Un paio di mesi fa si proponeva la DOP sul Panettone Italiano, un’idea riportata a gran voce dalla stampa gastronomica senza che si mettesse in luce l’assurdità della proposta stessa (lo fece Visintin su Il Corriere, alle solite): una DOP NAZIONALE su quella che di fatto è una ricetta, prodotta con materie prime tutt’altro che italiane?. In questi giorni, però, si supera il limite con il Tuber Magnatum Pico (detto volgarmente, nonché comunemente chiamato “Tartufo Bianco d’Alba, o “di Acqualagna” o “Bianco Pregiato”) e io, che ad Alba ci sono nata, non riesco a stare zitta.
Se il Panettone Italiano DOP suona sovranista, specialmente in ragione del fatto che è la concorrenza delle grandi aziende extra-europee a muovere chi lo promulga, l’idea di un Marchio d’Origine per i Tartufo Bianco ha un che di campanilista.
Qualcuno ha cambiato il nome del Tartufo Bianco?
“Non chiamate d’Alba tutti i tartufi bianchi d’Italia”: tuona il sindaco di Priocca (CN) Marco Perosino, nonché Senatore della Repubblica, facendo riferimento a una proposta di legge “ingannevole per il consumatore”.
Le sue parole vengono riprese dai giornali nazionali e locali, senza che si faccia chiarezza su una questione: il Tartufo Bianco è sempre stato il Tartufo Bianco d’Alba, perché la notorietà di Alba come zona del tartufo pregiato precede quella del tartufo bianco stesso.
Non c’è alcuna relazione con l’origine del tartufo, chiaramente: Tartufo Bianco d’Alba è il “nome comune” con cui viene indicato il pregiatissimo tubero (da non confondersi con il più modesto “bianchetto”), ovunque nasca, per la sua specie. Un’associazione verbale che ha dato lustro al territorio delle Langhe per molto tempo (se dico “Alba” pensate prima al tartufo o alla Nutella?), ma che oggi viene rinnegata con un diversivo.
Posso spiegarmi: attualmente il Senato sta vagliando un disegno, un testo unico per la legislazione sui tartufi che andrebbe a rivedere la legge 16 dicembre 1985, n.752 (Normativa quadro in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo). Una direttiva che prevede, dalla bellezza di 35 anni, che il Tuber Magnatum Pico venga comunemente chiamato Tartufo Bianco d’Alba, così come l’Ameiurus melas viene volgarmente detto “pesce gatto”.
Ora, il disegno di legge depositato in Commissione Agricoltura al Senato non ha la velleità di cambiare il nome al tartufo, nonostante si scriva che il “Tartufo Bianco è sotto assedio“, è sempre stato così.
Sta di fatto che, oggi, si parla chiaramente di una (inesistente) proposta di legge ingiusta, sottendendo un indebito vantaggio da parte di chi, fuori dal territorio albese, chiami il tartufo così.
Sostanzialmente, si propone di togliere la possibilità di chiamare “Tartufo Bianco d’Alba” a chi raccoglie il tartufo bianco, con buona pace di Acqualagna e della provincia di Pesaro e Urbino. In tutto il mondo (non è un dato oggettivo, ma vi sfido a contraddirmi) il tartufo bianco è di Alba: non nel senso che proviene da Alba, si intende, ma perché quella è la città che meglio identifica quel prodotto. E c’è una battaglia in corso per far sì che fuori da quella zona non si possa più chiamare il tartufo così, per il timore che il successo turistico di un territorio (dovuto anche al tartufo stesso) possa estendersi a tutta l’Italia.
Potete vederla come volete: il territorio di Alba, di cui oggi è celebre nel mondo la Fiera internazionale del Tartufo Bianco d’Alba, ha tratto un vantaggio dall’associazione automatica con il Tuber Magnatum Pico, un nesso che ha dato lustro a Langhe e Roero almeno quanto il Nebbiolo e tutti i grandi vini che ne derivano. Oggi dire “tartufo di Alba” significa indicare il migliore dei tartufi possibili, nel mondo.
Oppure è il tartufo bianco pregiato, raccolto anche in territori lontani dalla provincia di Cuneo, ad aver beneficiato da tale accostamento? Voglio dire, i Tuber Magnatum Pico raccolti in altre regioni possono essere venduti come “d’Alba”, e non molti casi lo sono, ma fino a che punto ciò è nell’interesse di altre zone d’Italia, specialmente in una prospettiva turistica? La celebrità di Alba come città del tartufo ha innegabilmente offuscato le altre terre vocate e la meccanica giustapposizione tra il bianco pregiato e il cuore delle Langhe non fa che reiterare ciò.
L’alternativa proposta dal Senatore, in questo caso, è una menzione geografica, una IGP “italiana” dedicata al tartufo, che andrebbe totalmente in contrasto con la libera ricerca che caratterizza i trifolao (Dio li benedica): i cercatori di tartufo dovrebbero, all’alba (ah-ah), uscendo dalla nebbia, indicarci le coordinate del loro ritrovamento.
Avete mai provato a chiedere a un cercatore di tartufi dove ha trovato il bottino?
[Fonti: Centro Nazionale Studi Tartufo, Gazzetta Ufficiale]