L’osteria da Codroma, nel sestiere di Dorsoduro, è un’insegna storica nel vasto panorama delle trattorie di Venezia. Aperta nel 1896, porta il nome di un oste realmente esistito, Giovanni Codroma, che, a leggere Elio Zorzi e le sue “Osterie Veneziane” (vera Bibbia per chiunque voglia muoversi in laguna con un minimo di consapevolezza storico-gastronomica) del 1928, rappresenta il “classico tipo dell’oste Veneziano (…), barbuto come un orso, il capo coperto da un berretto di carta, e la persona avvolta nel paragremo o grembiule blu a fare il conto all’avventore, estraendo da una tasca del grembiule il gesso e dall’altra la tavoletta di lavagna, egli sembrava un personaggio tintorettesco, un oste del Cinquecento”.
Le cronache riportano che l’osteria fosse frequentata da una clientela variopinta ed eclettica: ancora Zorzi racconta che “poiché si trovava in uno dei quartieri più popolari della città, già roccaforte del partito socialista, l’esiguo ma bellicoso gruppo nazionalista veneziano la frequentava assiduamente, non solo perché vi si mangiava da papi, ma anche per sfidare il nemico nelle sue stesse posizioni”. Nel 1911, in vista dell’intervento italiano in Libia, Codroma diventa uno dei centri di propaganda per spingere il governo all’impresa. Le cronache narrano che le pareti, gli armadi, il banco e le sedie dell’osteria siano state ricoperte di scritte con il gesso che inneggiavano alla guerra: “Tripoli! Tripoli! Tripoli!”. Serafica la risposta di Codroma: “Ma cossa xé sti Tripoli?”, che spinse gli avventori a portare all’osteria una carta della Tripolitania sulla quale seguire le azioni militari. Come si può cogliere dalle premesse, dunque, Codroma vanta un passato glorioso e il fatto che si trovi in uno dei sestieri più autentici (Dorsoduro appunto) e fuori dai circuiti turistici, pone un certo tipo di aspettative.
Ambiente e servizio
A guardarla a distanza di oltre un secolo, Codroma non sembra molto cambiata. Merito di un restauro conservativo che ha mantenuto gli arredi lignei e il volto di un tempo senza indulgere nell’accentuazione del nostalgico e odoroso di vino, o esasperando la venezianità a favore di turisti e visitatori. Il bancone, il frigorifero con gli sportelli come quelli d’un tempo, sedie e tavoli fungono semplicemente da testimonianza della volontà di raccontare la storia di un locale cercando di essere fedeli al suo passato. I danni provocati dall’acqua alta del 2019 e la chiusura dovuta dal Covid sono stati pesanti, imponendo il completo rifacimento del pavimento. Alle pareti, le bellicose scritte con il gesso di inizio ‘900 sono state sostituiste da più morbidi divieti, che richiamano a comportamenti seri e responsabili: “Vietato sputare sul pavimento” e “Proibiti suoni e canti”.
Oltre ai tavoli all’interno, lo spazio è anche esterno, con una serie di tavolini lungo la fondamenta adiacente al canale. Il servizio è molto cortese: una nota di merito per la pazienza dimostrata nei confronti dei turisti, particolare non proprio scontato a Venezia.
I piatti
Le norme antiCovid hanno eliminato qualsiasi riferimento cartaceo: il menu si scarica con QRCode o si legge online, attraverso una pagina dedicata da leggimenu.it. Confidiamo che, passata la pandemia, si possa ritornare ad avere tra le mani un supporto che consenta una lettura più agevole.
La carta conta su sei/sette proposte per antipasti (12-18 euro), primi (10-15 euro) e secondi (16-20 euro), in una cornice complessiva che si muove tra classici veneziani (saor, baccalà mantecato, cicchetti misti, spaghetti con le vongole, bigoli in salsa, frittura mista, seppie in tecia) e piatti che escono dalla laguna (gazpacho e burrata, piovra arrostita, linguine al pesto di cipollotto e mandorle, tagliata di tonno), dove il margine per una mano più innovativa è più ampio o dove lo sguardo al turista è riconoscibile (mezzi paccheri al ragù, o al pomodoro). La carta vini conta su una quarantina di etichette circa, principalmente da Veneto, Friuli e Piemonte. Buona la proposta al calice.
Il classico saor – che qui accosta le sarde ai gamberi – è eseguito nel rispetto della tradizione (uvetta e pinoli non vengono lesinati) e governando bene la presenza, a volte ben più ingombrante, della cipolla. L’insalata di piovra paga lo scotto di una sapidità troppo marcata e di una scarsa presenza della tentacolare protagonista. Dignitosi ma senza guizzi gustativi gli spaghetti con le vongole, dove gli aromi del vino bianco prevalgono su quelli del pesce: anche in questo caso, una quantità maggiore di molluschi avrebbe reso più completo il piatto. Ricca e ben fatta la frittura, che oltre ad una buona varietà di pesci, crostacei e verdure, non è untuosa e rimane croccante. Il dolce – una mousse al cioccolato con crumble al caramello e semi croccanti, dal sapore ben marcato – arriva a sollevare un pasto complessivamente corretto, ma privo di note accese che gli avrebbero invece consentito di alzarsi ben oltre la media.
Opinione
Locale storico dal passato impegnativo, nel panorama gastronomico di Venezia Codroma rappresenta un indirizzo che rispetta il compito di proseguire nel solco della tradizione. Un po’ più di coraggio ed una linea più decisa possono consentirgli di fare il salto di qualità.
PRO
- Una proposta varia, che si distingue sul classico e non delude sull'alternativa
CONTRO
- Il rapporto non ottimo tra l'offerta e il prezzo