Lo possiamo dire? Lo dobbiamo dire: è il magic moment della ‘nuja.
Sì, sì, lo sono, sono anni che se ne parla insistentemente (anche qui su Dissapore) ma prima erano rondini, ora è primavera.
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Se la ‘nduja fosse un calciatore, nel 2019 vincerebbe il pallone d’oro, se fosse un’attrice prenderebbe l’oscar, se fosse un fisico otterrebbe il Nobel, se fosse una matematica conquisterebbe la medaglia Fields.
La ‘nduja è l’ingrediente del momento.
C’è stata l’era dello shiso e quella del topinambur, la stagione della salsa ponzu e l’età del Bitto, ma ora la furia calabrese ha spazzato via tutti. L’insaccato piccante di Spilinga sta vincendo a mani basse, non c’è ristorante à la page che non lo usi in una ricetta.
Un anno dopo l’altro, la pasta rossa che porta alta la bandiera di una delle regioni più riservate d’Italia ha conquistato il continente, come i carrarmatini di Risiko: Yotham Ottolenghi e Francesco Mazzei, Luca Abbruzzino e Diego Rossi, Anthony Genovese e Simone Rugiati, dal più colto al più popolare degli chef tutti hanno aperto il proprio corazon al maiale piccante.
Ma, permettetemi di dire, queste sono raffinatezze da gourmet. Servono, perché diffondo il verbo, ma sono un mezzo, non un fine. Il fine è un altro: che ci sia un bel tocco di ‘nuja nelle case di tutti gli italiani (e non solo), così come si ha sempre in frigo il parmigiano, il latte.
Io di pirsona pirsonalmente ne ho un bel trancio, e quando mi sento giù me ne spalmo una spatolata su un pezzo di pane. È potente. È terapeutica. Funziona meglio di un qualsiasi antidepressivo.
Ascoltate un fesso: tenete un pezzo di ‘nduja nelle vostre case. E l’armonia familiare ne beneficerà.