La quarantena dovuta all’emergenza Covid-19 ci ha confinato tra le mura di casa, e sembra costringerci a una spesa essenziale, non particolarmente “buona-pulita-giusta”, confinata nei supermercati, depredati di ogni genere di prima necessità (fatta eccezione per il vero vincitore morale degli ultimi due mesi, la penna liscia). Io però, non mi sono arreso. Forse perché comprare, per me, è più facile che cucinare panificare.
Complice il fiorire di tutorial online offerti dai professionisti del settore, l’italiano medio si è reinventato panificatore e pizzaiolo con alterne fortune. Siamo tutti d’accordo che vedere lievitare un impasto fatto in casa, magari per la prima volta, è una grossa soddisfazione .
Ma, parafrasando Vincenzo De Luca sul tema pastiera, non pensate che il vostro clone della Mani di Velluto de I Masanielli si sia minimamente avvicinata all’originale. Dai si scherza.
A fare da contraltare alla categoria dei panificatori provetti, c’è la categoria dei pigri.
Pigri che di mettere le mani in pasta non ci hanno proprio pensato, preferendo un’attività meno economica ma decisamente più liberatoria come lo shopping compulsivo on-line.
Perché, anche solo per passare il tempo, sfido io a trovare una buona parte di voi che non abbia trascorso ore curiosando tra vari siti per poter fare acquisti che, diciamocela tutta, spesso sono poco utili o ridondanti.
Pertanto al grido di “sostengo l’economia anche in lockdown e finché ho ancora una carta di credito la voglio vedere fumare”, auto-nominandomi Presidente della suddetta categoria dei pigri, ho ordinato la qualunque: pasta di Gragnano, tagli pregiati di pesce sott’olio, succhi di frutta di qualità, birra artigianale, specialità orientali e una quantità immorale di bottiglie di vino.
Insomma, tutti prodotti di prima necessità e basi insostituibili della dieta mediterranea, non ne convenite?
Ma un giorno mi sono reso conto che mancava qualcosa: il formaggio. Adoro il formaggio in ogni sua forma, gusto e stagionatura, e scorrendo la home di Facebook sono incappato in un produttore che ha colpito particolarmente la mia attenzione e ora spiegherò il perché.
La cooperativa Vallenostra e il Montebore
La Cooperativa Vallenostra produce formaggio da latte ovino e vaccino a Mongiardino Ligure, un piccolo paesino della Val Borbera in provincia di Alessandria. Ci troviamo poco a sud rispetto ad un’area poco conosciuta al pubblico di massa, ma con un’alta densità di nicchie gastronomiche dall’indiscusso valore, come la fragolina profumata di Tortona, la ciliegia “Bella di Garbagna”, la pesca di Volpedo, il vino Timorasso, il salame nobile del Giarolo. E, ultimo ma non meno importante, il Montébore.
Il Montébore, formaggio presidio Slow Food tra i più rari al mondo prodotto con latte ovino, prende il nome da un piccolo paese della Val Curone, sullo spartiacque tra le valli del torrente Grue e del fiume Borbera.
Venne prodotto per secoli, salvo poi scomparire lentamente, fino a quando nel 1997 un progetto approvato dalla Comunità Europea ha fatto sì che venisse recuperato anche grazie alla memoria storica di alcune anziane signore della zona, custodi del sapere caseario tramandato di generazione in generazione.
Grazie a questi preziosi bagagli di conoscenze e alla collaborazione dell’Istituto Caseario di Moretta con la Facoltà di Agraria dell’Università di Torino, a poco a poco si è ricostruita la tecnica casearia che ha riportato in vita questo prodotto eccezionale.
Roberto e Agata, fondatori della Cooperativa Agricola Vallenostra, lo presentarono a Cheese nel 1999 con solo sette forme , le uniche sette a livello mondiale , e fu un successo.
Il Montébore viene realizzato miscelando latte crudo: per il 70% vaccino e per il restante 30% ovino.
La cagliata viene rotta con un cucchiaio di legno e posta nelle “formelle” , rivoltata e salata. Una volta estratte dagli stampi, tre forme dal diametro decrescente sono poste a stagionare, una sopra l’altra, ricordando nell’aspetto una torta nuziale. La stagionatura va da una settimana fino a un massimo due mesi.
Come ho adottato una pecora: la mia Rampolla
Una produzione così particolare e di nicchia, potete immaginare, risente più di altre della crisi dovuta all’emergenza Covid-19, ed è per questo che i produttori della Vallenostra hanno lanciato la campagna “Adotta Una Pecora”. Visitando l’apposita sezione sul sito internet dell’azienda, con un contributo fisso di € 70 vi arriva in trasporto refrigerato un pacco #restateacasa a sorpresa, contenente diverse produzioni casearie ed altri prodotti tipici del territorio a seconda delle disponibilità del momento.
Quando ho letto di questa opportunità, non me la sono lasciata scappare.
Ed è così che alle sette e quaranta della solita e noiosa mattinata di quarantena ho sentito il citofono suonare e tra irripetibili improperi al confine tra sacro e profano ho aperto al solerte corriere che mi consegna il pacco delle meraviglie, eroe di questi tempi. Due Mollana freschi prodotti con latte vaccino, un Cadetto da latte ovino e due Montébore di diversa stagionatura. Poi, una bottiglia di vino bianco locale e il certificato di adozione della pecora.
Il vero tributo alla mia pecora adottata, battezzata Rampolla, è stato celebrato con un’abbondante degustazione accompagnata da un’ottima bottiglia di Fiorano 2013.
Cosa posso dirvi dei formaggi?
Vi è mai capitato di ritrovarvi seduti ad un tavolo, e di assaggiare qualcosa che come prima reazione vi porta istintivamente ad indietreggiare, e vi ritrovate cosi’ appoggiati allo schienale della sedia con quell’espressione tra l’incredulo e l’estasiato?
Ecco, i formaggi della Vallenostra giocano in quel campionato, fidatevi.
Queste sono le belle cose che ci piacciono, e attraverso il racconto della mia esperienza spero che i lettori di Dissapore colgano l’occasione per fare del bene ad una piccola attività artigianale ma allo stesso tempo a se stessi , perché un buon formaggio migliora l’umore e in questi giorni ne abbiamo proprio bisogno.