Sembra una burla, a leggerla così, e in pochi hanno perso l’occasione di farlo notare. Una tassa sulle merendine. Davvero non è venuta in mente un’idea di partenza migliore al neo ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti? Una tassa sulle merendine, ha buttato lì come prima cosa il ministro in quota Cinque Stelle.
Roba da scolaretti, ha detto in ogni modo l’opposizione (anche se, al momento, è piuttosto complicato distinguere chi sta all’opposizione da chi sta al governo). Stupidaggini, hanno ribadito i critici. Una cazzata, ha detto – papale papale – l’ex vicepremier Matteo Salvini in un video postato sui suoi social, sostenendo che “neanche se uno si mette d’impegno può partorire una cosa del genere”. Insomma, l’idea non è stata esattamente presa sul serio, per quanto fosse comunque solo un’ipotesi partorita durante un’intervista.
Dove li troviamo i due miliardi necessari a investire nella scuola (più uno per le università e ricerca), aveva chiesto il giornalista del Corriere della Sera a Fieramonti. “Vorrei delle tasse di scopo: per esempio sulle bibite gasate e sulle merendine o tasse sui voli aerei che inquinano”, aveva risposto lui. “L’idea è: faccio un’attività che inquina (volare), ho un sistema di alimentazione sbagliato? Metto una piccola tassa e con questa finanzio attività utili, la scuola e stili di vita sani”. E giù risate, critiche, dirette Facebook con sorrisini ridicolizzanti.
Ma fermiamoci un attimo: una tassa sulle merendine e sulle bibite zuccherine è davvero tanto sbagliata? Siamo sicuri che rendere economicamente meno appetibile uno stile di vita e di alimentazione poco sano sia “una cazzata”?
Noi mamme, oggi, ci battiamo per il diritto di portare il “panino da casa” ai nostri figli, pur di non alimentarli con la mensa scolastica, di cui proprio non riusciamo a fidarci. Ma alla prova dei fatti quello che gli mettiamo nello zainetto per la merenda è nella maggior parte dei casi un prodotto confezionato. Perché? Perché non abbiamo tempo, perché a loro piace, perché è più facile e perché, non in ultimo, costa meno.
Un pacchetto di merendine, al supermercato, costa intorno ai due euro (anche meno, se guardiamo ai marchi meno pubblicizzati). Due euro per un pacco da dieci merendine, ergo 20 centesimi per ogni merenda. Ammettiamolo: un panino fatto in casa come si deve costa di più, considerando anche il tempo impiegato per prepararlo.
Stesso discorso sulle bibite gasate: una bottiglia d’acqua può arrivare a costare quasi quanto un’aranciata tra le più economiche. E allora ben venga un rapporto sconveniente, che scoraggi magari qualche mamma dal propinare zuccheri quotidiani non necessari ai propri figli. Ben venga una piccola tassa in più sui prodotti che, consumati abitualmente, possono indurre a regimi alimentari poco salubri (e magari, parallelamente, ben venga un aiuto in termini di agevolazioni a chi fa prodotti più sani).
E non siamo solo noi a dirlo: uno studio scientifico inglese, pubblicato dal British Medical Journal e riportato dal The Guardian, mostra come una tassa del 20% su snack, biscotti, torte e dolci avrebbe “un enorme impatto” sui livelli di obesità, con una riduzione di oltre il 10% della popolazione con problemi di peso. Peraltro, nel Regno Unito (come in più di altri cinquanta Paesi nel mondo) una tassa sulle bevande zuccherate (la Soft drinks industry levy, generalmente nota come “sugar tax”) già esiste, ed è nata sia per scoraggiare l’acquisto da parte dei consumatori che per incentivare le industrie a produrre bibite con minori quantità di zuccheri.
Non esattamente una cazzata, quindi, visto che prima di noi, oltre al Regno Unito, ci hanno pensato Paesi come Francia (2012), Portogallo (2017), Belgio (2016), Irlanda (2018), Norvegia (2018), e perfino gli Emirati Arabi Uniti (2017), dove la tassa è addirittura del 50%. Il tutto, certo, nell’ottica di promuovere un’alimentazione migliore. Non certo con l’obiettivo di spremere il consumatore.
Perché, se c’è una cosa che spiace nelle parole del ministro Fioramonti, è leggere che la sua proposta sembra avere poco o nulla a che vedere con la volontà di diffondere una cultura dell’alimentazione più attenta. No, la sua viene presentata come una semplice idea per recuperare denaro che manca e destinarlo altrove (non all’educazione alimentare, ma all’istruzione, di cui in effetti il ministro dovrebbe occuparsi). Di più: a leggere le sue parole, pare che questa micro tassa non sia tanto pensata come un meccanismo per disincentivare un eccessivo acquisto di merendine o bibite gasate.
No, la tassa sulle merendine sarebbe più che altro una sorta di punizione per chi conduce uno stile di vita poco sano, al pari di chi inquina l’ambiente volando frequentemente sugli aerei.
Ecco, caro ministro, se c’è una cosa di cui siamo sicuri, è che educare è meglio che punire. E, visto che l’istruzione è proprio la sua materia, un pensierino sull’educazione alimentare, più in senso positivo, forse potrebbe farlo. In fondo, la direzione iniziale potrebbe essere quella corretta, basta aggiustare il tiro.