Il panettone artigianale è qualunque cosa vogliate sia: è il piccolo e buon pasticcere di provincia, lo scafato imprenditore del lievitato con accordi di distribuzione e la ricetta studiata in anni di gavetta, è il prodotto premium firmato dallo chef che l’impasto del panettone non l’ha nemmeno visto in cartolina. È il fatturato di un anno dell’artigiano, la scommessa per l’industria. Nessuno potrà dire, per esempio, che TUOBauli non è un panettone artigianale.
Una legge in merito non c’è e poco importa se a realizzare il chiacchierato panettone personalizzabile sia un’azienda di Guarene (CN) e non la Bauli: siamo ben lungi dall’interrogarci sulla necessità o meno di considerare artigianali i prodotti private label realizzati da contoterzisti. E nemmeno ci si domanda se abbia senso definire artigianale (parola che nella birra artigianale italiana normata dal 2016, per esempio, è sinonimo di indipendenza dall’industria: Heineken non potrebbe mai chiamare artigianale la sua Ichnusa o far realizzare una ricetta “premium” a un piccolo birrificio per poi scrivere “artigianale” in etichetta) il panettone firmato da uno dei principali player nel mercato dei grandi lievitati.
Comprenderete perché titubiamo quando, leggendo la ricerca Nielsen fresca di pubblicazione, scopriamo che il “panettone artigianale vale più di quello industriale”: sarà in crescita quello che così viene chiamato, semmai, rispondendo a una domanda di “qualità” sempre maggiore con un’offerta sempre più differenziata nella grande distribuzione organizzata.
Certo è che “l’oggetto culturale” panettone artigianale (ci scusino i sociologi) è stato studiato per benino: sezionato come un lievitato che puzzacchia di vanillina a un concorso milanese à la page, è stato sviscerato delle sue caratteristiche peculiari (più o meno bene) dalla Bauli, per poter offrire al consumatore il significato condiviso che rappresenta.
Deduciamo che agli occhi dell’industria, che certo analizza il settore meglio di me, il panettone artigianale è:
- un lievitato da 35 euro;
- un prodotto personalizzabile, con ingredienti e farciture di qualità palesemente maggiore rispetto alla media;
- un’etichetta pulita, con una shelf life breve, inferiore ai 45 giorni;
- un panettone che implica l’apporto umano (come l’azienda tiene a sottolineare nei commenti sui social, rispondendo alle perplessità degli utenti, “è fatto dai nostri artigiani”);
- confezionato bene, con scatola rigida e biglietto.
In tutto ciò l’artigiano non ha un nome, la ricetta non ha un volto se non quello del brand che tutti conosciamo dagli slot pubblicitari della televisione, dagli scaffali della GDO e dalle morbidissime brioche: dopotutto è la linea premium di Bauli, che (lo avreste mai detto?) abbiamo provato per voi.
Se la scorsa volta abbiamo fatto i complimenti a Bauli per la trovata, capace di metterci tutti allo specchio (scommetto che i blasonati nomi del panettone artigianale vendono più pezzi di quanti ne farà la S.P.A di Verona con TUOBauli), ora è tempo di scaldare il palato, cercando di capire con una Prova d’assaggio delle nostre se questo lievitato è all’altezza di ciò che promette.
Mi realizzo il MIOBauli
Non vi possiamo risparmiare la fase preliminare, dal momento che detta fuori dai denti è l’aspetto più rilevante dell’esperienza “TUOBauli”: la composizione del proprio panettone è un’esperienza interattiva (fino a un certo punto). La personalizzazione è il valore aggiunto (divertente? un po’) e consta sostanzialmente nello scegliere un “impasto”, una crema, un biglietto e una confezione.
Non possiamo pacioccare granché. Bauli ci guida e ci impedisce altresì di mettere il pistacchio di Sicilia con le pere (grazie Bauli), evitando nauseabondi momenti di imbarazzo con i nostri congiunti a Natale. Gli ingredienti sembrano validi: abbiamo provato a comporre più “TUOBauli”, scoprendo per esempio che la Crema alla Nocciola Piemonte può vantare un 35% di pasta di nocciola; davvero non male considerando la media delle spalmabili.
