Siamo a La Taverna del Buongustaio, trattoria di Napoli del quartiere Pignasecca in Vico Basilio Puoti. Linguista e lessicografo napoletano, Puoti apparteneva alla corrente purista-neoclassicista che tanto andava in voga tra la fine del Settecento ed inizio Ottocento. Stando a ciò che leggo, si frusciava (ndr, si vantava) di avere anche discendenze regali. Saremmo in profondo disaccordo, ma sono sicura che, da bravo intellettuale napoletano, sarebbe felice di questo ottimo avamposto di tradizione partenopea, nella via che porta il suo nome.
Il posto
Dicevamo, siamo in Pignasecca, ad un centinaio di metri scarsi dal chiassoso e colorito mercato rionale, in un vicolo un po’ defilato: la nostra Taverna del Buongustaio un po’ si confonde, è un ingresso di modeste dimensioni sotto un balcone con panni stesi ad asciugare, l’insegna dell’attività è sbiadita dal tempo. In questo sabato di metà ottobre in cui siamo in odore di lockdown, non c’è altra attrattiva oltre l’odore di cucina che fuoriesce dalla porta. Mi affaccio: ha l’aria del luogo vissuto, con le pareti tappezzate di caricature, qualche articolo di giornale dove la Taverna è menzionata. C’è la “giusta” cura, abbastanza pulito ma fermo nel tempo. Chiedo posto per due, ci accomodiamo in un angolo da dove possiamo vedere un po’ di via-vai-ma-non-troppo (è pur sempre un sabato di uffici chiusi). La tovaglia di plastica incerata è quasi emozionante nel suo essere fuori dal tempo. La sala è piccola, ci saranno un venticinque/trenta coperti in tutto; è affidata interamente alla signora Giusy (ne leggo il nome sulla divisa), che gestisce il flusso, le comande, i piatti, insomma tutto. Lo fa molto bene, con calore tipico partenopeo e la nota di merito di essere per nulla invadente.
Menu e prezzi
Il menu viene elencato a voce, data la sua natura giornaliera e variabile secondo le stagioni. In questo sabato di mezzo ottobre abbiamo tra le altre cose maccheroni alla siciliana, paccheri lardiati, spaghetti con il polpo: ricette veraci napoletane che “risentono” di una mezza stagione particolarmente lunga a Napoli, quel periodo ibrido dove si trovano ancora le ultime melanzane ma anche i primi friarielli. Per quanto riguarda i secondi, predominanza del fritto senza dubbio: calamari fritti, alici fritte, polpette fritte oppure al sugo, salsicce e friarielli alla napoletana. Non ci sono antipasti (però immagino si possa scegliere qualcosa e farselo portare prima), il vino della casa è genericamente bianco o rosso e si va dal quarto di vino, portato in una graziosa brocchetta demodé, al litro intero. Di conseguenza, non conosciamo nemmeno i prezzi delle varie portate, che però sono indicate sulla distinta della comanda consegnataci a fine pasto.
I piatti
Fumante, buona e decisamente abbondante la zuppa di lenticchie e broccoli, tipico comfort food dei vicoli napoletani: le lenticchie, un legume molto amato dai napoletani, sostituiva la quota proteica del popolino che raramente poteva permettersi carne, se non i ritagli poco nobili e le frattaglie (le mitologiche les entrailles, le interiora!); per quanto riguarda invece la presenza dei broccoli, basta ricordare che prima ancora di mangiamaccheroni i napoletani erano chiamati mangiafoglie. La collina del Vomero, oggi altamente urbanizzata, era fino agli inizi del Novecento “dedicata” alle coltivazioni di verdure a foglia larga come cavoli di ogni specie, broccoli ed altro.
