Il cibo, in quanto necessità primaria, è in grado di pervadere la psiche umana e di assumere significati profondi e traslati, traboccando nel linguaggio e nelle cose che ne derivano: tra queste, su tutte, le arti. Oggi parleremo di cibo in musica; invitandovi all’ascolto di una playlist che abbiamo creato per voi. Un po’ perché ci piaceva l’idea di avere un profilo Spotify di Dissapore (che musica ascoltate per cucinare?) un po’ per occupare il terribile che in questi giorni di emergenza sanitaria caratterizza le nostre città, interrotto da sfrigolare di padelle e canti popolari ai balconi, non sempre piacevoli.
Negli scorsi giorni pagine e pagine sono state scritte raccontando di banchetti, di piatti, di rituali antropologici a sfondo alimentare. Vi abbiamo suggerito i nostri film sul cibo preferiti e abbiamo snocciolato la questione delle ricette nei film, raccontandovi quelli in cui i piatti hanno un ruolo. Oggi, invece, parleremo di cibo in musica; invitandovi all’ascolto di una playlist che abbiamo creato per voi.
Si chiama “Musica per le tue orecchiette”, e la trovate sul nostro profilo Spotify.
Cosa contiene la nostra playlist
È eterogenea e varia: come dicevamo, però, ogni singola canzone selezionata ha a che vedere col cibo; sia inteso in senso diretto (abbiamo selezionato canzoni che parlano di cibo in quanto oggetto gastronomico vero e proprio) che in senso lato; come fenomeno dell’anima che travalica il piatto per diventare concetto sociale, identitario, emozionale.
Nonostante la difficoltà oggettiva del raccontare una playlist che racchiude in tre ore e cinquanta minuti d’ascolto gli Skiantos, Mos Def e Lando Fiorini, abbiamo provato a riassumerne i contenuti seguendo alcune aree tematiche che vi raccontiamo di seguito.
Indie italiano
I nuovi (e meno nuovi) esponenti della musica alternativa italiana trovano irresistibile parlare di cibo. Che sia per via del valore simbolico di piatti che raccontano storie d’amore finite male o il malessere sociale, per vis poetica naïf o per la nostalgia degli anni Ottanta di un’infanzia mitologica che la nostra generazione si porta addosso; piatti di pasta, fette di pizza e pagnotte di pane sono spesso protagoniste assolute dell’indie italiano. Si passa dalla spensieratezza dei Camillas de “La canzone del pane” al “Pesto” buio di Calcutta, dall’urlo straziante dei Marta sui tubi di “La Spesa” allo scazzo blues-noise beckiano di Bugo in “Pasta col burro”.
Trash e folk italiano
Nonostante siamo consapevoli che folk e trash non siano la stessa cosa, e che anzi siano due sfere di appartenenza musicale che possono muoversi su direttrici del tutto opposte, qui le riassumiamo insieme: solo perché entrambe le aree tematiche sono ricche di brani che tutti sappiamo a memoria, e amiamo cantare a squarciagola… Ed anche perché, e questa è la cosa che ci interessa di più, promuovono un atteggiamento simile nei confronti del cibo; con un rapporto quasi sempre diretto, allegro e positivo. Allora W la pappa col pomodoro e il Gelato al cioccolato, anche se “tu vulive a pizza”. E per concludere: cacao meravigliao!
A metà tra questa sezione e la seguente, abbiamo inserito La Terra dei Cachi. Elio, da grande osservatore dei tic del nostro popolo non può che descriverci per una delle nostre più grandi manie, quella dell’attaccamento al cibo: è umoristico ma non è trash, è musica d’autore ma è anche la negazione delle nevrosi cantautoriali. Quindi meritava una descrizione a sé.
Musica d’autore italiana
Diremmo che un grande italiano non possa essere tale se non si è confrontato almeno una volta con il tema cibo: perché l’ossessione con la cucina e la cultura gastronomica dice troppo di noi, e chi non vuole affrontare il tema (o non si trova a parlarne, sia pure incidentalmente) ha qualcosa da nascondere. Da Mina a Fiorella Mannoia e Pino Daniele, dal punk genuino di Freak Antoni alle boutade di Gaber e Jannacci, dalle invenzioni linguistiche e antropologiche di Creuza di Ma (che include uno dei più bei menu mai messi in musica) all’introspezione di Ciampi, all’intimità di Conte in “Un gelato al limon”. Per finire con l’amarezza scanzonata di “Vomito” dei Têtes de bois, e poi ricominciare.
