Non capita tutti i giorni – nemmeno a noi italiani avvezzi all’antico – di poter bere (bene) e mangiare (purtroppo meno bene) in un locale attivo dal 1528.
L’Östaia de Banchi di Genova si trovava infatti, già allora, nel vicolo adiacente all’omonima piazza, sede del mercato cittadino e cuore degli scambi commerciali (*momento forsenontuttisannoche: il nome Banchi deriva dai tavoli dei prestavalute che venivano distrutti in caso di insolvenza, originando il termine bancarotta*).
In attesa di essere vendute, le botti di vino venivano conservate nella fresca cantina della vicina osteria, ancora oggi parte del locale.
Ambiente
L’Östaia si sviluppa infatti su due livelli: uno, sotterraneo (l’ex cantina), che pare risalga suppergiù al 1100; l’altro a piano strada, di “soli” cinquecento anni con cucina parzialmente a vista.
L’atmosfera è accogliente, nonostante il pot-pourri stilistico che alterna arredi rustici a elementi industriali e attenta alla solenne bellezza delle volte antiche con un pavimento moderno e alcuni tocchi un po’ leziosi (come la mega-citazione di De André affissa al soffitto).
I coperti sono una quarantina all’interno e una dozzina all’aperto, nel vicolo, quando il clima lo consente.
Servizio e cantina
Il servizio è gentile, preparato e sospinto dalla competenza enologica dei giovani gestori.
La cantina, focalizzata principalmente sulla Liguria, si distingue infatti per la selezione curatissima e a prezzi abbordabili (la bottiglia più costosa non supera i 30 euro) di piccoli vignaioli-artigiani e rarità autoctone difficili da reperire altrove, senza tralasciare etichette naturali con alcune referenze tripla A.
La presenza di un vino della casa di qualità, disponibile anche al bicchiere, e di alcune birre artigianali locali, completano un’offerta davvero interessante.
Cucina e conto
L’Östaia guarda al territorio anche nel menu, aspirando a – citiamo dalla carta – “rievocare gli antichi sapori della tradizione genovese e ligure“.
Sotto questo profilo, tuttavia, il nobile proposito resta in gran parte lettera morta: nonostante materie prime di livello e un apprezzabile rispetto della stagionalità, l’esecuzione dei piatti non è infatti priva di inciampi che ne pregiudicano il successo.
Ne è un esempio il deludente (e molto – troppo – freddo) cappon magro. Se, infatti, in una cucina sobria come quella genovese, questa portata rappresenta forse l’unica occasione per far sfoggio di opulenza, giocando su contrasti cromatici, verticalità scenografiche e decori crostacei, ecco che quello dell’Östaia è invece assai basico, tanto agli occhi quanto al palato: un semplice tortino di verdure, leccia e salsa verde, “guarnito” da pallidi pezzetti di seppia (manco un gambero, manco una conchiglietta!)
Le polpette di bietole su fonduta di parmigiano sono invece un piatto gustoso e ben cucinato.
I pansoti, abbondanti in forma e in spessore, racchiudono una generosa farcia di magro di cui ignoriamo il sapore perché sovrastata da una salsa alle noci un po’ troppo aggressiva.
Gli animi si risollevano però con i battolli, spesse tagliatelle originarie della Valfontanabuona. La cottura al dente conferisce una piacevole consistenza e l’amarognolo della farina di castagne sostiene delicatamente un pesto smeraldino davvero magistrale (e sempre presente in carta, ottima notizia). Il precario entusiasmo viene però smorzato delle bustine monodose di Grana Padano, più intonate a una mensa che a un’osteria bramosa di antichi sapori.
Con i secondi non va purtroppo meglio e di tre piatti non riusciamo a salvarne nemmeno uno.
L’arrosto di vitello è duro e insipido (ma le patate e i carciofi, va detto, sono croccanti e ben cotti).
Il coniglio in fricassea paga lo scotto di una sfumatura vinosa incompiuta che nuoce al sapore dell’intingolo e alla consistenza della carne.
Il calamaro ripieno è rivisitato sacrificandone l’elemento cardine, la farcia compatta e saporita, sostituita da verdure a cubotti che fuggono qua e là lasciando i candidi anelli tristemente orfani del ripieno. La salsa di pomodoro dolciastra su cui sono adagiati infligge loro il colpo di grazia.
Auspicando un miglioramento in pasticceria, optiamo infine per il Prescinsù, un tiramisù con biscotti del Lagaccio e prescinsêua (la tradizionale cagliata di latte vaccino) in vece di savoiardi e mascarpone.
Un dolce semplice, buono, sbanalizzato dall’acidità spinta della cagliata, ma non sufficiente a risollevare le sorti di una cena insoddisfacente, tanto più alla luce di una spesa media di 35 euro a persona (bevande escluse).
Un vero peccato, che speriamo sia frutto di un’isolata serata-no, perché una cantina tanto interessante meriterebbe un accompagnamento adeguato.
Opinione
Un locale a due velocità: la cantina, con la curata selezione di micro-produttori (principalmente liguri, ma non solo) e vini naturali, incuriosisce e accompagna in un bel viaggio enologico fuori dalle rotte mainstream. La cucina segue il solco della tradizione ma, salvo qualche eccezione, delude nell’esecuzione. Nei dintorni si può trovare di meglio e a prezzi migliori.
PRO
- Carta dei vini curata con selezione di piccoli produttori liguri e italiani
- Ottimo pesto
- Posizione centrale a due passi dal Porto Antico
CONTRO
- Cucina non all'altezza della cantina
- Rapporto qualità-prezzo insoddisfacente