La pasta e patate con provola provata alla Taverna del Buongustaio è una delle migliori mai mangiate. Piatto abbondante, la pasta utilizzata è la pasta mista. Personalmente ho amato la consistenza cremosa-non-azzeccosa data dalla miscela di amidi della pasta e delle patate, con le cotture di entrambi gli ingredienti indovinate (pasta non scotta, anzi, quasi al dente e le patate con una consistenza decisa: se non si fosse capito, odio le pappette informi). I puristi della pasta e patate – ebbene, esistono anch’essi – dicono che essa sia nata senza provola e che quest’ultima sia soltanto un espediente per rendere la pasta più “amalgamata”, mettendo in dubbio quindi le capacità dell’oste: qua siamo per il partito pasta e patate con provola, con una bella ma delicata nota affumicata che stuzzica e non stanca. C’è da dire che probabilmente, nel XVIII secolo (anno in cui si attesta la presenza della pasta e patate ne Il cuoco galante di Vincenzo Corrado), la nostra beneamata era nata come piatto di recupero, con la pasta sminuzzata destinata alla monnezza: questo per dire che l’aggiunta dell’elemento grasso e proetico – in questo caso la provola, in altri casi pancetta o ancora scorzette di formaggio – era ed è del tutto normale. Resta il fatto che questa versione della pasta e patate con provola è il miglior piatto del pranzo a mani basse.
Salto a pie’ pari i fritti per questa sessione, o quasi. Oltre i cinquantadue santi patroni di Napoli (per chi credeva che la faccenda si fermasse a San Gennaro, si sbagliava di grosso), la città ne ha un altro non dichiarato, ma celebrato praticamente per tutti i mesi invernali: parlo del friariello. Via libera quindi al primo piatto di salsicce e friarielli saltati in padella, con un pizzico di peperoncino. I friarielli sono assolutamente da non confondere con i friggitelli, cioè i peperoncini verde di fiume: in quel caso, “friggitelli” rappresenta la modalità di impiego e cottura, non l’ortaggio in sé. Si dice che il termine derivi dal castigliano frio-grelos, che appunto indicherebbe una sorta di broccoletto invernale; per quanto riguarda la ricetta – cioè ripassati in padella con olio extravergine d’oliva, aglio e peperoncino – pare che ci sia stata tramandata dagli abitanti della collina di Materdei, una zona di Napoli che è tra il Centro Storico ed il Vomero. Quale che sia la verità, a me piacciono da impazzire. La salsiccia di maiale è buona, i ritagli di carne sono quelli meno pregiati, tipici della salsiccia napoletana, e si sente. Manca un po’ di speziatura forse, il macellaio di riferimento avrà lesinato ma il risultato finale è assolutamente quello che mi aspettavo. I primi friarielli di stagione sono ottimi, manca ancora quella punta amarognola, astringente che pizzica il palato ma come esperimento d’ottobre sono promossi, con la promessa di rivederci comunque a novembre. Il pizzicore ci viene dato dal peperoncino, dosato in quantità umane e molto godibile. Scarpetta d’obbligo per ripulire il piatto dall’olio leggermente piccante. Il cestino del pane è molto semplice, con tocchetti di pane di semola comune, ma gradevole.
L’opinione
Il conto totale ammonta a 35,00 euro: due coperti, mezzo litro di vino della casa totale, due primi piatti ed un secondo piatto decisamente abbondante. Ci ritroviamo in linea con i conti delle altre trattorie napoletane della zona, con un leggero punto al rialzo per quanto riguarda la qualità della proposta. Nel complesso, La Taverna del Buongustaio si rivela un ottimo punto di approdo per scoprire o riscoprire la cucina tipica napoletana. Le fauci avranno la possibilità di assaggiare, dunque, primi piatti abbondanti, frittura, frittura e ancora frittura, verdure cucinate con amore e sapore casalingo, completato da un’ottima accoglienza, spartana quanto basta. Promosso.
Informazioni
La Taverna del Buongustaio
Indirizzo: Vicolo Basilio Puoti, Napoli
Orari: Tutti i giorni 12.00-15.00 / 19.00-23.00. Chiuso la domenica, tranne per periodiche aperture la domenica a pranzo.
Cucina: cucina tipica partenopea
Ambiente: casalingo partenopeo