L’impasto, poi, si presenta con una lista estremamente pulita: la pasta d’agrumi è un grande classico nei lievitati delle Feste artigianali e le aromatizzazioni constano sostanzialmente in bacche di vaniglia Bourbon e olio essenziale d’arancio. Niente chimicate e nessuna traccia dell’emulsionante E471, che allontanerebbe la scadenza del nostro panettone e lo renderebbe più umido del naturale.
Resisto alla tentazione di spedirmi un panettone con pezzetti di cioccolato fondente e crema di cioccolato e vado sul classico nella prospettiva dell’assaggio: il buon panettone artigianale, se è buono, basta a se stesso. Quindi opto per uvetta e arancia candita. Aggiungo al carrello, mi scrivo un biglietto dedicato a me, pago, metto a rimborso spese sul conto della redazione (ti voglio bene Bauli, ma..).
TUO Bauli, entreresti nella classifica di Dissapore?
Il MIO TUOBauli arriva puntualissimo sotto casa (specifichiamo, questa linea di panettoni artigianali non si trova nei supermercati: si acquista unicamente online) e finisce dritto dritto accanto al termosifone acceso, come l’azienda stessa mi suggerisce e come, d’altronde, ci consigliano di fare gli artigiani poco prima di mangiare i loro lievitati.
Solo aprendo la confezione, leggendo l’indirizzo di produzione in etichetta, scoprirò che viene realizzato dalla Dacasto Gran Pasticceria, “fabbrica del panettone naturale” di Guarene, nel cuore del Piemonte che fa girare l’economia: non so niente di più.
L’aspetto esteriore è un po’ svilente. La “buccia” del panettone è tutt’altro che morbida e non ricorda nemmeno un po’ la setosa pelle degli artigiani lievitisti sul mercato tra i 30 e i 40 euro al chilo. Nessuno sviluppo fuori dai bordi dello stampo.
Della scarpatura c’è un vago ricordo, dissolto, che paragono per meglio rendere l’idea a quella di Cremeria Capolinea: così, per fare il nome di uno che sicuramente finirà nella classifica dei migliori panettoni artigianali di Dissapore. E che per la cronaca, vende il lievitato a 34 euro.
Ma noi siamo speranzosi e affiliamo la lama seghettata. Purtroppo anche in questo caso il NostroBauli non palesa le caratteristiche che cerchiamo dall’artigianalità: manca letteralmente l’aria. Come accade nei lievitati industriali, la pasta fitta fitta non lascia spazio agli alveoli e a nessuna fantasia.
Qualche bolla, al contrario, prende il posto dello sviluppo filante verticale che dovremmo aspettarci da un panettone in questa fascia di prezzo (il panettone artigianale di Dolcemascolo, che costa 5 euro in meno, è un gioco di fili e trasparenze, in caso vogliate un termine di paragone).
Sul sapore c’è poco da infierire: domina la dolcezza, piatta, poco attenuata da uvetta e pasta d’agrumi.
Forse l’intenzione era quella di ottenere un prodotto stabile, utilizzando ingredienti di maggiore qualità rispetto a quelli del panettone “del supermercato”, ma che assicurasse un risultato certo, con i pregi e i difetti che questa scelta implica: nessun cratere disastroso per cui chiamare il servizio clienti pretendendo indietro i 35 euro, nessun fastidio comportato dall’eccessiva umidità. D’altronde avete idea di quanti panettoni artigianali abbiamo dovuto escludere dai nostri panel perché semi-crudi in superficie.
Epperò un prodotto artigianale comporta dei rischi, per antonomasia. Costano cari pure per quello.
Avete presente il disclaimer sull’etichetta del vestito buono? “Eventuali difformità di colore o piccole imperfezioni non sono da considerarsi dei difetti, bensì sono sinonimo di artigianalità e unicità del prodotto”. Ora, non voglio dire che mi aspettassi un difetto di pirlatura nel panettone premium firmato Bauli, ma almeno speravo di non rimpiangere la fascia media della GDO, quella del Tre Marie da 14 euro.