L’unica occasione di “socialità” che ci è rimasta è una passeggiata tra i corridoi dei supermercati. Così, questo week-end, mi sono concessa una botta di mondanità al punto Selex vicino casa. D’improvviso, trotterellando, mi sono imbattuta nello scaffale delle meraviglie: un lungo tunnel di luce (ma vi giuro, ero viva e vegeta, non stavo neppure sognando) pieno zeppo di panettoni firmati da chef.
Mica quelle tamarrate industriali che strizzano l’occhio al gourmet aspirante: non la solita fascia pseudo-premium da GDO che tanto caratterizza questo 2020 in fatto di panettoni e lievitati delle Feste. Proprio panettoni da QUARANTA EURO, griffatissimi. Al Selex.
Insomma che tutto ci aspettavamo, tranne che trovare sullo scaffale il panettone artigianale firmato da Gennarino Esposito, chef del ristorante Torre del Saracino (due stelle Michelin) e da Carmine di Donna, pastry chef della struttura.
Che l’industria del panetùn si fosse fatta furba ve l’avevamo anticipato con TUOBauli: il mercato del sounding “artigianale” è quello da aggredire; un po’ come capita per l’Italian Sounding all’estero, specialmente là dove una legge precisa non c’è a normare la categoria merceologica (per essere chiari: “birra artigianale”, dal 2016, ovvero da quanto una legge in merito esiste, non si può dire a casaccio, mentre sul panettone artigianale si naviga a vista).
Ma qui il discorso è ancora diverso: il tema è la grande firma che entra in GDO. Talvolta lo fa con le regole della GDO, deputando alla grande distribuzione linee specifiche. Un esempio su tutti? Il brand Elisenda dedicato ad Esselunga dei Cerea, la famiglia del Ristorante Da Vittorio, tre – stelle – Michelin – non – una – di – meno, e una naturalità invidiabile negli affari.
Ancora, l’icona del panettone Iginio Massari che firma la ricetta del panettone Hausbrandt, leader internazionale di caffè e tè, concedendo anche a chi non è altospendente il suo lievitato in versione “low cost”. Ah, la democrazia.
Intanto Carlo Cracco ed Antonio Cannavacciuolo propongono il loro panettone su Amazon (probabilmente comparirà anche tra i banner di questo articolo, grazie all’ineluttabile logaritmo).
Ma torniamo a Gennarino Esposito e Carmine Di Donna: ci troviamo in un supermercato campano a marchio Selex, molto ben fornito, ben addobbato. Ha praticamente una corsia di trenta metri dedicata ai panettoni di fascia alta ed anche artigianale, o “artigianale” che sia: il nostro troneggia nella sua pesante confezione cilindrica, rivestita da tela color pastello blu (panettone tradizionale), arancione per quello con le albicocche pellecchielle (fantasioso, direi).
Il prezzo proposto sullo scaffale è di ben 45,00 euro per prodotto da un chilo (sia tradizionale, che con le pellecchielle), esattamente come quello proposto online sul sito di Gennarino, Il Mio Panettone. Un rapido sguardo agli ingredienti non rivela nulla di anomalo, ma l’occhio sulla data di scadenza ci fa scattare il campanello d’allarme: 1/3/2021.
Ora noi, autori di Dissapore ma anche voi, egregi mangiatori di ottimi panettoni artigianali, sappiamo benissimo che un panettone artigianale senza conservanti ed aggiunte “particolari” ha una shelf life di circa 45 giorni, considerando che mangiandolo al quarantacinquesimo non avremo per nulla l’effetto “wow” tanto atteso, ma una sensazione di stantio al palato: gli aromi saranno svaniti e ci sarà, spesso, soltanto il ricordo dei Natali passati. Il “tempo” ideale per degustare un panettone, secondo i pasticcieri, dovrebbe essere nei primi venti giorni di vita nel nostro bebè lievitato. A mano a mano, vedremo scemare bontà e caratteristiche volatili.
Conti alla mano, il panettone di Gennarino e Carmine – ammesso sia stato prodotto una settimana prima del 5/12/2020, giorno in cui abbiamo scattato le foto – si presenta con una shelf life che è praticamente il doppio di quella di un panettone artigianale.
Sappiamo altrettanto bene, però, che esistono alcuni composti chimici che possono anche non essere dichiarati in etichetta: enzimi che ne allungano la vita, mantengono l’umidità del lievitato e non devono obbligatoriamente comparire nella famigerata lista.
L’andazzo pare chiaro: lo chef celebre può permettersi di proporre sul mercato panettoni più cari di quello dell’artigiano pasticcere, in virtù del suo buon nome. Mettete che il panettone di un super-artigiano, che si sobbarchi un food cost decisamente alto, arrivi a costare in media 35 euro. Ebbene, il panettone dello chef, che spesso e volentieri di quello chef ha solo la firma (se ne occuperà il suo pastry chef, quando c’è), arriva a costare 40-45 o addirittura 50 euro.
A quel prezzo, però, non mi aspetto mica di ritrovarmelo sotto i riflettori di un frequentatissimo supermercato, dei quali conosciamo bene le barriere di ingresso. A questo punto la domanda, per noi guardiani del piccolo artigianato (seppur con qualche cortocircuito da noi stesso ammesso) sorge spontanea.
C’è un limite?
La potente macchina commerciale di uno chef e del suo brand ha più possibilità di ottenere uno spazio nella vetrina della seducente grande distribuzione organizzata, proponendo il suo prodotto artigianale in un luogo che, come voi lettori di Dissapore sapete bene, mira sempre di più a soddisfare tutti i bisogni, dal tonno entry level al lievitato da 50 euro al chilo.
Altrettanto sicuramente, il periodo è complicatissimo: è molto difficile vendere il proprio prodotto attraverso canali tradizionali (ristoranti? dov’è che gli chef vendono i loro panettoni?) e quindi ci si reinventa come si può. Ma in questo modo non si rosicchia uno spazio già esiguo, togliendo ancor più spazio magari ai piccoli artigiani locali, che avrebbero potuto “provare” a vendere il loro prodotto?
Ci aspettiamo che uno chef faccia questo, con un prodotto adeguatamente rincarato rispetto ad altri pasticcieri il cui prodotto è di “sicura riuscita”, per così dire?
Ma soprattutto, a quel prezzo, mi aspetto davvero di ritrovarlo “banalmente” al supermercato, con una shelf life così lunga da fare invidia ai migliori industriali (che per inciso, solitamente, hanno data di scadenza il 30 aprile?)?
Come sempre, l’ultima parola sta a voi, cari lettori: siete voi che decidete cosa comprare.