Ciciarà a Milano, recensione: la nuova cucina antica, senza i suoi cliché

Recensione di Ciciarà a Milano, trattoria incentrata sulla “nuova cucina antica” italiana, nonché nuova apertura: menu, prezzi, piatti, foto, le nostre opinioni.

Ciciarà a Milano, recensione: la nuova cucina antica, senza i suoi cliché

La nostra recensione di Ciciarà a Milano, trattoria nel solco sempre più battuto della “nuova vecchia cucina”, che si smarca dai cliché di questo stesso trend, tra nostalgia vintage e intelligente interpretazione della cucina casereccia nostrana.

Si è appena alzata la saracinesca di Ciciarà, costola del conosciutissimo e amato caffè letterario Colibrì, in pieno centro a Milano. Col piccolo locale condivide la squadra e la proprietà (Maria e Giovanni Moratti (giovani esponenti della nota dinastia imprenditoriale) e vanta in aggiunta l’ingaggio di personale in cucina e al bar con esperienze solide e prestigiose alle spalle (ad esempio, presso Niko Romito).

Da Ciciarà va in scena un immaginario, un racconto ben preciso, quello della “nuova cucina antica”. Quest’ultima parte dal recupero della tradizione, del territorio, e degli ingredienti poveri e negletti, ma lì non si ferma. Si inquadra nel paradigma prevalente della messa in scena della trattoria famigliare, interpretato con perizia e visione. Piccoli allevamenti, filiera corta, stagionalità, sono i punti di partenza, insieme all’impostazione di base della cucina intorno ai territori del nord Italia, con insolita attenzione alla cucina di lago.

Ciciarà MilanoCiciarà Milano Ciciarà Milano È la lunga scia contemporanea per cui la cucina casalinga è presa in mano con piglio, affrontata di petto. È mantenuta la sua natura povera e antica, ma è arricchita di significato, elevata con i mezzi della sapienza tecnica e della fantasia leggera che tuttavia non ha bisogno di stravolgere o “rivisitare” alcunché. È ricerca e non semplicemente tradizione. Credo sia ovvio dove vado a parare: è la lunga scia di Trippa. E se forse iniziasse già a salire in noi tutti, finissimi interpreti dello zeitgeist gastronomico, un vago tedio per qualcosa che in apparenza già ha il sapore stanco dell’abusato, che mostra già le corde stonate della ripetitività e del già visto, non dimentichiamo una cosa (e lo dico in primis a me stesso). Il movimento della “nuova cucina antica”, o se preferite della Trippa revolution, è la cosa più interessante e promettente che la scena gastronomica italiana abbia visto da decenni, e nasce proprio a Milano.

Una città che fino l’altro ieri – mentre a Barcellona, Parigi e Copenhagen si ridefinivano i capisaldi della ristorazione mondiale a venire – si ritrovava, vorace e arretrata, a disquisire dell’ultimo all-you-can-eat di sushi cinese in voga. Questa benefica tempesta, che da Milano ha già invaso mezza Italia, è la prima chance per il nostro paese di imporre, chissà magari anche internazionalmente, un nuovo canone identitario, che scaturisce dal suo DNA culturale e gastronomico. E non dovremmo essercene già stancati, anzi.

 

E comunque Ciciarà, per quanto inquadrato in questo contesto, si smarca dall’estetica fotocopia delle pareti ocra e delle tovagliette di carta assorbente. Il vintage nostalgico della vecchia Italia c’è, ma si mischia con sprazzi anni 60 di richiamo pop-americano, come le sedute a panca della sala superiore o il grande flipper. In una certa interessante controtendenza, la normalmente obbligatoria, articolata e studiatissima cantina di vini naturali cede il passo a un’offerta di cocktail d’autore con ingredienti di ricerca e di piccola produzione, di modo che il luogo funga eventualmente anche da cocktail bar. La carta dei vini, al contrario, è stringata, sobria, non priva di interesse ma forse – ma magari sbaglio – tradisce la non-presenza di una figura dedicata alla selezione.

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Il menu è schietto e sbrigativo, concentrato su una carrellata significativa di piatti rustici e di remota suggestione. A scapito del nome che cambia per ogni zona del paese (ad esempio in centro Italia è la coppa), il cliché che l’accompagna è il medesimo: roba da vecchi; e tendenzialmente disgustosa. Invece la testa in cassetta servita con sott’oli di produzione propria (10 euro) è ottima e delicata. Il pesce di lago è l’altro protagonista degli antipasti, con i misultin e il lavarello. I primi, pescetti di nome agone sottoposti a complessa preparazione, tipici del lago di Como, e qui serviti con salsa verde e patata (10 euro) ; il secondo, una tipicità del lago di Garda, proposto fritto in pastella con salsa tartata (12 euro).

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Tra i primi, i fuori menu del giorno contemplano gli spaghettoni con suffritt (14 euro), ricetta napoletana a base di interiora del maiale in densa salsa rossa. Cremoso e avvolgente, le frattaglie vestite a festa. I secondi sono quattro in tutto, e prima di essere quattro piatti, sono quattro animali. Pollo, trota, poi maiale nero dei Nebrodi razza siciliana (17 euro) in cottura impeccabile e accompagnato da verza; infine pecora gigante bergamasca con cavolfiore (17 euro), come scanzonato sconfinamento verso le ricette del centro Italia.

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Molto bene i contorni di verdure, incentrati sull’ingrediente stagionale, ma con l’intento ben riuscito di non annoiare o scadere nella talvolta prevedibile biodiversità invernale. Allora la preparazione in carpione libera la zucca (8 euro) dalla trappola dolciastra, donandole invece un guizzo di contrasti inatteso. La salsa d’acciughe sulle puntarelle (8 euro), insolitamente tagliate grossolane, è un’onda morbida e pungente al palato. A completare i contorni, cime di rapa saltate e altre insalate di stagione (6 euro). Con circa 40 euro di conto a testa (bere incluso), portiamo a casa un altro tassello della lenta (veloce?) costruzione di un nuovo paradigma italiano.

Ciciarà Milano

Informazioni

Ciciarà

Indirizzo: Piazza Santo Stefano, 8, 20122 Milano MI
Orari: Aperto pranzo e cena tranne il lunedì, solo a pranzo. Chiuso la domenica.
Sito web: facebook.com/ciciaramilano
Tipo di cucina: nuova trattoria italiana
Ambiente: curato retro, accogliente
Servizio: competente e amichevole.

Voto: 4/5