La nostra recensione di Eufrosino Osteria, nuova apertura di Roma, che ha inaugurato il 2020 all’insegna della cucina regionale italiana con quella che è, vi anticipiamo, la trattoria romana per antonomasia, a Tor Pignattara.
A Roma si va in trattoria. Per godere della meraviglia di carbonare, amatriciane, trippe con la menta e polpette al sugo. Meraviglia, tradizione, incanto che a ‘na certa, però, dopo il trecentesimo primo piatto guanciale e pecorino, anche dateme tregua.
Con tutto il rispetto per il ricchissimo bagaglio della romanità, l’Italia dei piatti tipici è grande e merita una vetrina nella Capitale; un diorama caleidoscopico che possa raccontarne le ricchezze anche a chi arriva sul patrio suolo per pochi giorni, senza la possibilità di attraversare in lungo e in largo lo Stivale.
Fiutata l’occasione di arrivare per primo su un format assai goloso, è sceso in picchiata il solito Marco Pucciotti – imprenditore seriale dell’Appio Tuscolano – ad afferrarla e renderla reale: Eufrosino Osteria, inaugurata da poche settimane, è infatti sì una trattoria più o meno popolare, alle propaggini della popolarissima Tor Pignattara, ma a dispetto di quanto cliché vorrebbe non è di certo una trattoria romana.
Un’altra cosa che Eufrosino non è, o promette di non essere, è una trattoria contemporanea: la cucina, nelle mani di Paolo d’Ercole, intende proporre letture delle ricette della tradizione il più possibile letterali, filologiche, che si sottraggano alla comodità del dover innovare.
Bando quindi a coratelle, caci e pepi e punte di petto alla fornara; bando a brutte salse a specchio, fermentati, e destrutturazioni: Eufrosino, patrono dei cuochi e Santo onomastico del locale, è chiamato a vigilare affinché le preparazioni attingano a un patrimonio di consolidati successi regionali il più possibile vasto, e vengano realizzate senza il ricorso a cotture sottovuoto, sifonature e simili.
Tali procedimenti, ormai all’ordine del giorno anche in cucine della ristorazione di media caratura, faciliterebbero infatti il conseguimento rapido di precisi risultati in termini di sapori e texture; ma risulterebbero intrusivi rispetto alla gastronomia storica italiana, finendo per alterarne i valori (di lentezza, pazienza, “genuinità”; nel senso sanguigno che avrebbe inteso per il termine Mario Soldati).
Il concetto, sicuramente interessante, si rivela ostico da realizzare: non è facile infatti calarsi nello spirito culinario di regioni nelle quali non si è mai vissuti, non è facile nel contesto di una simile operazione risultare autentici e autografici, ancora più difficile è riuscire nell’impresa se si sceglie di non prendere scorciatoie, non accettando compromessi e mode.
Rispetto alle premesse, quindi, come si posiziona la messa in atto operata da Pucciotti e soci?
Il locale
Una grande sala parallelepipedale, larga e lunga, si affaccia su via di Tor Pignattara con un tendone da sole blu scuro ed un anti-ingresso coperto; che ospita fumatori nell’attesa di divenire dehors estivo. Dietro la porta a vetri, una prospettiva dal lontanissimo punto di fuga si snoda attraverso boiserie a mezzo muro su entrambe le pareti, con la frazione libera dai foderami di legno ricoperta di quadri, fotografie, cianfrusaglie.
A livello visivo, non manca nessuno dei cliché delle trattorie della memoria, quelle in cui tra gli anni ’70 e i primi Novanta ci siamo ritrovati per pranzi della Domenica, battesimi di cugini, prime comunioni: luoghi polverosi con i piatti del Buon Ricordo, il ritratto di Pertini, il calendario dei Carabinieri appeso a un angolo.
Manca la polvere, quella sì, intesa non come sporcizia ma come autentica aria vissuta di un posto più antico; è questa mancanza a svelare che siamo ancora nel presente, che l’ambiente sia un artificio, una voluta ricostruzione dei luoghi buoni della mente, un divertissement.
C’è però il suono: quel brusìo indefinito ma inconfondibile, le voci che rimbalzano sulle pareti, il chincagliare di piatti e posate, qualche stridio di bambino… Le voci la riscalderanno, questa sala che odora di nuovo, indoreranno i muri e le fasciature, lasciando qualche graffio sui tavoli e una sediolina zoppa. Né tarderanno a farlo, a questi ritmi: dall’apertura, tutti i giorni, è tutto pieno.
Sotto le grandi lampade da biliardo e la loro luce conica, morbida, c’è il mio tavolo; guarda vicino la cucina a vista (che mi rendo conto adesso essere concessione alla modernità: risulta perfettamente integrata nell’insieme, il lavoro sereno della brigata cattura la mia attenzione).
I tavoli sono vicini com’è giusto, tanto che capiti di scambiare una chiacchiera con chi è vicino.
La sala, animata da camerieri in perenne frenesia, è condotta da Paolo Abballe, ex Metamorfosi, che qui si fa maître, sommelier: oste.
Il menu e i prezzi
La lista delle vivande si presenta in rilegatura bordeaux in ecopelle d’antan, con tanto d’angoli rinforzati in metallo dorato, i fogli A4 inseriti negli schedari in PVC. I sei antipasti spaziano dai cinque agli otto euro, i primi dagli otto ai dodici, i secondi da quattordici a diciotto euro, contorni a quattro.
La carta dei vini è forte di qualche etichetta naturale, di due proposte di “sfuso” della casa per i rossi e due per i bianchi, e di cinque birre artigianali alla spina; a ricarichi medi.
