Comincia con una excusatio non petita Ricette proibite di Tebaldo Lorini (edizioni Sarnus), un interessante libretto (88 pagine, per 10 euro) che ripercorre la storia italiana, e specialmente toscana, di alcuni “mangiari” che oggi consideriamo di fatto tabù ma che un tempo affollavano senza troppi patemi le nostre tavole.
Già dal sottotitolo infatti – Rane, asini, rondinotti, gatti e tartarughe nella tradizione alimentare – si capisce subito come un tempo la necessità di procurarsi proteine spingesse in tavola di tutto, e il risvolto più interessante è che Lorini ci lascia intendere che diverse di queste pietanze potevano non essere niente male…
Non fraintendetemi, ambasciator non porta pena e del resto anche Lorini non mangia mica cibi che oggi oltre che tabù risultano in gran parte vietati, riporta però – soprattutto nell’interessantissima prima parte del volume – una serie di testimonianze storiche che ci permettono di farci un’idea precisa del bestiario che finiva in tavola, di come veniva preparato e di che implicazioni era di per sé latore, perché alcune di queste bestie erano considerate delizie riservate alle tavole più ricche.
È una continua sorpresa Ricette proibite, sfogliandolo si scopre come i ghiri venissero considerati prelibatezze raffinatissime, “aragoste di terra”, addirittura, da cuocere lungamente per far sciogliere il loro grasso morbidissimo, che non si sarebbe rappreso e che avrebbe completato il pasto fornendo la sua sostanza per la più sontuosa delle scarpette. Oppure si viene a sapere che granchi e gamberi di fiume, pregiatissimi, erano riservati alle tavole nobiliari, in Toscana per esempio erano prerogativa dei Medici (oggi è difficilissimo trovarne, e anche una volta trovati sarebbe vietato mangiarli, trattandosi di specie protette, e comunque sconsigliabile: sono questi tra gli animali che più di tutti trattengono l’inquinamento ormai onnipresente nelle acque dolci nei propri tessuti). Al contrario erano per tutti le bistecche d’orso, in grado di fare la felicità di interi paesi, quando capitasse l’occasione di averne sottomano.
Non mancano poi incursioni in epoche anche più prossime, scelte a rappresentare quella che era pur sempre una necessità e che ci mostra come se ci trovassimo in condizioni analoghe probabilmente faremmo ragionamenti simili. Lorini racconta che durante l’assedio di Parigi del 1870, a corto di proteine animali, si finì per mangiare perfino gli animali dello zoo. Ed è così per esempio che in occasione del Natale di quell’anno il ristorante Voisin di rue Faubourg Saint-Honoré servì un menu a base di testa d’asino, cammello arrosto, consommé d’elefante, salmì di canguro, costolette d’orso e – last but not least – un ironicissimo gatto con contorno di topi. Gatti che del resto mangiavano forse perfino i nostri nonni, tanto da esser considerati ancor oggi un inconfessabile piatto tipico nella città di Vicenza (e lo erano anche in molte altre, durante la Seconda Guerra Mondiale).
Il volume poi si completa di una serie di ricette, quasi tutte a base di animali che oggi possiamo pensare in pentola solo a costo di un certo sforzo immaginativo, e cionondimeno – fosse pure solo per testimonianza storiografica – tre di queste brevi ricette ve le copierò, anche perché leggerle ha un effetto lievemente straniante (ma non dimenticate che tutto è abitudine: pensate al vezzo dei francesi di inchiodare le zampe delle oche a terra per ricavare il foie-gras, un’usanza ben più crudele della caccia praticata per necessità).
Non serve dirlo ma non si sa mai: prendete queste ricette come documenti di un tempo che fu, non come consigli per la cena.
Ragù di tartaruga
“Le tartarughe, prima di cucinarle, devono essere decapitate per far scolare il sangue. Poi si rompe il guscio e si tirano fuori, si tolgono le interiora e si sbucciano, perché la pelle è dura e ruvida. Si lavano bene in acqua calda e si passano al tritacarne. Si fa rosolare in olio d’oliva la carne così macinata con cipolla e basilico tritati, si bagna con vino rosso e si fa sfumare.
Si porta a cottura il ragù con salsa di pomodoro o conserva”.
Gru, aironi e cicogne arrosto
“Questi uccelli della famiglia dei trampolieri vivono nelle paludi e si nutrono di pesci. Hanno una carne dura e impregnata di odore di pesce e di fango, immangiabile ai nostri giorni ma usata in tempi passati. Prima di cucinarli devono essere frollati per molti giorni e poi messi in una marinatura di aceto e erbe aromatiche proprio per intenerirne la carne e togliere il cattivo odore.
Togliere il trampoliere dalla macinatura, asciugarlo e, dopo averlo salato e pepato all’interno e all’esterno, porlo in una pirofila da forno con olio e burro e ricoprirlo di fette di lardo o pancetta.
Cuocerlo in forno per circa 3 ore a 180° bagnandolo ogni tanto con il liquido della marinatura”.
Ghiri arrosto
“Il momento migliore per cucinare il ghiro è a novembre quando queste bestiole sono appena andate in letargo, perché sono più grasse proprio per affrontare il periodo di letargo.
Dopo averlo spellato, pulito e lavato, il ghiro si mette in un tegame con un mazzetto di erbe aromatiche, sale, pepe, ma senza olio, perché il calore fa sciogliere il grasso del ghiro che è molto saporito e considerato una prelibatezza.
Cuocere lentamente per circa un’ora, poi servirlo con il suo unto che ha la caratteristica di rimanere sempre liquido anche quando si fredda, dando un sapore molto particolare alla carne.
Mangiare il pane inzuppato nel grasso sciolto completa il piacere di gustare questo piatto.”