Siamo tornati da Trecca, trattoria contemporanea di Roma, in zona Ostiense, che avevamo recensito a pochi mesi dalla sua apertura, per vedere come si è evoluto il progetto dei fratelli Manuel e Nicolò Trecastelli.
Se il locale lo scorso anno aveva cominciato da subito col piede giusto, facendo parlare (bene) di sé sin dai primi mesi dell’apertura, qualcosa nell’esperienza complessiva risultava da rifinire: dosaggi, equilibri, materie prime. In particolare ci lasciava da pensare il sottotitolo che il ristorante si era scelto: “cucina di mercato”, parole che suonavano più come un’esca hipster che come reale dichiarazione programmatica di una filosofia culinaria improntata alle disponibilità stagionali e quotidiane.
All’epoca avevamo scritto che questa trattoria, classica eppure nuova, sarebbe stata “sorvegliata speciale” sulla nostra lista. Le avremmo lasciato tempo: aveva i numeri ma mancava, forse, di esperienza.
Eccoci qua, quindi, un anno dopo: un anno che è stato molto più di un anno, con la grande rottura operativa imposta dai traumi del lockdown, che ha abbattuto qualcuno, ad altri ha consentito di meditare, approfondire, vivere un tempo dilatato e intenso, accedere a risorse che non si sapeva nemmeno di possedere.
Il locale
La sala di Trecca, rispetto alla nostra precedente visita, è pressoché identica: stessi tavoli in legno, stesso bancone, stesso personale giovane e in gamba (con qualche new entry).
L’atmosfera, però, è diversa: qualcosa vibra coi colori di un luogo intensamente vissuto, percorso da un fremito elettrico e caldo, animato dall’energia di chi lo abita e vi lavora quotidianamente.
È definitivamente obliterata l’esperienza del “Trecca bistrot”, precedente incarnazione di queste sale, che offriva pasti pop-chic per gli uffici di quartiere prima della svolta in osteria romana: è svanita l’ombra dei treccaburger e delle tataki di salmone, non tanto dal menu (già nel 2019 erano stati rimossi, con il lancio del nuovo format), quanto proprio dall’atmosfera, dalle sale, dai muri; come se un’aria nuova e impetuosa fosse entrata a mo’ di vento dalla porta, scacciandone dagli spazi ogni alito residuo.
Il menu
Il menu è snello: sei antipasti (8-13 euro), quattro primi (10-13 euro), quattro secondi (14-15 euro) a rotazione pressoché giornaliera.
Non è raro che seguendo il ristorante sui social veniate ingolositi da qualcosa, e che cercandola tra le proposte l’indomani non la troviate più… Questa la prima, grande svolta conquistata da Trecca nell’ultimo anno; che ci ha spinto a recensire di nuovo il locale: la scelta di meritarsi, a pieno, il sottotitolo “cucina di mercato”.
La stagionalità e la disponibilità degli ingredienti sono stati spostati al centro della proposta, e governano qualsiasi oscillazione della carta.
Manuel e Nicolò hanno preso a lavorare a stretto contatto con fornitori selezionatissimi dell’hinterland romano, arrivando a un livello di scelta dei prodotti che ha del maniacale, e che li vede relazionarsi con agricoltori, allevatori, vignaioli in maniera sinergica e continua: è il concetto della “Brigata Agricola” di Bonci, cui i ragazzi si sono avvicinati, e dello Slow Food più ideale; quello che immagina(va?) la trasformazione del sistema-cibo realizzata, nel quotidiano, per mezzo dell’interazione tra tutti gli attori della filiera.
È questo genere di interazione che porta, per esempio, Manuel a richiedere a Pulicaro (allevatore e fornitore di animali da cortile) di nutrire appositamente per Trecca alcune galline secondo un regime alimentare specifico; che possa fornire uova più grasse e più idonee per la carbonara rispetto a quelle già prodotte dall’azienda…
Sarà stata la pratica, sarà stato il tempo, sarà stata l’immersione in se stessi e nei propri pensieri dettata dalla quarantena: dopo un anno dalla nostra prima visita, Trecca appare già dai nomi dei piatti, dalle menzioni dei fornitori concentrato su un obiettivo preciso; la visione è chiara, più consapevole, più presente. E non solo limitatamente alla selezione degli ingredienti.
