Non parrebbe neanche vero, se ci raccontassero che un tempo questi stessi spazi erano preda delle catene più junk del Pianeta. Oggi gli aeroporti si sono trasformati in avamposti gourmet, con lo stesso tempismo con il quale di è gourmetizzato il toast, con un’offerta di cibo firmato che, sulla carta, sembrerebbe segnare una decisa inversione di marcia rispetto ai tempi in cui prima di salire sull’aereo ci si comprava giusto un Big Mac.
E invece no, in soccorso al nostro desiderio di mangiar bene sono arrivati loro, gli Chef (quelli con la C maiuscola), che hanno popolato i non-luoghi che precedono gli imbarchi con i loro progetti griffatissimi. Oggi i caffè di Davide Oldani, o di Antonino Cannavacciuolo, fanno bella mostra di sé accanto allo store di Gucci e a quello di Valentino, giusto prima del duty free dove troveremo il Toblerone in offerta speciale. È quel che succede, ad esempio, a Malpensa, dove mi trovo giusto all’ora di pranzo, neanche a farlo apposta il momento perfetto per farsi attirare dai panini stellati.
Adocchio subito quelli di Davide Oldani, che onestamente alla vista non sembrano troppo meritare i dodici euro a cui vengono venduti. Neanche il toast attira inizialmente la mia attenzione, e dunque proseguo oltre, imbattendomi qualche metro più in là nel Banco di Antonino Cannavacciuolo. Sarà il clima partenopeo, saranno i colori pastello, ma qui l’atmosfera è più invitante. I panini non sembrano neanche male, anche se i bun sono di una dimensione tale per cui il rischio dell’effetto gomma, anziché di quello sofficità, è onestamente dietro l’angolo.
Rimango sinceramente perplessa dal prezzo delle insalate (16 euro), che invece un signore accanto a me ordina allegro, e mi concentro sul toast, che in fondo sembra avere un rapporto qualità prezzo, oltre a darmi l’opportunità di ritornare nel caffè di Oldani per una toast-challenge stellata.
Il toast di Antonino Cannavacciuolo: Prova d’assaggio
Al notevole prezzo di 12 euro (a cui aggiungo un’acqua e un caffè, arrivando alla ragguardevole cifra di 16,70 euro), il toast di Antonino Cannavacciuolo se non altro si presenta bene. È veramente molto grande, tagliato a metà e racchiuso in un packaging trasparente con un il logo azzurrino a chiusura. Lo ordino, mi viene scaldato e servito su un vassoio da self service (in pendant con l’azzurro del locale, che chiccheria) che non aiuta a migliorare un’esperienza che ha un che di tristezza. Il toast sta lì, un po’ abbandonato in un piatto sopra un tovagliolino (firmato, naturalmente), e appare leggermente rinsecchito da una cottura troppo decisa, che ne ha rovinato le estremità.
Al morso il toast di Cannavacciuolo non è neanche male, tutto sommato. La maionese senapata predomina un po’, coprendo totalmente il fumé del prosciutto cotto (se non fosse stato scritto, avremmo pensato a un normalissimo prosciutto cotto). I cetriolini che spuntano qua e là aggiungono una nota divertente all’assaggio, e alla fine è il formaggio la parte più deludente del panino. Tagliato molto sottile, ha un sapore – che resterà persistente fino all’assaggio del toast successivo – piuttosto coprente che ricorda quello di una sottiletta. D’altronde, per 12 euro e da una firma di un tristellato, ci saremmo comunque aspettati di più, nella descrizione, di un semplice “formaggio”, senza ulteriori specifiche.
Il problema principale, però, è la cottura: avvenuta frettolosamente ed evidentemente a una temperatura troppo alta, ha seccato tutto l’esterno del toast, lasciando il cuore ancora freddo (e se c’è una cosa che davvero non vorremmo mangiare è un toast freddo di frigo).
Per il prezzo che abbiamo pagato, resta comunque l’abbondanza (in fondo, Antonino Cannavacciuolo è uomo di sostanza): il suo toast era serenamente divisibile tra due persone.
Una delle due, forse, era Antonino Cannavacciulo (come recita l’intestazione dello scontrino), o forse siamo noi che siamo capitati in una brutta copia dell’originale, un Cannavacciuolo tarocco, e ci siamo fatti abbindolare.
Il toast di Davide Oldani: Prova d’assaggio
Marcia indietro dunque verso la caffetteria di Davide Oldani per provare il suo toast: il mio aereo aspetterà. Il prezzo del toast firmato dallo chef del D’O è la metà dello scontrino totale pagato al Banco di Cannavacciuolo: ci vogliono 8 euro e 50 per ordinarne uno. Cifra che, scoprirò in cassa, diventa di 9 euro e 40 se decido di mangiarlo seduta al tavolo. Per carità, mi accontento del bancone, ché qui, a furia di toast gioiello, facevo prima a prenotare a Villa Crespi.
Le dimensioni sono all’incirca la metà di quelle del toast di Cannavacciuolo, e gli ingredienti sono minimal: prosciutto cotto, fontina e stop. Al bancone mi viene servito, dopo pochissimo, un panino dal pancarrè evidentemente molto morbido e un ripieno che sembra decisamente abbondante. Anche in questo caso il risultato è purtroppo tristanzuolo: il piattino bianco da bar della stazione (più che d’aeroporto) contiene un toast dall’aspetto abbastanza ordinario, impreziosito dal solito tovagliolino firmato. Il servizio in effetti c’è (anche se alla fine non ho pagato il sovrapprezzo per sedermi), con il cameriere che dopo il mio primo morso osserva la mia faccia e mi chiede se per caso lo voglio più caldo. Eh sì – ringrazio – lo vorrei più caldo, perché già nella parte più esterna si sente il frigo, ed è un peccato. Purtroppo però, anche dopo il secondo frettoloso giro di piastra, il toast non è a temperatura, e il ripieno all’interno rimane irrimediabilmente freddo con il formaggio che non si scioglie. La fontina non è invadente (ma perché? Da una fontina ci aspettiamo che lo sia, in fondo), e i tanti strati di prosciutto cotto la fanno da padrona.
A regnare sul risultato è la scelta del pancarrè, che fa risultare il toast piacevolmente morbido. Se valesse gli 8 euro e cinquanta spesi non saprei dire, ma forse sì: in fondo all’aeroporto una bottiglietta d’acqua (che sei obbligato a comprare, dopo aver passato i controlli) arriva ormai a costare tre euro. Di certo, il toast di Davide Oldani era migliore delle aspettative, e direi anche migliore di quello di Cannavacciuolo, anche se di poco.