Ieri è finita questa cosa nuova che si chiamava UlisseFest, il festival del viaggio che ha occupato la meravigliosa Bergamo alta per tre giorni.
E tra i tanti ospiti, a parlar di mete lontane, di storie, di tradizioni, di incontri, di gusti e disgusti c’era Gabriele Rubini, in arte Chef Rubio.
Rubio lo conosciamo tutti. È uno dei fenomeni gastrotelevisivi degli ultimi anni: da quando ha fatto “Unti e bisunti” –la trasmissione in cui girava per l’Italia a sfidare i campioni del cibo di strada– è entrato negli occhi di tutti e nel cuore di molti.
Grande, grosso, tatuato, vorace, popolano ma con un suo stile, cazzuto ma gentile: il personaggio era disegnato così. Del genere: rezpect.
Chi è Chef Rubio lo sanno tutti.
Quello che non sapevo, fino a ieri, era chi fosse Gabriele Rubini. Ero un po’ sospettoso.
Il fatto è che le persone in televisione vengono sempre distillate in personaggi: il piccolo schermo ne semplifica le caratteristiche, ne esalta quelle telegeniche, cancella le sfumature. La tivù ha bisogno di immediatezza, odia la complessità.
E a forza di ritoccare, quel che si diventa sul video somiglia poco a quel che si è.
Come certi comici che poi dal vivo sono o tristi o antipaticissimi. Come certe modelle radiose che se le incontri hanno la faccia stanca.
Non è il caso di Gabriele-Rubio, però, mi verrebbe da dire: passandoci un po’ di tempo insieme l’impressione è stata che davvero Rubio sia Gabriele, che siano proprio la stessa persona.
M’è parso uno vero, che in tempi di rughe photoshoppate è una grande virtù.
E’ vera la sua curiosità, è vero il suo saper stare con le persone. È’ vero, soprattutto, il suo appetito pantagruelico.
Come fa a non piacere uno così?