Il senso di Ricci Osteria, aperta da giusto qualche settimana in zona Sottocorno, sarebbe quello di portare la Puglia – o più in generale l’intero immaginario mediterraneo – a Milano, gastronomicamente parlando. L’intenzione dei due co-proprietari Antonella Ricci e Vinod Sookar è decisamente benvenuta, non fosse altro perché tra le tante incongruenze che affliggono la scena gastronomica milanese c’è quella per cui la cucina regionale italiana è mal rappresentata, se non in una sparuta manciata di indirizzi.
Se queste sono le premesse, dopo la visita viene il dubbio se tale intenzione originaria non sia riuscita fin troppo bene, quando l’atmosfera, la cucina, i prodotti iper-locali pugliesi si inseriscono in un contesto che di milanese ha tutto, anche i gli aspetti meno desiderabili. Se infatti l’ambiente è arredato e decorato con gusto e sobrietà, dove il richiamo alle atmosfere semplici e casalinghe delle masserie pugliesi è opportunamente solo accennato nei colori campestri e nei materiali naturali, aleggia però qualcosa di poco spontaneo, di musirato, di sistemato. Gli strofinacci da cucina appesi alle pareti, più che un forzoso richiamo all’aria di casa, contribuiscono a un leggero ma comunque insidioso senso di messa in scena.
Se il servizio è impeccabile, attento e gioviale il giusto, le luci troppo basse spingono a un immediato, automatico contegno che sa di “serata fuori”, di occasione. Che irrigidisce gli animi invece che scioglierli, che poco ha a che fare con l’atmosfera da osteria. Non è certo il primo esempio questo in cui il concetto di osteria è stirato fino all’improbabile. Nulla di grave, i nomi dei ristoranti possono attingere a tutta la fantasia possibile. Non è pubblicità ingannevole, ma basta saperlo.
La vera cucina mediterranea, leggibile, concreta e semplice nel suo senso più nobile, ma a Milano, prevede dunque dei fiori di zucca gonfi di ricotta pugliese e imbruniti di una frittura superlativa, però sistemati in una composizione di antipasto misto alquanto timida, remissiva, che più che alla sana sfacciataggine da osteria, fa pensare a una notte sicuramente tranquilla e scevra da disturbi di digestione. Nel bel piatto verde bottiglia trova ulteriore sistemazione uno scacchetto di parmigiana geometrico, intellettuale, parsimonioso. Però squisito, denso di sapore, la ristretta di pomodoro che lo condisce ha il colore e la tessitura del velluto pregiato. Non è una questione strettamente di quantità, neanche di impiattamento. Forse è più una questione di idea di osteria, di condivisione (mancata), di sana esuberanza.
Il capocollo di Martinafranca, per disciplinare, è affinato tramite un bagno nel vino cotto e affumicatura in legno di fragno e gusci di mandorla. Quello servito qui restituisce tutta la profonda complessità che ti aspetti da un salume come questo. Nel tagliere per due, lo accompagnano alcuni pezzettini di ottimo formaggio, un’oliva verde a testa e uno spicchio di carciofino. Una e uno.
I taralli fatti in casa sono fragranti, hanno la consistenza friabile e non troppo croccante del biscotto appena fatto, danno quasi l’illusione di essere ancora caldi. La Ricci (non) osteria si porta dietro uno dei piatti iconici del ristorante stellato da cui provengono i proprietari. Fuor di gergo evocativo, le gocce di ricotta avvolte nella semola sono degli gnocchi paffuti e goduriosi, la trama picchettata e grossolana della semola arricchisce il morso di uno strofinio irresistibile. Poggiano su una crema di zucchine delicata e gentile, sopra invece un’irrequieta e vigorosa accoppiata di tartufo nero e pancetta croccante. Il piatto migliore della serata. Un mix niente meno che di tre diverse varietà di pomodori, da altrettanti micro-territori pugliesi, confluisce nel sugo rosso delle orecchiette fatte a mano. La sua spiccata acidità non va presa per difetto ma come segno fresco e pimpante di un sugo dalla notevole personalità.
L’arrosto misto è un anti-tripudio di arrosto misto. Agnello, bombette di maiale e rotolo di salsiccia, gratificanti al gusto, compongono una porzione solitaria, individuale, anti-conviviale, a guarnizione della quale c’è solo un’inopportuna acquetta di cottura.
Semplice, intensa, impeccabile la purea di fave essiccate al sole con cipolla rossa in agrodolce e peperoni friggitelli. Da non trascurare la sezione dolci, grazie alla presenza dei biscotti di Ceglie, una specialità a base di pasta di mandorle e confettura che traina la reputazione di perla gastronomica del piccolo paese omonimo. La carta dei vini è abbastanza stringata, ma se ne apprezza l’equilibrio nella scelta dei ricarichi.
Opinione
Non è raro che oggi giorno i ristoranti si intestino un’identità da osteria o trattoria del tutto incongrua rispetto alla realtà che incarnano. Nel caso di Ricci, questa incongruenza è particolarmente stridente. Si mangia bene, c’è molta cura nella scelta dei prodotti autenticamente pugliesi, ma non basta parlare di cucina franca e immediata per potersi definire osteria. Porzioni piccole, ambiente serio e soffuso, scarsa atmosfera di convivialità lasciano addosso un senso di incompiutezza.
PRO
- Tutti i prodotti usati sono autenticamente pugliesi, spesso rari e da micro-territori.
- Alcuni piatti sono eccellenti, come le gocce di ricotta avvolte dalla semola e la parmigiana.
CONTRO
- Il luogo non ha molto a che vedere con qualsiasi accezione di osteria. È un ristorante abbastanza “sistemato” e poco conviviale, le porzioni sono misurate e parche.