A Cabannetta de Cianderlin di Genova è un luogo indefinibile (un po’ casa d’altri tempi, un po’ spartanissima trattoria) e ancora ignoto ai più, dove materie prime auto-prodotte e tradizione ligure si fondono in una sorprendente cucina casalinga della memoria. La nostra recensione-cronaca di un colpo di fulmine.
Proprio come nei romanzi, dove il tesoro salta fuori abbandonando la mappa, così, nella caccia alla migliore cucina casalinga zeneize, capita d’imbattersi nel suo esempio più riuscito ignorando le rotte già battute da foodies e guide, e imboccando invece le stradine secondarie offerte dal caso, come quella che conduce alla Cabannetta de Cianderlin di Genova.
Per scovare questa perla rara, spingetevi dunque sino alla Nostra Signora del Monte, lo splendido santuario quattrocentesco che si staglia sul quartiere di San Fruttuoso e incamminatevi, placidamente, lungo la crêuza del Pianderlino (Cianderlin, in dialetto).
Ambiente
Nel frattempo, predisponete spirito e corpo a una delle mangiate – ma, cheddico, a una delle esperienze – più sorprendenti e bizzarre del panorama gastronomico locale.
Se, infatti, approssimandosi alla meta, pare quasi di trovarsi in un luogo abbandonato, tra una sedia di plastica mollata lì e un rudere diroccato, giunti alla Cabannetta (che, a scapito del nome, non è una capanna) si disvela, invece, una vivissima, e straniante, visione: siamo forse capitati in un dopolavoro del secolo scorso? O in una bocciofila d’antan non ancora sverginata dai filtri dell’Instagram (tanto che, solo a scattarle una foto, si teme di sottrarle un pezzetto d’innocenza)? Con la sua stanzona chiassosa, da neon illuminata, tutta gagliardetti e quadri storti, tovaglione di plastica e fiorellini finti? O, forse ancora, in una casa del tempo che fu, ornata di pizzi, ninnoli e crocefissi?
Manco il tempo di rispondersi, d’orientarsi, che si viene investiti dall’accoglienza dei proprietari. Il gentile, flemmatico, Fulvio, cascata di boccoli canuti e stazza da omone di campagna e la figlia Francesca, allegra e sorridente. Fiorella e Fiammetta, ovvero moglie e figlia, sono invece ai fornelli – e da lì ci faranno sognare.
Menu e cucina
Gli antipasti incedono senza attese: insalata russa magistrale (verdure sode, maionese delicata e leggera), frisceu fritti alla perfezione (croccanti, soffici, asciutti) e focaccette di patate di supporto a eccellenti salumi un po’ più che locali. Tutto ciò che si cucina al Cianderlin proviene, infatti, dall’azienda agricola di famiglia: dalla verdura al grano, dai legumi agli animali, allevati in spensierata libertà (e, si sa: bestie felici, palato felice). Qui, infatti, si apre solo nel fine settimana, ché nei restanti giorni i Fab Four si alternano tra campi, stalle e frutteti.
Il vino, rigorosamente sfuso, è l’unica eccezione all’autarchia produttiva: due rossi (di cui una Barbera affatto male) e un solo bianco, che si può però avere freddo o a temperatura ambiente, quindi, anche qui, l’alternativa è duplice.
A tal proposito, è bene sappiate che dal Cianderlin la libertà di scelta è circoscritta, appunto, a bevande e dolci, mentre il resto plana sui tavoli senza indugi né richieste.
Ecco, quindi, Fulvio, zuppierona alla mano, dispensare mestolate generose del minestrone alla genovese migliore di sempre (e, detto da una ancora segnata dal trauma infantile del “non-ti-alzi-finchè-non-finisci-il-minestrone”, il plauso, concedetemelo, vale doppio). Cremoso, denso, saporito: un coro sincrono di verdure (anch’esse felici, crediamo) intervallato da assoli di pesto e dalla tenace consistenza degli scucuzzun, le sferette di pasta di semola, scelte (bravi! Bravi!) in vece dei più inflazionati brichetti.
L’entusiasmo ci spinge a un doveroso bis e a un incauto ter, giacché ignoriamo di non essere neppure nel mezzo del cammin (della cena) di nostra vita. Seguono infatti ravioli alla genovese (farciti di borragine, arrosto e salsiccia – a voler essere pignoli forse un po’ troppa), spezzatino con patate e piselli (cremoso e tenerissimo, sempre per quel solito discorso delle bestie felici) e arrosto con purè. Alcuni compagni di (av)ventura giurano, commossi, di ritrovarvi l’irreplicabile, proustiano, sapore “di quello di nonna” e, come sa bene ogni italiano degno della sua stirpe, il complimento non va preso alla leggera.
Oramai provati dalle quantità, ma sospinti dall’ardore insaziabile degli innamorati, cediamo anche ai dolci (semifreddo di castagne, meringata e crostata alle ciliegie), tutti eccellenti, e, infine, a un indispensabile grappino-salva-vita (o salva-sonno), ovviamente fatto in casa.
Conto
Il conto, al prezzo fisso di trenta euro vino incluso, è solo l’ultima rivelazione della migliore cena zeneize degli ultimi anni.
Andateci, dunque, ma non ditelo troppo in giro e, soprattutto (vi supplichiamo!), moderate gli strombazzamenti virtuali, ché noi vi abbiamo introdotti al timido Cianderlin, voi non ce lo corrompete con le sirene dell’hashtag e lasciatelo sempre così, puro e schivo, come l’abbiamo incontrato.
Opinione
Un luogo fuori dal tempo, spartano e démodé (nella migliore accezione). Una sorprendete fucina di sapori della memoria resi speciali dalle materie prime dell’azienda agricola dei simpatici proprietari.
PRO
- Cucina semplice, casalinga, ma di perfetta esecuzione
- Eccellente rapporto qualità-prezzo
- D'estate, tavoli sulle fasce alberate
CONTRO
- Vestiti intrisi di cibo (ma ai nostalgici può piacere)
- L'apertura solo nel weekend rende difficoltoso trovare posto