C’era una volta l’Ostaia da U Santu di Genova. Una casetta settecentesca dalle facciate fascinosamente scrostate, il tetto di ardesia consumato dal tempo e schiarito dal sole. Intorno, solo il verde dei prati e delle colline boscose. All’orizzonte, invece, un mare infinito rosicchiato da lembi urbani e scorci di porto: container variopinti, navi in attesa e gru semoventi.
L’Ostaia ieri
Dentro, due stanze ospitali e curate, graziose tendine a quadri e cementine antiche. Fuori, tra profumi di campagna e detonazioni floreali, i legni flessi del grande pergolato riparavano i tavoloni conviviali e le panche spartane dalla calura estiva o dalla brezza serale.
La sala era appannaggio del patron Gianni, oste severo e accigliato, mentre la cucina, affidata alle donne di casa, restituiva una delle migliori testimonianze dell’arte culinaria di una volta; quella che, tra saperi ripetuti e segreti bisbigliati, riusciva a elevare a straordinario anche il piatto più semplice.
Un locus amoenus amatissimo dai genovesi, pietra miliare nel panorama gastronomico locale perché in grado di coniugare, in un luogo incantevole e non distante dalla città, una cucina semplice ma eccellente e – last but not the least – prezzi contenuti.
Ma ogni storia ha principio e fine e, da qualche tempo, la gestione è passata in nuove mani, provocando un piccolo terremoto emotivo tra i molti aficionados.
L’Ostaia oggi
Concesso un ampissimo e doveroso periodo di rodaggio, ritorniamo, quindi, in questo luogo del cuore, animati da molta curiosità e un poco di apprensione.
“[ce] L’avranno cambiato?” “[ce] L’avranno snaturato?” ci si domanda, infatti, percorrendo la strada che dal lungomare di Voltri si inerpica verso il Santuario della Madonna delle Grazie (curvosa e, a tratti, assai stretta: appellatevi all’intercessione la suddetta Madonna per non incontrare un’auto in direzione opposta) e che in una decina di minuti conduce alla meta.
La buona, anzi ottima, notizia è che l’Ostaia è rimasta pressoché immutata (solo i romantici legni sghembi del pergolato, dopo molte – forse troppe – primavere, hanno ceduto il passo a pali più saldi). Si è, anzi, perfino arricchita di due nuove sale, tra cui una assai simpatica, al piano superiore, ricavata in un vecchia cucina, con tanto di antico lavandino in marmo e porte socchiuse sulle camere da letto adiacenti.
Il menu
Anche il menu si mantiene nel solco confortante della tradizione zeneize (brandacujun, pansoti al sugo di noci, ravioli al tocco di carne, cima, coniglio alla Ligure ecc.), ma indulge a qualche timido ammodernamento nella presentazione e in alcuni accostamenti riusciti.
Così, cime di rapa e salsiccia cruda formano una coppia vincente, mente la salsa aioli conferisce un piacevolissima spinta alla pastosità del brandacujun. Apprezzabile anche l’intuizione di stemperare l’aggressiva sapidità delle mostardelle della Valpolcevera (una salamella ottenuta dagli scarti del più noto salame di Sant’Olcese) con l’acidità dei crauti.
Cucina e conto
La cucina è ancora casalinga e ben eseguita, sebbene – lasciamo ora da parte la nostalgia canaglia per riagguantare una doverosa obiettività – non raggiunga, purtroppo, le vette del passato: la (antipatica, lo sappiamo, ma chi afferra un testimone ingombrante deve essere disposto a confrontarvisi) comparazione tra il “vecchio” agnello al tegame (tenerissimo e croccante) e il “nuovo” capretto (piuttosto asciutto e insipido), ad esempio, va senza indugi a favore del primo; ma, in generale, i piatti difettano di quell’inafferrabile quid pluris capace di trasformare un piatto buono in uno eccellente.
La mancanza è stata forse rilevata anche da Slow Food, che non ha infatti rinnovato l’ambito riconoscimento della chiocciola alla nuova gestione. Le porzioni, poi, si sono un po’ ristrette, mentre i prezzi sono aumentati, portando il conto medio intorno ai quaranta euro, vini esclusi: un rincaro che riteniamo solo in parte giustificato dalla recente impennata inflattiva.
Servizio e cantina
Il servizio è giovane e informale e, tra i tavoloni, riecheggia ora la voce di un nuovo oste, sempre ligure – e dunque un po’ burbero, come si conviene – ma che non lesina qualche sorriso, soprattutto quando descrive con entusiasmo l’interessante carta dei vini che ha selezionato personalmente da piccoli produttori liguri e piemontesi. Le tre proposte della casa (tra cui un rosé a base ciliegiolo), beverine e a prezzi contenuti, arrivano dalla vicina cantina valpolceverina di Andrea Bruzzone.
U Santu resta quindi, anche nel nuovo corso, la fascinosa oasi campagnola di un tempo, e chi lo visiti per la prima volta ne resterà piacevolmente sorpreso.
I nostalgici fautori della vecchia guardia, cioè coloro che conservano vivida memoria dei sapori (e dei prezzi) della precedente gestione, potrebbe invece esserne un poco delusi; ma, in fin dei conti, l’Ostaia è un po’ come la vita: può essere capita solo all’indietro, ma va vissuta in avanti.
Opinione
La storica Ostaia da U Santu, nonostante il cambio di gestione, resta l’incantevole trattoria di campagna di un tempo (e, nella bella stagione, grazie allo splendido pergolato, non ha molti rivali). La cucina è semplice e di buon livello, mentre la cantina è curata e attenta al territorio. Il conto è un po’ troppo salato, ma è il biglietto che bisogna pagare per ritagliarsi qualche ora in un angolo di paradiso.
PRO
- Forse la più bella trattoria campagnola di Genova
- La prossimità alla città (10/15 minuti da Genova-Voltri) la rende facilmente fruibile
CONTRO
- Rapporto qualità-prezzo non del tutto soddisfacente
- La strada per raggiungerla è molto stretta e i piloti meno esperti potrebbero avere qualche difficoltà