comunque di guardare questa nuova trasmissione. Se non altro, per conoscere cantine molto interessanti sia per storia sia per prodotto. Entriamo nel dettaglio.
Un format che ammicca a mille altri
Quando Maestri di cantina è stato presentato, è stato presentato come “primo format di intrattenimento dedicato alle cantine vitivinicole e ai produttori“, con una novità: “i produttori non vengono messi in competizione sul vino, ma sulla loro capacità di raccontare al meglio, non solo il loro vino, ma anche tutto ciò che ci sta intorno“. Peccato che poi molti abbiano anche parlato di “competizione” e di “sfida fra tre aziende coinvolte in tre prove: terroir e cantina, esperienza di cantina e degustazione con storytelling“. Ebbene non c’è competizione ma solo storytelling mascherato da competizione. Che ammicca come anticipato a 4 Hotel, e a 4 Ristoranti.
La panoramica con il drone che riprende l’automobile nera diretta alle cantine, un conduttore (conduttrice, in questo caso: l’esperta di vini e wine educator Alessandra Fedi) che tiene le fila, giudici (due: in questa puntata erano il sommelier Vincenzo Donatiello – ex maître del ristorante Piazza Duomo ad Alba – e l’attrice Queralt Badalamenti), votazione con tanto di bonus (tre le “sfide” – o forse è meglio definirle confronti: “Terroir e cantina”, “Esperienza di cantina”, “Degustazione). Tuttavia, il confronto vero e proprio, la gara nel senso che chiunque possa intendere, non esiste: i “concorrenti” non si incontrano fino alla fine, quando tutti assaggiano i vini e si decreta il destinatario del Tappo d’oro.
Un susseguirsi di frasi fuori luogo
Alessandra Fedi in qualità di presentatrice, e Queralt Badalamenti in qualità di giudice chiamata in causa per l’esperienza in cantina (pernottamento, attività varie, spa e docce rilassanti in accappatoio o senza. Vabè.), rendono davvero irresistibile l’istinto a cambiare canale. La spontaneità non è pervenuta, e dicono cose assurde: non so se sperare che siano farina ingenua del proprio sacco o che siano suggerite dagli autori e loro hanno semplicemente accettato di pronunciarle. Due esempi. Quando Donatiello spiega che in Italia ci sono trecento vitigni autoctoni, la telecamera stacca e riprende in primo piano la Fedi che, con tono davvero provocatorio, esclama “chiedetelo ai francesi, quante ne hanno!“. Che una wine educator affossi una cultura vitivinicola “rivale” per far ingrassare il campanilismo italico a me non piace. Non fa nemmeno ridere.
La Badalamenti si trova poi in una cantina con vista sulla campagna. Ha davanti un aperitivo con leccornie a base di erbe spontanee, ed esclama: “cosa vuol dire erbe spontanee?! Ricordati che stai parlando con una milanese!“. Eh giusto: a Milano mangiano tutti cemento e scighera, e tutti credono che l’insalata sia nata nelle buste. A fine puntata, è lei a scegliere da quale vino iniziare la degustazione per decretare poi il vincitore. Sceglie l’unica donna coinvolta, perché “noi donne siamo le più coraggiose“. E sinceramente non capisco il senso né il nesso con il contesto.
Veniamo al dunque: il vino
Ogni scena è introdotta dalla presentatrice, che anticipa con tono di eccessiva suspance tutto ciò che accade, anche solo l’ingresso in cantina sembra questione di vita o di morte, con la musica in stile Trecento in sottofondo. E, nelle cantine, per fortuna le telecamere entrano con calma e ce le fanno vedere piuttosto bene. In questa prima puntata sono tre e tutte piemontesi: la prima è la Tenuta Santa Caterina che porta in “gara” un Dolcetto del 2013, la seconda è Rocca di Carpaneto che con la filosofia del “do nothing farming” porta un vino naturale Grignolino del 2016, infine Rocche di Castamagna che porta lo storico Barolo in una bottiglia del 2016. I rappresentanti delle tre realtà (rispettivamente Guido Alleva, Lidia Carbonetti e Alessandro Locatelli) sono appassionati e genuini, molto semplici e affatto in competizione l’uno con l’altro, né vanitosi: è evidentissimo che a loro interessi solo condividere la propria storia e il proprio prodotto.
Nozioni interessanti: terroir, vino naturale, basi per la degustazione
Le scene nelle cantine e nei vigneti sono veloci e montate malissimo ma ricche di nozioni interessanti, spiegate da tutte le parti coinvolte: il proprietario, Donatiello e Fedi. Sia chiaro, nulla di troppo tecnico o approfondito ma comunque uno spunto più che dignitoso per distanziarsi tanto dalle solite banalità superficiali quanto dalle lezioni per esperti del settore. Chi non sa nulla di vino, impara da questa prima puntata cosa sia un terroir e quali uve si concentrano nei vini, impara cosa significa “vino naturale“, e può conoscere meglio la storia piemontese del vino. Quindi, alla fine, solo grazie all’assenza di inutili tensioni e frecciatine e grazie alla delicata funzione didattica, continuerò a seguire la trasmissione dando un’occasione anche alla prossima puntata.