Nell’anno uno della pandemia, l’orribile 2020, IGP DOP e SGT hanno resistito: le cosiddette Indicazioni Geografiche, ovvero le specialità tipiche e locali, hanno subìto meno di altri settori la crisi che nell’agroalimentare ha picchiato duro. E questo nonostante le tipicità territoriali siano strettamente legate alle sorti del turismo, l’ambito che più di tutti gli altri ha sofferto, obbligato com’è stato al blocco totale delle attività. Questo in sintesi il risultato del Rapporto Ismea – Qualivita 2021 sulle produzioni agroalimentari e vitivinicole italiane Dop, Igp e Sgt. E d’altronde chi meglio della fondazione atta alla valorizzazione dei marchi d’origine italiani (Qualivita, per l’appunto) dovrebbe dirci qual è lo stato dell’arte.
Il valore totale della produzione certificata DOP e IGP nel 2020 è stato di 16,6 miliardi di euro: una flessione del 2% rispetto all’anno precedente, ma un dato che conferma il peso percentuale del fatturato “tipico” rispetto a quello totale dell’agroalimentare nazionale, che resta del 19%.
Il rapporto poi passa al dato per aree, interessante per le implicazioni geografiche delle filiere: “se le quattro regioni del Nord-Est si confermano traino rappresentando oltre la metà del valore complessivo nazionale del settore DOP IGP (53%), soltanto l’area ‘Sud e Isole’ mostra un incremento complessivo del valore nel 2020 rispetto all’anno precedente (+7,5%). Si conferma inoltre il dato più importante che caratterizza in maniera specifica il settore: tutte le regioni e le province italiane hanno una ricaduta economica dovuta alle filiere dei prodotti DOP IGP, che esprimono un patrimonio dei territori per loro natura non delocalizzabile”.
Export
Se parliamo nello specifico di esportazioni, il 2020 registra un valore stabile rispetto all’anno precedente, raggiungendo i 9,5 miliardi di euro per un peso del 20% nell’export agroalimentare italiano. La sostanziale assenza di variazione complessiva è però figlia di una compensazione, infatti il comparto Cibo con 3,92 miliardi di euro registra un incremento del valore esportato del +1,6%, mentre il Vino con 5,57 miliardi di euro subisce una decrescita del -1,3%.
Supermercati
Guardando invece al mercato interno, il documento fa un’osservazione relativa alla distribuzione nei supermercati: per una serie di fattori pratici ed economici, all’inizio della pandemia i consumi hanno penalizzato alcune aree (una su tutte, la ristorazione) e avvantaggiato altre. Tra queste, sicuramente la Grande distribuzione organizzata ha visto una crescita delle vendite; ma questa crescita è stata spinta più da certi beni che da altri: “le vendite alimentari di prodotti IG hanno mostrato performance migliori rispetto agli omologhi convenzionali. Considerando solamente le vendite a peso fisso nella GDO, nel 2020 la crescita in valore per le produzioni alimentari e vitivinicole DOP IGP è stata del +9,7%”. Un trend che si conferma nell’anno appena terminato: infatti i primi nove mesi del 2021 mostrano un’ulteriore crescita del +1,7%.
“Infine, si consolida il legame del comparto DOP IGP con il settore dell’industria e dell’artigianato alimentare: nel 2020 il 68% dei Consorzi ha concesso l’autorizzazione all’uso della IG come ingrediente per prodotti trasformati e nel complesso si contano circa 13.000 autorizzazioni rilasciate negli anni, per un giro di affari stimato di 260 milioni di euro di valore alla produzione DOP IGP destinato a prodotti trasformati”.
Considerazioni finali e prospettive per il futuro? Da un lato i prodotti legati al territorio hanno bisogno di mantenere la loro specificità; dall’altro il loro ruolo potrebbe essere potenziato dalle nuove politiche Ue, che quindi potrebbero caricare il settore di responsabilità. Maria Chiara Zaganelli, direttore generale Ismea, fa notare nell’introduzione: “La politica comunitaria strizza l’occhio alle produzioni di qualità e fornisce anche altri segnali importanti sul ruolo che potranno svolgere i sistemi legati alle filiere IG a proposito dell’orientamento al rilancio dei sistemi produttivi territoriali in cui si trovano potenziati i rapporti di filiera e di distretto, o dell’incentivo allo sviluppo di modelli organizzativi integrati e agli approcci collettivi alla gestione delle risorse naturali dei territori oltre che, ovviamente, la spinta di base verso pratiche agronomiche attente anche al paesaggio e alla biodiversità. Nello scenario che va delineandosi, pertanto, il modello produttivo delle IG, che fino ad oggi ha fondato il suo valore su fattori quali la distintività, l’unicità, la certificazione e il sottostante modello di sviluppo territoriale, dovrà raccogliere le nuove sfide per potenziare la sua competitività nel processo di adeguamento al nuovo contesto. Un contesto nel quale la reputazione del marchio sarà legata a doppio filo alla rassicurazione circa la sostenibilità ambientale della produzione e che dovrà essere comunicata con l’informazione sui contenuti nutrizionali del prodotto”.
In tutto questo, bisogna anche tenere conto che la Commissione sta elaborando una riforma della regolamentazione delle indicazioni geografiche: processo di riforma che però è caratterizzato dall’incertezza, perché potrebbe sia incontrare ostacoli data la differenza di interessi che ogni paese ha rispetto al settore delle specialità locali, sia in generale aver difficoltà ad andare in porto del tutto.