Tutti sul carro del Fancy Food di New York: veramente l’Italia va negli Stati Uniti con queste aziende?

I criteri della partecipazione italiana al Fancy Food di New York, raccontata dalla politica come la vetrina ideale del Made in Italy, sembrano più commerciali che qualitativi: non c'è da stupirsi, visto che si tratta di una fiera commerciale.

Tutti sul carro del Fancy Food di New York: veramente l’Italia va negli Stati Uniti con queste aziende?

L’Italia è presente facendo sistema per promuovere le sue eccellenze, che rafforzano la ricchezza del nostro paese, oltre a far bene al resto del pianeta perché portano benessere anche alla salute fisica e mentale“, ha detto il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida tagliando il nastro del padiglione italiano del Summer Fancy Food Show di New York, una delle più grandi esposizioni alimentari del Nord America, a cui l’Italia partecipa orgogliosamente con più di trecento produttori e con un red carpet di orgogliosi rappresentanti delle istituzioni. C’è Stefano Bonaccini, in rappresentanza della “regione regina dei prodotti Igp e Dop in Europa“, come dice felice alle telecamere. C’è Alberto Cirio, che racconta i vini piemontesi come fiore all’occhiello della produzione vitivinicola italiana. C’è pure Coldiretti, tra lotta all’italian sounding e difesa della Dieta Mediterranea.

D’altronde, la vetrina del Fancy Food è ampia, e quello degli Stati Uniti è indubbiamente un pubblico interessante a cui far conoscere i nostri prodotti, sia facendoglieli assaggiare sia con degustazioni e masterclass (come quelle organizzate per l’occasione dal Consorzio dell’Aceto Balsamico di Modena), e quindi ci può anche stare che se ne approfitti per fare un po’ di passerella alle nostre materie prime e anche a chi, in politica, lavora per promuoverle. Quindi, a New York, si trovano un po’ tutti, in questo momento.

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Ci sono in consorzi, naturalmente, a ricordare la bontà dei nostri prodotti e l’importanza del mercato statunitense. E c’è, appunto, il ministro Lollobrigida, in prima linea per la difesa e la promozione del miglior Made in Italy all’estero. Un carro di italianità bellissimo, partito romanticamente per New York con una valigia di cartone piena zeppa di pasta e pummarola da far assaggiare a quegli Americani mangia hamburger e patatine.

Cos’è il Fancy Food e cosa ci fa l’Italia

fancy food new york

Speriamo solo che gli gnocchi proposti al pubblico non siano stati solo quelli di Nocca (come si vede in un video girato dai colleghi dell’AGI), interessante (davvero!) pastificio di Moonachie (vi risparmiamo la fatica di cercarlo sulla cartina: non si trova in Italia) e realtà aziendale in crescita, che a Fancy Food presenta anche “Pranzo”, un’azienda di importazione di prodotti premium italiani. I loro gnocchi, non lo mettiamo in dubbio, saranno buonissimi, ma dubitiamo che non ci possano essere rappresentanti migliori dell’arte italiana della produzione della pasta.

Ma magari quel video è stato girato altrove, e non nel padiglione italiano, e comunque il fatto è che il Fancy Food è un’esposizione commerciale, quindi ci finisce dentro – correttamente e del tutto legittimamente – chiunque abbia voglia di partecipare e chiunque venga giudicato idoneo dall’organizzazione, esattamente come avviene nelle fiere italiane.

L’unico motivo per cui una fiera B2B come tante (sebbene la più grande nel suo genere di tutto il Nordamerica) è finita sui giornali italiani è perché la politica ha raccontato di averla in qualche modo selezionata come vetrina ideale dell'”extraordinary italian taste”, come racconta il claim del padiglione italiano (il più ampio di tutta l’area internazionale), in cui sono presenti trecento imprese del nostro Paese. Quasi quante ne furono nel 2010, con l’edizione record per cui a New York arrivarono 330 imprese italiane, anche se in quell’occasione non ricordiamo tutto questo clamore.

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In ogni caso, da domenica 23 a martedì 25 giugno le imprese dell’agroalimentare nazionale sono presenti a questa indubbiamente ghiotta occasione di promozione commerciale, gestita – per la parte dei padiglioni italiani – dalla Universal Marketing SRL di Donato Cinelli – che più o meno da trent’anni “organizza la partecipazione italiana di aziende, enti ed organismi associativi ai più importanti eventi e manifestazioni fieristiche internazionali“, e che gestisce anche tutti gli spazi italiani al Fancy Food.