Musica italoamericana
Quando l’Italia va oltreoceano, come ogni altra cosa, d’altra parte, viene esagerata, ricalcata, esasperata: diventa nell’immaginario più “italiana” dell’Italia stessa. Così Dean Martin canta che l’amore è quando “when the moon hits your eye like a big pizza pie”; Fred Bongusto ci porta a Detroit con lo swing di “Spaghetti, pollo e insalatina”, immaginiamo (ancora con Dean Martin) i macellai e pasticceri di discendenza siciliana e calabrese di Little Italy rincorrersi con i loro equivoci strumenti in mano, sulle note di Luna Mezzo Mare.
Blues, country, R&B, rock’n’roll
Restiamo negli Stati Uniti cambiando decisamente immaginario: nel dirty South, alla foce del Mississippi, suonano il Blues ed il Jazz “del diavolo” pizzicati dai discendenti degli schiavi neri. La vita è dura e difficile, e si parla soprattutto di alcol: abbiamo incluso nella playlist solo “One bourbon, one scotch, one beer” di John Lee Hooker, ma se avessimo seguito il filone avremmo potuto inserire centinaia di tracce blues dedicate alle buone bevute di New Orleans. Non mancano le menzioni ai piatti creoli, come nel caso di Jambalaya (on the Bayou), di Hank Williams.
Gli anni passano, il blues evolve in R&B e poi in Rock’n’Roll: impossibile non menzionare la Tutti Frutti di Little Richard, in un momento in cui la vita e il futuro sono variopinti e ricchi di sfumature come un misto frutta. L’illusione però non dura (arriveranno la Guerra di Corea e poi il Vietnam), il rock diventa più duro e amaro, e in alcuni casi torna a tingersi di blues. Torniamo quindi all’alcool con Whiskey Bar dei Doors, finiamo questo breve excursus nella storia e nelle melodie degli USA con la traccia che forse sa raccontarlo meglio in assoluto: il caleidoscopio dei good old days a stelle e strisce che è American Pie. La torta universale, simbolo dell’innocenza perduta, ci viene subito spiattellata in faccia con tutto il disincanto trash possibile da Weird Al Yankovich, che parodia Michael Jackson con la sua “Eat it”.
Pop internazionale
Gli anni Ottanta, Novanta e Duemila del consumo sfrenato hanno un corrispettivo musicale, con fenomeni radiofonici e “mordi e fuggi” che ricordano le modalità di fruizione di un fast food.
Si fanno strada nuove forme di pop para-autoriale (Candy di Paolo Nutini), l’hip hop/R&B diventa progressivamente più commerciale e mainstream e in alcuni casi offrirà chicche gastronomiche non indifferenti (vedi: “Milkshake” di Kelis. Che peraltro deve essere davvero una buona forchetta, dato che oltre a quella citata propone nomi di food items in tantissimi titoli di sue canzoni).
Non manca qualche raffinatezza, come la Banana Pancakes di Jack Johnson.
Musica alternativa e sperimentale internazionale
Ma già che parliamo di frutta, inseriamo un’altra “canzone” di transizione che merita un approfondimento: “Disfruta la fruta” di Juan Wauters è probabilmente la canzone più brutalmente onesta e semplice e diretta che troverete in tutta la playlist. Nessuna simbologia, nessun gioco di specchi, nessun traslato: quando Wauters canta “goditi la frutta, che buona la frutta che ha portato il camion” intende esattamente che la frutta che ha portato il camion è proprio tanto buona. Come tutto l’album che contiene il brano, “La Onda de Juan Pablo”, è un’elegia di grande poesia e delicatezza dedicata alle piccole cose, alla vita ordinaria, al mondo e alla natura.
Ci spostiamo su lidi decisamente più ambiziosi in termini intellettuali, poi, con i They Might Be Giants di “Dinner Bell”, e il loro lungo elenco di snack da evitare in attesa suoni la pavloviana campanella della cena, e con le Cibo Matto di “Beef Jerky” (P.S: in questo caso raccomandiamo caldamente di ascoltare tutto l’album, se vi interessa la musica sperimentale. Magari mentre cucinate, o vi drogate, o leggete testi politici e filosofici sul cibo. Nello stesso mood, vi suggeriamo anche l’ascolto di “Pranzo Oltranzista” di Mike Patton, album concettuale ispirato alle ricette che F.T. Marinetti e Fillia idearono per “La cucina futurista”. Imperdibile, ma purtroppo non disponibile su Spotify).