Anche le preparazioni sembrano essersi liberate da alcune ingenuità trascorse, che sembravano puntare a stupire trascurando talvolta gli aspetti più concreti del piatto: il “nuovo Trecca”, al contrario, sembra essere stato trascinato in un vortice interminabile di studio, di letture di ricettari misconosciuti e antichi, di tecniche, di atlanti anatomici di macelleria. Ne risulta una carta solida e diretta, scevra di frivolezze scenografiche eppure intrinsecamente “alta”.
Da bere, una selezione di vini naturali a ricarichi giusti accompagna il pasto; in modalità tono-su-tono.
I piatti
Si comincia così con un cervello di vitella alla romana (10 euro), sbollentato e piastrato, “mousse al cucchiaio” impreziosita da qualche goccia di limone ben piazzata – con l’eccesso d’olio extravergine dell’intingolo riparato da una provvidenziale scarpetta con l’ottimo pane della casa.
La pajata alla brace con patate (13 euro), servita in dosi più da secondo che da appetizer, si presenta annodata a treccia nel comfort della sua crosticina; con una cottura che ne preserva il ripieno morbido di chimo, il tubero croccante e asciutto, profumato di rosmarino, che fa da letto.
Buono anche il ragù di pecora da pascolo di sei anni che condisce una super pappardella fatta in casa, seppure le carni, collagenose e gentilmente pastorali, avrebbero meritato un sugo più tirato e concentrato.
Emblematica dell’evoluzione del locale dall’ultima visita, invece, è la carbonara: la prima volta non era andata benissimo, ed il primo si era rivelato il piatto più deludente dell’intera cena. Questa volta invece, posso dirlo senza tema di smentita, da Trecca è stata servita una delle migliori versioni possibili.
La mezza manica Mancini è di una ricchezza vellutata perfetta, dal meraviglioso gioco di consistenze, in equilibrio tra tuorlo, cacio e sapidità; coronata da un guanciale eloquente. In un mare di carbonare, tutte più o meno buone ma tutte più o meno uguali, questo piatto è riconoscibile ad occhi chiusi. Ha un tocco in più, che deriva dalla ricerca delle materie prime migliori, considerate minuziosamente in funzione delle caratteristiche fisico-chimiche (leggi: di texture e gustative) che lo chef desidera ottenere nel piatto: è una carbonara pensata, tradizionale ma scientificamente calibrata. È frutto di uno studio e di un perfezionamento continuo quasi ossessivi, di una forma d’ambizione positiva, fatta di lavoro duro e umiltà, che partita per sua natura in sordina ormai emerge forte e chiara. Ecco il tocco in più, che può fare, e fa, la differenza.
Delizioso il coniglio alla romana, con le erbe, le acciughe e la sfumatura di vino bianco che si avvinghiano alle carni in un intingolo profondamente capitolino eppure, a tratti, di sensibilità quasi francese: comfort puro, tecnica, genuinità, e un’inattesa e aristocratica eleganza (da spolpare con le mani).
Tira il sipario sulla cena la “Pecotta” – panna cotta di pecora accompagnata da una composta di albicocche che aggiunge sferzata acida e morso, e analogamente a un bianco mangiare o ai cannoli siciliani, con una spruzzata di schegge di mandorla tostate; che chiude il cerchio riunendo la neutralità mansueta del latte, il succo del frutto, i sottintesi dolci in un crunch amarostico corroborante e goloso.
L’opinione
Se un anno fa Trecca era una promessa, sul panorama della ristorazione tipica romana, si rivela a un anno dalla prima visita in crescita verticale; con una visione di cucina e di filiera netta e chiara.
Contemporanea senza reinventare gratuitamente, tradizionale senza mai scadere nel banale, “di mercato” nel senso più agricolo, autentico e integrale possibile, questa trattoria ai confini della Garbatella ha trovato una via espressiva che la impone come voce d’avanguardia; dotata di un linguaggio new traditional che esercita con grande equilibrio, e risulta alternativo sia al registro conservatore della gastronomia più immobilista, sia alla retorica del revisionismo a tutti i costi.
In generale, si percepisce la genuina passione dei giovani titolari per il lavoro che hanno scelto e che indagano infaticabilmente in ogni aspetto, con lo scopo di studiare e rifinirsi per diventare i migliori: continuando di questo passo, chissà che non ci riescano.
Informazioni
Trecca – Cucina di mercato
Indirizzo: Via Alessandro Severo 222, Roma
Numero di telefono: 320 044 2178
Orari: Lunedì-Venerdì 20-23, Sabato e Domenica 12.30-15 e 20-23
Sito web: facebook.com/treccacucinadimercato
Tipo di cucina: romana tradizionale con influenze pop
Ambiente: informale e accogliente
Servizio: preparato ed efficiente