Esiste più di un motivo per affrontare la piccola impresa che raggiungere la Trattoria Ligagin di Lumarzo comporta, e il cibo non è il principale. Da Genova sono infatti necessari almeno quaranta minuti di aspri tornanti e sali-scendi, quale che sia la strada intrapresa (ce ne sono tre: da Bargagli, da Recco o dal Monte Fasce*).
La sfacchinata viene però ricompensata dal rivelarsi di un mondo che temevamo estinto, quello scandito da ritmi lenti, rispetto ossequioso delle stagioni, cura affettuosa delle antiche sapienze e calore umano.
La filosofia
Custode di questo prezioso patrimonio un affiatato matriarcato familiare: inaugurata nel 1959 da Rina Olcese, che battezzò la trattoria col soprannome del suocero, legatore (ligagin) di collane (reste) di nocciole – antico dono di buon auspicio – sono oggi la figlia Lina e le nipoti Marika, in cucina, e Barbara, in sala, a proteggere le tradizioni e vigilare affinché nulla, ma proprio nulla, cambi.
Da Ligagin, infatti, si utilizzano solo verdure dell’orto ed erbe di campo; si cucinano le ricette della tradizione ligure tramandate da nonna Rina, (ma ci si schiude un poco al mondo con vini e distillati). Si impasta rigorosamente a mano e si cuoce con la stufa a legna [Diciamolo: tale impegnativo metodo, se giova certamente a dolci e lievitati, nulla aggiunge, per esempio, alla cottura della pasta – che non cambierebbe anche se bollita su un fornello a gas – ma molto apporta al romanticismo di un luogo fuori dal tempo, slow nella migliore accezione del termine].
L’ambiente
Il locale, che ricorda a tratti una baita di montagna, è accogliente e rustico, ma non privo di elementi più eleganti come le tovaglie immacolate e i graziosi piatti antichi.
Uno splendido bancone in formica rosa, testimone silente dei ruggenti anni ’60, aggiunge un tocco d’antan e riporta ai tempi in cui il Ligagin era anche bar di paese, presidio sociale aperto sette giorni su sette.
In estate un gazebo accoglie alcuni tavoli all’aperto dove ripararsi dalla calura estiva all’ombra degli alti fusti.
Accoglienza e servizio
L’accoglienza di Barbara è sorridente e calorosa come il caminetto che scoppietta nella sala gremita, mentre al tavolo ritroviamo un servizio un poco più distaccato e talvolta distratto.
I tempi di attesa, dettati dalla stufa a legna e dalle preparazioni espresse, sono rilassati come è giusto che sia: non si viene qui per un fast food, ma per astrarsi dalla frenesia ticchettante della vita cittadina.
Menu e cucina
Gli antipasti fritti che aprono la cena, panissette, frisceü di verdure e focaccette al formaggio (un must rivierasco, ché meglio della focaccia al formaggio esiste solo la focaccia al formaggio fritta) sono ben eseguiti: croccanti, asciutti, saporiti.
Così, il tortino di carciofi e crema di Parmigiano è delicato e bilanciato.I ravioli di borragine al burro e salvia, impastati dalle sapienti mani della matriarca Tina, racchiudono, in una sfoglia perfetta, una farcia strepitosa e potrebbero quindi fare a meno delle stalattiti di Parmigiano che li sovrastano.
Ottimi anche i ravioli di carne al ragù e le tagliatelle di ortica al sugo di funghi.
Le picagge di castagne al pesto sono buone, ma contro il basilico invernale – meno profumato di quello estivo – poco può anche l’antica sapienza di Tina; forse un condimento più generoso avrebbe giovato.
Il fritto misto (di verdure, con una milanesina-ina di vitello e alcune frittelle dolci), disattende un poco le aspettative. Non per l’esecuzione, che è tecnicamente perfetta e conferma una grande mano in cucina, ma per la sobrietà: l’associazione fritto – trattoria dell’entroterra evoca infatti, nella mente dell’avventore ligure, un’abbondanza da banchetto medievale, con valletti che trasportano vassoioni e cornucopie che eruttano cuculli, ben lungi dalla parca proposta del Ligagin.
I dolci, infine, appannaggio della figlia Marika, si emancipano un poco dalla rigida tradizione e sono ottimi.
Cantina e conto
La cantina, molto curata e completa, rivela una grande attenzione ai vini naturali e alle migliori espressioni del territorio, senza tralasciare alcune incursioni oltralpe.
All’organizzazione confusionaria della carta (suddivisa un po’ per regione, un po’ per tipologia, ma talvolta per produttore o per distributore), che rende difficile orientarsi, suppliscono i consigli esperti di Barbara.
Degna di nota la selezione di liquori e i distillati che spazia dallo Zibibbo siciliano all’acquavite georgiana, dai rum agricoli jamaicani agli sherry andalusi, senza dimenticare ovviamente eccellenze locali come lo Sciacchetrà delle Cinque Terre.
Il conto, che si attesta in media sui 35 euro vini esclusi, è assolutamente giustificato e, anzi, inferiore alle attese.
*Complice un autista sobrio e capace, sulla via del ritorno optate per la strada che valica il monte Fasce, più breve ma più impervia (non illuminata e senza copertura per i cellulari). Vi imbatterete forse in mandrie di cavalli selvaggi e, giunti in vetta, sorprenderete Genova alle spalle mentre brilla come una lingua di fuoco nell’oscurità notturna: uno spettacolo di stordente bellezza.
Opinione
Al Ligagin si mangia bene, ma forse non così bene da giustificare l’impervio viaggio per raggiungerlo. Qui si viene infatti per staccare, dimenticarsi l’orologio e lasciarsi cullare da un’altra idea di esistenza e di ristorazione, quella che non vuole essere perfetta a ogni costo e performante come un velocista, ma solo genuina, semplice e dolcemente spontanea come l’incedere di un camminatore lento e silenzioso che assapora ogni passo.
PRO
- Fritti impeccabili
- Buon rapporto qualità-prezzo
- Accoglienza calorosa
CONTRO
- Difficile da raggiungere
- Carta dei vini di complessa fruizione