Un’occasione commerciale, dicevamo, indubbiamente di alto profilo, che è stata scelta dal Governo – e dalle Regioni – come vetrina ideale per le produzioni italiane tanto che sono stati attivati, a livello locale, diversi bandi per i contribuiti alla partecipazione alla fiera, secondo quanto previsto dai Programmi Regionali i(PR) del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR).

Come partecipare al Fancy Food? I criteri previsti dalle Regioni per i fondi

grana padano fancy food

Come probabilmente sempre più spesso accadrà, con un Governo che spinge su una sempre maggiore autonomia delle regioni, ogni regione ha pubblicato il bando per la richiesta di partecipazione al padiglione italiano del Fancy Food. I contributi erano diversi (per esempio, le imprese della Campania hanno dovuto “compartecipare all’iniziativa con un contributo di euro 2.000,00 oltre IVA, quota maggiorata del 10% se il fatturato è compreso tra 500.000 e 1.000.000 di euro, quota maggiorata del 20% se il fatturato è maggiore di euro 1.000.000.“, mentre per quelle dell’Umbria è bastato “un contributo di partecipazione di 1000 euro più iva“. Anche i criteri per aggiudicarsi gli aiuti, sebbene con alcuni paletti fermi (la sede nella regione di riferimento, l’idoneità in termini fiscali e giudiziari) erano più o meno specificate, e includevano quasi sempre una certa attitudine al commercio con l’estero, testimoniata anche dalla partecipazione a precedenti eventi di questo genere.

La produzione di prodotti a marchio DOP/IGP in effetti è un’altra costante, a cui nella comunicazione della Regione Campania si aggiungono punteggi per le produzioni BIO e per quelle tradizionali (oltre che per le certificazioni ambientali ed etiche).

Per quanto ci siamo sforzati, non abbiamo trovato da nessuna parte, tra le regioni italiane, un riferimento all’eccellenza (che in effetti è un criterio complicato a definire in maniera oggettiva), o anche solo alla qualità, né ci sembra che in termini di punteggio questo aspetto sia determinante, se paragonato invece alla predisposizione commerciale (presenza di siti ecommerce, percentuali di export, fatturato). Per fare un esempio (sempre relativo alla Regione Campania, che è quella che pubblica con maggiore traparenza e facilità di reperibilità i punteggi), un’impresa che realizza prodotti a marchio DOP/IGP (20 punti), Bio (15) tradizionali (5), con certificazione ambientale (10), etica (5) e giovane (20 punti per meno di 30 anni del titolare), sarebbe facilmente battuta da un’impresa con più di 500mila euro di fatturato (20 punti), con un export maggiore del 30% (20 punti), con un’ecommerce (5 punti), e pure con un titolare di più di sessant’anni (Zero punti), perché i punteggi per i prodotti (Dop/IGP, bio e tradizionali) non sono neanche cumulabili tra loro.

Quali sono le imprese rappresentanti del Made in Italy che espongono a New York

Insomma, criteri commerciali per una fiera commerciale. Nulla di male né di strano, in effetti, se non fosse che i contributi pubblici dovrebbero andare in altra direzione e se non fosse che si fa di questa fiera un esempio dell’eccellenza, più che della (sempre e comunque lodevole, sia chiaro) potenza commerciale dei prodotti italiani.

Il risultato è che anche la lista dei produttori partecipi pare rappresentare questi criteri: nell’elenco dei nomi dell’edizione invernale del Fancy Food (quello di quella estiva, presumibilmente, non lo abbiamo ancora trovato) non scorgiamo quasi nessuna di quelle realtà a cui noi affideremmo, su criteri diversi, la rappresentanza del meglio del meglio della produzione artigianale italiana. Ci sono importatori di caffè (?) e di specialità italiane, grandi produttori della GDO, medie aziende di surgelati e colossi della pasta o dell’industria dolciaria. E questo non significa che questi produttori, che oggi sono a New York in rappresentanza del Made in Italy, non siano validi: si tratta per lo più di imprese sane, buone, che lavorano bene. Ed è ovvio che per proporsi al mercato americano bisogna essere in grado di fare export, e le aziende presenti lo sono certamente di più del piccolo artigiano che ha una piccola bottega. Ma non è detto che anche lui non possa attrezzarsi: basta capire qual è il Made in Italy su cui vogliamo puntare.