Metti di partire un week end per la fiera del tartufo di San Miniato. Metti che, all’interno del borgo alto, tra profumi intensi fin dall’alba e uno sciame di gourmet proveniente da ogni recondito punto del Paese, tu ti imbatta in una fiera nella fiera, sotto i portici del loggiato di San Domenico.
Sorpresa: qui una manciata di bancarelle racconta di sapori ancora più arcaici di quelli del prezioso tartufo bianco e svelano storie di cibi pronti a scomparire, ma che la biodiversità da tavola vuole che continuino a fare la storia gastronomica d’Italia.
Metti, quindi, di trasformare il tuo week end vagamente snob in un fine settimana quasi splatter, grazie alla rassegna Sangue Blu, dove i protagonisti sono i salumi italiani a base di sangue.
Sono a rischio di estinzione, complice il recente furore della coscienza veg e animalista, ma contro tutto quello che è politicamente corretto, c’è chi vuole ridare lustro a questi insaccati rétro.
Niente a che fare coi vampiri, nulla da spartire con i film horror: i salumi di sangue sono parte della dieta italica fin dai tempi in cui l’anemia dilagava e gli integratori erano ancora un miraggio futuribile.
Oggi che l’istituzione dei presidi Slow Food cerca con caparbietà di preservare antichi riti e prodotti dell’alimentazione che scompaiono, anche i salumi di sangue si riscoprono rarità in via di estinzione, da salvare.
L’Associazione dei Sanguinacci di San Miniato è nata per preservare dall’oblio gastronomico uno dei prodotti di casa più bistrattati: il mallegato. Nobile e povero allo stesso tempo, questo salume conta diversi fratellastri sparsi per tutta Italia che sembravano destinati alla stessa triste sorte.
È a questo punto che nasce Sangue Blu e che la curiosità di assaggiare tutto l’assaggiabile prende il sopravvento. Perché i salumi di sangue, cari miei, sono buoni per davvero.
Biroldo della Garfagnana
Immaginatevi la coppa di testa (nella variante toscana della soppressata) e il sanguinaccio: il Biroldo si colloca giusto a metà strada tra queste due specialità insaccate povere. Viene prodotto in diversi comuni delle province di Lucca, Carrara e Pistoia.
Composto da cuore, lingua e cotenne di maiale cotti in una caldaia per circa un paio d’ore; si aggiungono poi piccoli pezzi di lardo, naturalmente il sangue e le spezie (sale, pepe, cannella, noce moscata, coriandolo e chiodi di garofano).
Sanguinaccio lombardo
Sangue di maiale insieme a pane (o patate, in alcuni casi) e spezie varie. Ne esistono infinite varianti, a seconda del luogo di produzione. Dolciastro e speziato, ha un sapore sicuramente riconoscibile.
Mallegato di San Miniato
Il periodo tra ottobre e aprile, nel cuore della provincia pisana, è tempo di mallegato. Mescolati con il sangue crudo ci sono lardelli, sale, noce moscata, cannella, pinoli e uva passa.
La ricetta varia in alcuni dettagli a seconda che a produrlo sia il mitico Sergio Falaschi, uno dei nomi intoccabili della macelleria toscana e non solo, oppure Simone Ceccotti che, a Lari (a pochissimi chilometri da San Miniato) ne produce uno dal sapore (se possibile) più intenso.
Mustardela piemontese
Testa, gola, lingua e cotenne: anche per la ricetta della Musterdela della Val Pellice, dell’animale non si butta via nulla. Dopo aver fatto lessare queste parti del maiale, si disossa e si macina.
Fino a qui tutto bene: il tocco finale viene dato da un “sobrio” trito di ciccioli, cipolle e porri uniti al sangue e alle spezie. C’è chi aggiunge all’impasto, che come immaginerete è decisamente saporito, anche del vino rosso aromatizzato alla cannella.
Susianella di Viterbo
Tipica della città di Viterbo, nel Lazio, la ricetta antica della Susianella sembra risalire addirittura all’epoca etrusca e pare che durante il Medioevo abbia raggiunto anche le tavole aristocratiche, oltre a quelle più popolane.
La tradizione vuole che nasca dalla trasformazione di cuore, fegato, pancreas, pancetta e guanciale conditi con sale, pepe, peperoncino, finocchio selvatico. Sapore acuto e speziato.
