Trend rialzista senza precedenti, questo è ormai il leitmotiv che anima il mercato del caffè verde. Era il 2020 quando su Dissapore iniziammo a monitorare la situazione prezzi, un lustro decisamente sfidante per il comparto, caratterizzato da rialzi senza precedenti e aggravato da ogni tipo di criticità. Se è vero che in uno scenario così compromesso non esistono soluzioni prêt à porter, è altrettanto vero che mai come ora delle soluzioni vadano cercate, su più livelli.
Non meno prioritario fare chiarezza sulle dinamiche che animano il mercato, e che spesso rasentano il paradosso. Ne abbiamo parlato con Antonia Trucillo, coffee sourcing manager della omonima azienda di famiglia, e Francesco Giordano, direttore generale.
Due euro per un caffè? Sarà ancora poco
“Quello che sta succedendo nel mondo del caffè -commenta Francesco Giordano- è frutto di una serie di fattori. Sicuramente c’è una componente speculativa, so che è facile parlare di speculazione ogni volta che il prezzo si alza ma è effettivamente questo lo scenario. È accaduto con altri prodotti, cerali e olio solo per citarne alcuni, e anche il caffè sta subendo in parte questa dinamica. Dobbiamo poi considerare che i paesi produttori sono sempre gli stessi e, al netto di tecniche agronomiche migliorate rispetto a vent’anni fa, si trovano a dover fronteggiare scenari sfidanti dal punto di vista climatico, a fronte di una crescente richiesta dovuta anche all’apertura di nuovi mercati. Una parte della popolazione mondiale è passata dal tè al caffè, penso all’India e alla Cina ad esempio.
Se ci caliamo invece nella realtà italiana entriamo in una declinazione diversa. Si sente parlare di caffè come di un prodotto destinato a diventare un bene di lusso, personalmente la trovo una forzatura. Anche se la bevanda dovesse arrivare ai 2 euro, siamo comunque a meno della metà della media europea. Ma non voglio difendere di prezzo della tazzina perché quello è un argomento banale, il prezzo dovrebbe essere figlio di quello che c’è dentro la tazzina. Nessuno si scandalizza per il prezzo di una margherita ormai a 8-10 euro su territorio nazionale, il problema è semmai che il caffè nel nostro Paese è un prodotto mediocre. Esistono ovviamente molte eccezioni, ma restano appunto eccezioni. Molti prodotti alimentari hanno fatto un percorso di crescita in termini qualitativi, la pizza di cui sopra ad esempio, e di conseguenza anche la comunicazione sul prodotto è cambiata. Il caffè non ha fatto lo stesso percorso, il motivo è connesso al sistema di finanziamento dei torrefattori italiani sui pubblici esercizi. In Italia abbiamo più di un migliaio di torrefattori, la maggior parte di questi opera nel settore Ho.Re.Ca secondo questo meccanismo.
Abbiamo oltre 150 mila esercizi, un fenomeno unico al mondo e decisamente inflazionato. Starbucks, la catena più grade del mondo, ne ha 30 mila. Tu domani mattina, magari senza alcuna esperienza o competenza specifica, decidi di aprire un bar. Arriva il torrefattore x, ti da subito 15 mila euro, attrezzature, tazzine ecc. In cambio dovrai brandizzare il tuo locale, usando ovviamente quel caffè, che a quel punto diventerà l’ultimo aspetto da prendere in considerazione. Chi lavora con questo sistema non ha alcuna convenienza ad investire sulla materia prima, anzi. Si scelgono prodotti a basso costo, quindi scadenti, per avere marginalità maggiori. Stiamo parlando di servizi finanziari, non di caffè“.
La qualità del caffè non è mai stato un argomento
“La frustrazione più grande – aggiunge Antonia Trucillo- è che solo ora, in una fase quasi tragica direi, si inizia a farsi qualche domanda, ma per quarant’anni nessuno, esercenti compresi, si è chiesto cosa venisse messo nel macinadosatore. La qualità del prodotto non è mai stata un argomento di discussione. Ok la speculazione, il cambiamento climatico, la maggior domanda rispetto all’offerta, ma tutto questo nasconde un deficit culturale lungo quarant’anni. Prima delle criticità che hanno investito il settore, il caffè aveva marginalità ben maggiori, ma perché dietro c’era la lavastoviglie, la figlia che si sposa e il bagno da ristrutturare, tutte frasi che mi sono sentita dire in questi anni. Noi abbiamo chiuso la finanziaria nel ’92 quando mio padre entrò in azienda, quindi non viviamo più queste dinamiche, ma lo scenario italiano si muove tutt’ora con queste modalità.”
E l’aspetto culturale, in questo caso del consumatore, rappresenta un’altra criticità. Se si propina per quarant’anni caffè di bassa qualità estratti male, si educa il consumatore a trovare identitari caffè bruciati. Insomma, a forza di non badare a un naso che odora di mozzicone di sigaretta e un amaro impattante, si inizia a cercare proprio quello nella tazzina.
Quindi, se è vero che alcuni consumatori ormai sono perdutamente ineducati, si può puntare alle future generazioni.
“Ci siamo abituati a bere caffè pietosi, è vero. A quelli che oggi mi chiedono un “caffettone”, spiego che stanno chiedendo un caffè di bassa qualità, pieno di difetti, tostato scuro per coprirli, e che in tazza si troveranno un prodotto bruciato. Serve tempo, la margherita di cui parlavamo prima non ci ha messo un anno a fare quel salto, e così sarà per il caffè. Non credo sarà un percorso così lungo però, anche perché le dinamiche che abbiamo citato stanno accelerando i tempi. Nel target Ho.Re.Ca in cui operiamo noi c’è maggiore attenzione e consapevolezza, soprattutto tra le generazioni più giovani. Si guarda alla qualità del prodotto ma anche a come viene comunicato. Sicuramente in uno scenario così complesso è necessario fare squadra su tutti i livelli.
Cosa si profila all’orizzonte?
“I maggiori Paesi produttori sono sotto scacco rispetto ai cambiamenti climatici, non è una situazione destinata a migliorare purtroppo. Questo sta portando ad una riorganizzazione per chi ha la forza di fare un lavoro sulla qualità. Stiamo parlando per lo più di grandi cooperative, i piccoli produttori purtroppo in questo scenario sono i più penalizzati. Questo ci deve rendere maggiormente consapevoli, è il momento di rimboccarsi le maniche per far fronte alle sfide che ci attendono“.