Il foie gras, una volta appetibile bene di lusso, e già da tempo in crisi per la sensibilizzazione dei consumatori e i divieti legislativi, potrebbe ricevere il colpo definitivo da un’epidemia. Non è il coronavirus, ma un tipo di influenza aviaria particolarmente cattivo, che sta decimando le anatre in Francia, e che sta portando all’abbattimento di milioni di capi, nel disperato tentativo di arginare il contagio.
La storia ha degli interessanti parallelismi con la vicenda dei visoni, gli animaletti da pelliccia nei cui allevamenti il coronavirus si è reso protagonista uno spillover inverso, facendo strage e causando chiusure – spesso definitive – degli stabilimenti: anche qui, l’epidemia funge solo da acceleratore di un declino ormai inarrestabile.
Insomma, il fegato d’oca ingrassato potrebbe estinguersi come i colli di pelliccia: metteremo entrambi nel museo dei ricordi, in memoria di un’epoca spensierata e crudele? Vedremo.
Il problema del foie gras
Il guaio delle povere anatre e oche è che hanno un meccanismo naturale di ingestione del cibo e di conservazione delle riserve, che hanno evoluto nel corso di milioni di anni e che ha garantito la loro sopravvivenza: ora è la loro condanna. Questi volatili posseggono un esofago molto elastico e resistente, in grado di permettere il transito di interi pesci, per esempio. In più, possono accumulare riserve di grasso per i mesi in cui c’è meno da mangiare, e queste riserve si depositano nel fegato.
Il fegato quindi ha una naturale propensione all’ingrossamento: ma quando l’uomo se n’è accorto, è stata la fine. Non ci siamo accontentati infatti, ma come per quasi tutti gli animali di allevamento abbiamo portato le cose fino al limite massimo: nelle ultime settimane di vita le povere bestie vengono ingozzate a forza, con delle cannule che entrano direttamente nello stomaco; è la pratica che i francesi chiamano finition d’engraissement, o gavage.
Una cosa orripilante, che ha come risultato quella che alcuni definiscono una vera e propria patologia del fegato – anche se gli allevatori sostengono che gli animali non soffrono, e che avviene una normale espansione dell’organo. Con il mutato atteggiamento verso le condizioni di vita degli animali, caratteristico degli ultimi decenni, molti consumatori si sono allontanati da questo cibo, e sono partite campagne di sensibilizzazione. Che in molti casi hanno avuto effetti diretti sulle leggi dei singoli paesi. Nell’Ue per esempio, la produzione di foie gras è senz’altro vietata, “tranne nelle nazioni dove è pratica comune”. Tra queste ovviamente la Francia, e poche altre.
In altri luoghi si è andati oltre: a essere vietata non è solo la produzione, ma anche il consumo. A New York un severo divieto di foie gras, con pesanti multe, colpirà sia i negozi sia i ristoranti a partire dal 2022. In passato norme analoghe erano state emanate a Chicago e in California. Mentre altrove, come in Italia, sono le catene della GDO o gli chef che in autonomia operano una scelta etica, e bandiscono il foie gras dalla propria cucina.
Un declino storico
Il risultato di tutto ciò? Un calo nei consumi, lento ma inesorabile. Se per esempio dal 2011 al 2015 il mercato globale aveva visto un aumento di valore – da 1102 a 1184 milioni di dollari – questo era dovuto solo ed esclusivamente alla crescita dei prezzi. Nel 2018, tre anni dopo, notiamo infatti una flessione anche nel valore: 1127.8 milioni di dollari. E le cose non sono che peggiorate.
Nel 2020 poi ci si è messo il Covid: le restrizioni in tutto il mondo hanno portato soprattutto alla chiusura dei ristoranti, e come si può immaginare i maggiori acquirenti di foie gras sono proprio i locali di lusso. Tanto che, sotto Natale, il foie gras ha potuto beneficiare di fortissimi sconti, in deroga alla legge francese che limita al 34% i ribassi per le promozioni.
La terza epidemia
Nei primi giorni del 2021, infine, è arrivata l’aviaria: l’influenza H5N8 ha colpito gli allevamenti delle Landes. Presto gli allevatori hanno iniziato a chiedere l’abbattimento forzato totale: lo scopo è quello di fermare il contagio facendo piazza pulita non solo dei volatili malati, ma di tutti quelli presenti nelle aree colpite dal virus. Una strage. Che ferma la produzione per mesi – ma gli allevatori vengono prontamente risarciti, ecco perché sono a favore. È già la terza epidemia di aviaria nel giro di 5 anni: per ora sono stati abbattuti 400mila esemplari, ma ce ne sono 5 milioni nella zona. In questo momento non si sa come e quando se ne uscirà, e quali potrebbero essere le conseguenze di lungo periodo.
Soluzioni alternative? Non mancano. Stanno sorgendo allevamenti cosiddetti etici, che hanno abolito la pratica del gavage ma non rinunciano all’ingrossamento del fegato, ottenuto con un intervento di biotecnologia. Unico problema, questo metodo costa talmente tanto che il foie gras così prodotto viene un euro al grammo: qualcuno voleva il bene di lusso? Eccolo accontentato.
Poi ci sono le soluzioni estreme: una ce l’ha Eat Just, l’azienda che produce carne in laboratorio, e che di recente ha piazzato la bandierina della prima autorizzazione alla vendita al pubblico, a Singapore. Una delle prime sperimentazioni di Eat Just riguardava proprio i tessuti di fegato d’oca (la carne in laboratorio si ottiene da cellule prevalete da un animale che rimane vivo): la cosa curiosa è che aggirava quello che è il principale problema delle carni coltivate, cioè il fatto che il risultato può essere ottimo come sapore e apporto nutrizionale, ma spesso è debole sotto il profilo della consistenza. Insomma sono delle pappette informi, dei mollicci paté: perfetto, proprio quello che è il foie gras!
Insomma non sappiamo quale foie gras ci riserverà il futuro, se mai ce ne sarà uno (di foie gras, ma anche di futuro). Etico, coltivato, extralusso? Quel che è certo, è che è finita un’epoca.