Ù sangùnét pugliese
Conte Dracula, scansate. Intestino e sangue: alla base della sanguinolenta salsiccia della Puglia ci sono questi ingredienti, cotti e poi serviti, a fette, sul mitico pane pugliese.
Banali voi che ci mettete del semplice olio…
Mazzafegato, Umbria e Marche
Nome omen: nell’insaccato tipico di diverse zone dell’Umbria e delle Marche, il fegato (di maiale) è il re, e non deve costituire meno del 15% dell’intero impasto. Per il resto siamo alle solite: tutti gli scarti comprese cartilagini, coda e lingua.
Le varianti sono infinite, ma il prodotto finale è una salsiccia decisamente gustosa e dal sapore intenso e riconoscibile (che contenga scorze d’arancia piuttosto che aglio, uva sultanina o pinoli, dipende solo dal grado di dolcezza che il produttore vuole dare ai coraggiosi “vampiri” dell’insaccato).
Il presidio del mazzafegato dell’Alta Valle del Tevere conta ad oggi 7 piccoli produttori, tutti umbri. Se la stagionatura raggiunge i due mesi lo si può mangiare al naturale, in caso contrario lo si cuoce alla griglia.
Buristo di Chiusdino
Altro fratello di sangue di Toscana, il Buristo non risparmia nulla al suino: tutte le parti della testa del maiale disossate, qualche lardello a cubetti e l’immancabile sangue filtrato, ma nemmeno lo stomaco, nel quale l’impasto viene insaccato assumendo una forma piuttosto grande e irregolare.
A regolare la sapidità ci sono limoni, bucce d’arancia, salvia e aglio.
Chef e “trasfusione” di piatti folk
A mettere in carta un piatto a base di sangue ci vuole coraggio. Non solo per il terrore che si presentino alla porta una schiera di manifestanti incazzosi come i vegani nel ristorante di Cracco, ma anche per il rischio che in molti, forse troppi, arriccino il naso e si atteggino a boccucce schizzinose.
Ma gli chef toscani si sono cimentati in questa sfida e, durante le giornate della rassegna, hanno tirato fuori il petto in onore della tradizione locale.
Ecco quindi il mallegato, farina di mais e cime di rapa di Paolo Fiaschi del ristorante Papaveri e Papere, dove la cena è stata memorabile. Oppure il raviolo dal sangue blu, ripieno ovviamente di mallegato, a firma di Deborah Corsi del Ristorante La Perla del Mare di San Vincenzo.
Prova d’autore anche per Marco Stabile, lo stellato fiorentino di Ora d’aria che ha proposto il petto di faraona al tartufo con mallegato e barbe rosse.
Conclusione eticamente non biasimabile (spero)
Lo so, è vero, quegli occhioni fanno tenerezza e un po’ tristezza anche a me. Lo so, in un mondo perfetto le carote avrebbero lo stesso sapore di un salame stagionato e le verze avrebbero per osmosi la stessa consistenza delle costine di maiale. Le so tutte, queste cose, non sono un cuore di pietra e gli animali mi stanno simpatici tutti, quasi sempre.
Ecco perché, con spirito talebano, dopo questa due giorni tra macellerie e sanguinacci di varia provenienza, ho deciso che mi affetterò da sola le falangi se solo dovessi tornare in un supermercato a comprare carne.
Il mio è un processo lento e graduale, che tende alla perfezione, ma che ovviamente la disattende, avvicinandocisi comunque ogni giorno un pochino di più.
Se, facendo i conti con la mia coscienza, ho comunque scelto di nutrirmi anche di carne (salumi di sangue compresi) e pesce, ho definitivamente chiuso con gli allevamenti intensivi, abietti luoghi di tristezza per gli animali in vita e dispense in loop di carne di serie C.
D’altra parte è stato proprio Sergio Falaschi a farmi notare che “davvero etico” è capire quanto può essere importante sfruttare ogni parte di un animale che è nato e cresciuto a scopo di macellazione, e quanto anche una carne allevata nel rispetto della vita dell’animale potrebbe costare molto meno se in macelleria la gente non chiedesse solo filetto e parti nobili.
[Crediti | Immagini: Alice Franchi]