Mi beo del font scelto per il menu, che mi riporta in un colpo solo in rinomati e antichi ristoranti del Belbo e in circoli di caccia con cucina, ora scomparsi, alle pendici dell’Etna; e scelgo.
I piatti
Si comincia con l’ottimo cestino del pane prodotto in casa da Sami el Sabawy, pizzaiolo di “A Rota”; la pizzeria romana che occupa la seconda metà del grande locale in cui è sistemato Eufrosino.
L’acquacotta, antica zuppa dei butteri maremmani, si presenta nel classico coccio rovente con teste leonine: straripante di biete e rimandi vegetali, soda e densa, potrebbe giovarsi forse di un tocco di sale in più; compensa però la mancanza con la ricchezza avvolgente dell’uovo posizionato in cima alla preparazione, che cola al primissimo approccio, e le fette di pane tostato che pregne di umori di minestra si sfaldano sotto al cucchiaio.
Indimenticabile la torta di faraona e cavolo nero dell’Alto Lazio, crosta burrosa e ricca, friabilissima, il cavolo nero in cottura precisa che fa da supporto, in una trama verde vivo, alla dolcezza delle carni bianche e tenere.
Offerte dalla casa, arrivano le stigghiole: cibo di strada palermitano, sono un budellino di agnello ravvolto attorno a un cipollotto e cotto alla carbonella (qui al Josper).
Per quanto servite in maniera decisamente irrituale – in Sicilia non esistono nei ristoranti, soltanto per strada – mi prendono per le orecchie lanciandomi in orbita; svenuto per alcuni secondi, atterro con una culata sotto il Ponte delle Scienze, al cospetto della colonna di fumo del più celebre stigghiolaro del capoluogo della mia Regione. Esecuzione eccellente, e grandissima l’intuizione che mette sotto alla porzione di interiora arrosto una misticanza croccante nella quale riesco a identificare finocchio selvatico e nepitella. Fresca, amara, da masticare; fa da contraltare alla crosticina delle carni, al loro sapore grasso, al limone fresco spremutoci sopra. Sembra di mangiare un agnello ancora al pascolo. Manca solo un filo di smoky in più, ma poi mi ricordo – nonostante i tempi di sala precisi, i piatti senza sbavature – che questo posto è aperto da quindici giorni. Ci sarà tempo.
Seguono primi: ottimo l’“Omaggio all’Abruzzo” con la chitarrina cacio, ova e pecora; una sorta di carbonara igniorante – con la i, mi raccomando – in cui l’eretico Abballe infrange ogni biblico tabù miscelando, letteralmente, il proverbiale capretto del Pentateuco col latte di sua madre. Il ragù di pecora, selvatico al punto giusto, addomesticato ma mai edulcorato e odoroso di pastura, sostituisce egregiamente il maiale fornendo agli spaghetti alla chitarra prodotti in casa (dalla consistenza meravigliosa) una sontuosa unità, sancita dal cremoso mantello d’uovo e dalla sottile spinta sapida del pecorino.
Un po’ sottotono, rispetto al resto, le orecchiette alle cime di rapa; con la pasta che si conferma di genuina e squisita fattura, e la verdura ad alto tasso d’espressività e amaro (grazie a una doppia consistenza: crema e cime intere). Latita invece l’alice, che avrebbe potuto essere dosata più generosamente, con l’insieme che si potrebbe giovare, in genere, di maggiore sapidità anche attraverso la scelta di un cacioricotta più deciso.
Sul versante secondi piatti, buono lo stracotto d’asino ragusano al Cesanese; morbido quasi da essere consumato al cucchiaio ma piacevolmente mordibile, la succulenza quasi ematica smorzata e involtolata dai succhi di cottura, che aggiungono rotondità e frazione acida. Accompagnato da un ottimo purè di patate dalla schiacciatura grossolana, che figurerebbe bene in qualsiasi almanacco delle tradizioni casalinghe.
Come dessert, un dolce-non dolce, delle seadas spostate più sul versante del cacio che su quello del miele: la scorza neutra e friabile raccoglie un pecorino decisamente vivace, filante e ai limiti del pungente, cui il miele di corbezzolo, più che fare da contraltare gustativo, aggiunge ampiezza aromatica e note di macchia mediterranea; che sfociano in un lungo e delicato finale amaro. Ottimo piatto, ma nell’economia complessiva della cena, un tocco di zucchero in più al fine pasto non avrebbe nociuto.
In definitiva
Eufrosino si rivela già a meno di un mese dall’inaugurazione un indirizzo sorprendentemente solido, capace di interpretare in maniera autografa e fedele piatti dalle molteplici tradizioni regionali italiane. Le scelte coraggiose in termini di format e concetto sono interpretate brillantemente dalla brigata e dalla squadra di servizio, restituendo un’immediata e ucronica impressione di autenticità che sembra piombata all’improvviso tra le mura pitturate di fresco. Pochissime le rifiniture da mettere in opera in cucina, quasi nessuna invece da applicare in sala: a sistemare i dettagli, così come ad autenticare l’atmosfera e a glassare il mobilio, sarà il tempo.
Informazioni
Eufrosino
Indirizzo: Via di Tor Pignattara 188
Sito web: https://www.facebook.com/pg/EufrosinoRoma/
Orari di apertura: lunedì 19:30-22.30, mercoledì-sabato 19:30-22.30, domenica 12.30-15 e 19.30-22.30
Tipo di cucina: Regionale italiana
Ambiente: Trattoria della memoria
Servizio: Informale da osteria, con mestiere