Breve escursione nel trash tedesco anni Ottanta con Spliff (vi sfidiamo a smettere di canticchiare in testa “Carbonara… e una coca-cola”) e continuiamo con la sezione più nutrita della playlist: si tratta dell’ Hip Hop, che comincia nel modo peggiore (sì, con Bello Figo Gu) ma continua meglio, sempre ammesso amiate il genere.
Hip Hop
Nel mondo della doppia H di “cibo” ce n’è tanto: perché si parla tanto di alcol, ovviamente (vedi la “Gin&Juice” di Snoop Dogg, ma anche uno qualsiasi degli zilioni di testi in cui vengono menzionati Hennessy, 40oz. di malt liquor e vini pregiati), si parla di cose da mordere e leccare che nascondono, si fa per dire, “velatissimi” richiami sessuali (“Fried chicken” by Nas&Busta Rhymes o la “Birthday cake” di Rihanna); si parla tantissimissimo di status symbol (come lo champagne e il private stock che il G.O.A.T. Notorious BIG si bea di sorseggiare in “Juicy”).
Ma non è tutto qui: troverete anche testi che parlano di cibo in maniera letterale, affrontando temi che passano dalla dietetica (“Ham’n’eggs” degli A Tribe Called Quest, 5:28 minuti di traccia contro il colesterolo) alle questioni di identità nazionale in un mondo che cambia (“Pizza kebab” di Ghali) agli aspetti più decisamente impegnati e politico (“New world water” di Mos Def).
Ed è un peccato che Spotify non disponga dei primi mixtape di Action Bronson, perché lo chef-rapper di NYC regala davvero rime di fuoco che riguardano il cibo, inteso nel suo senso più gastronomico (ne citiamo due, solo per darvi un’idea: “Fifty large/Sitting sipping vichyssoise/Silk robes/Pepper on the pasta/Cheeses from Lazio/Pussy di carpaccio” e “Just let me sharpen my knives, throw on the apron/X’s mark the steak and the salad’s crumbled with bacon”!!!).
Reggae & Dancehall
Anche in area caraibica non mancano i riferimenti al cibo, che si declinano su tre filoni principali: uno religioso, che fa riferimento alle prescrizioni della dieta rasta I-tal (rigorosamente vegetariana, che impone la cottura per bollitura e vieta categoricamente l’uso di sale e spezie), un secondo relativo all’identità nazionale jamaicana – si tratta di uno stato dall’indipendenza recente, e quindi in cerca di simboli di coesione nazionale, un terzo infine che mutua alcuni topos dell’hip hop rendendo il cibo uno status symbol; con una gamma di coloriture che spazia dalle tinte intellettualistiche a quelle sfrenate ed alcoliche del party time dancehall.
Così passiamo dalla mento music (o calypso) della “Coconut Woman” di Harry Belafonte al messaggio vegetariano deep roots di Ticklah in “Pork Eater”, dal favorite menu della leggenda Super Cat che nella sua “Ital Stew” snocciola una serie di imprevedibili accortezza culinarie all’elenco di specialità (ackee&saltfish, yam and banana) elencate dal supergruppo “The Voices of Sweet Jamaica” nel brano omonimo, creato nel 2012 per celebrare i cinquant’anni di indipendenza nazionale.
Non mancano il Re Bob Marley col messaggio politico di Them Belly Full (But we hungry) né le atmosfere gangsta-chic del figlio Damian, che in “Hey Girl” beve Blue Mountain cappucinos; rappresentati i party anthem con la “Rum&Red Bull” di Beenie Man&Fambo e la vena mistica contemporanea del Reggae Revival con l’inno al cibo pulito e sano di Chronixx, “Spirulina” (“If you nuh get it you wi lose/Mek you food be yuh medicine, yuh medicine yuh food/Blend up i carrot wid i lettuce inna juice/Nuh fraid fi mix i vegetable with i fruits“).
Portano la bandiera per l’Italia l’ambasciatore a Kingston Alborosie, che fa innamorare fanciulle cucinando pasta nella sua “Mama, she don’t like you”, ed il divertito canto d’amore per la “Cucina casereccia de Roma”, messo in musica dai Radici nel Cemento nel brano omonimo.