Quanto vi manca la cucina delle belle vecchie trattorie di una volta, quelle aperte tutta notte, dove andavi con gli amici, mangiavi senza spendere un capitale e il titolare ti offriva anche l’ammazzacaffè? A cercarle bene, ma molto bene, ce ne sono comunque poche e una di queste si chiama Il Mulino Bruciato. Storico ritrovo dei “biasanot” di Bologna, letteralmente “mastica notte”, i tiratardi in parole povere, dei giocatori di calcetto e tifosi di basket che si ritrovano dopo la partita e dei tassisti che fanno il turno di notte. Un tempo, più o meno nel periodo leggendario prima dell’austerity del ‘73 e delle famigerate “domeniche a piedi”, si narra che ci fossero bar e osterie del genere anche in pieno centro. Finivano il turno alle quattro o alle cinque del mattino, tiravano giù la serranda giusto il tempo di dare una sistemata e buttare una secchiata d’acqua sotto il portico, poi riaprivano con il turno della mattina.
Il locale
In questo periodo si parla sempre più spesso di crisi del personale e di ristoratori che anticipano le chiusure dei locali per avere orari più sostenibili, mentre Il Mulino Bruciato è uno dei pochi ristoranti che ha lasciato invariata la chiusura alle 3 del mattino, estate e inverno, tutti i giorni della settimana. Essendo l’unico o quasi ad avere questi orari, anche arrivando a tarda notte si rischia di fare la fila fuori per aggiudicarsi il primo tavolo libero e non manca mai una folla colorita e vociante all’interno del locale. Si trova fuori dal centro, in zona aeroporto, alla fine di una strada chiusa, insomma non ci si capita per caso.
Un vero pilastro per i bolognesi che vogliono un piatto di tagliatelle alle prime ore del mattino, ma anche per gli amanti della cucina anni ‘80. Non pensate però a un ristorante che propone revival con musica dei Duran Duran e capelli cotonati, semplicemente si entra in una “bolla gastronomica” temporale e molte proposte sono le stesse di 40 anni fa. Come potete immaginare, questo è il regno dell’ingrediente principe di quegli anni, oggi ingiustamente ostracizzato: la panna con la “P” maiuscola. Se vi piacciono i piatti abbondanti con condimenti cremosi e avete nostalgia delle vecchie trattorie, allora siete nel posto giusto. Meglio comunque prenotare, anche presentandosi a un’ora improbabile si rischia di fare la fila fuori, soprattutto se si capita in un dopo partita della Virtus Basket.
Come si mangia
All’entrata vi accoglie un grande banco frigo con verdure crude o grigliate a buffet a cui ci si può servire antipasti e contorni a cifra fissa (5 euro). Una cosa (quasi) salutare che, neanche dirlo, sembra ormai scomparsa ovunque. Il menu è a voce e i primi sono un misto tra grandi classici petroniani e variazioni sul tema. In ordine di recitazione: gramigna alla salsiccia; maccheroncini, panna, speck, zucchine fritte (uno dei cavalli di battaglia del ristorante, da non confessare al dietologo); passatelli romagnoli asciutti pomodorini e basilico; tagliatelle all’ortica con ragù bianco allo scalogno, pancetta e pecorino; tagliolini alla romagnola con porcini; tagliatelle al ragù; tortelloni burro e oro; tortellacci gorgonzola e noci; caramelle con guanciale e crema di parmigiano; balanzoni ripieni di mortadella e ricotta conditi con mascarpone, salsiccia e rosmarino. Tutti i primi sono a 9 euro e, nell’indecisione, per 1 euro in più si può optare per il buon vecchio bis o tris (minimo 2 persone).
I passatelli sono piuttosto consistenti, conditi con un sugo fresco e insospettabilmente leggero, mentre i balanzoni al mascarpone, salsiccia e rosmarino non tradiscono: il ripieno è un concentrato di mortadellosità e navigano in un piatto di salsa grassa e cremosa. Pur con una certa “ignoranza” hanno una loro dignità: non sono affatto sgradevoli e possiedono il potere di proiettarvi in un’epoca di prosciutto arrotolato sui grissini e filetti al pepe verde. Le tagliatelle all’ortica e ragù bianco sono decisamente più delicate, ma nemmeno qui non manca la panna a legare il tutto.
In confronto ai primi, i secondi (tutti tra i 12 e i 14 euro) sono sobri come un pastore protestante prima della predica. Tranne la cotoletta alla bolognese: enorme, fritta, coperta di prosciutto e affogata in crema di panna e parmigiano. Un tripudio.
Per il resto si può scegliere tra scaloppine in diverse versioni; grigliata mista; tagliata (al rosmarino, l’immancabile rucola e grana e in glassa di aceto balsamico); tagliata fredda marinata sott’olio con pomodori secchi, olive taggiasche e scaglie di grana e infine filetto alla Wellington. La scaloppina (di maiale) ha proporzioni notevoli, ma al di là di quello, non ha particolari pregi e il misto di funghi sparpagliato sopra non aiuta. Molto più convincente è la tagliata fredda marinata, evidente omaggio ai tempi moderni che spezza un po’ l’atmosfera, ma si fa apprezzare per la qualità della carne.
Tra i dolci i grandi classici della cucina alla bolognese come la zuppa inglese, ma per chi volesse soprassedere ci sono comunque i biscottini di pasta frolla che vengono serviti con il caffè.
Il conto viene fatto in maniera spannometrica, ma la cifra è contenuta (30 euro a testa) contando che abbiamo optato per un vino in bottiglia e non quello della casa.
Il conto
Molti bolognesi sono assidui frequentatori del Mulino bruciato e tornano periodicamente per affezione a questo tipo di cucina e all’atmosfera conviviale, altri ci capitano per una cena a ora tarda, quando tutti gli altri ristoranti sono già chiusi, ma il mio consiglio è di provare almeno una volta questo pilastro della ristorazione cittadina, soprattutto se siete degli inguaribili nostalgici (ovviamente degli anni ‘80).
Opinione
Una trattoria che ha il pregio di rimanere aperta fino a tarda notte e offre una bella atmosfera conviviale, perfetta per grandi tavolate. Se siete affamati e avete nostalgia della cucina anni ’80 a base di panna non potete perderla.
PRO
- Rimane aperta tutte le sere fino alle 3 del mattino
- Piatti della tradizione bolognese in chiave anni '80
CONTRO
- Le preparazioni, soprattutto i primi, sono eccessivamente ricche e pesanti