Quali sono i rischi del formaggio a latte crudo e come ci protegge la legge

La legge è già severa sulla produzione e la commercializzazione dei formaggi a latte crudo: cosa dicono le nostre norme (e le etichette) per proteggerci da eventuali rischi per la salute.

Quali sono i rischi del formaggio a latte crudo e come ci protegge la legge

I recenti casi di intossicazione che hanno coinvolto alcuni bambini colpiti da Sindrome emolitico-uremica (SEU), sviluppata dopo aver mangiato formaggio non pastorizzato contaminato da Escherichia Coli, hanno riaperto il dibattito sulla sicurezza del latte crudo. Se sulla necessità di non demonizzare il prodotto abbiamo già parlato, vale la pena approfondire quanto permette di capire in modo un po’ più tecnico quali siano le condizioni per utilizzare il latte crudo in maniera sicura.

Cosa dice la legge sul formaggio a latte crudo

provola dei nebrodiLa Provola dei Nebrodi DOP, formaggio siciliano a latte crudo

Un primo riferimento normativo per quanto riguarda il trattamento e la lavorazione del latte crudo è rappresentato dal Regolamento (CE) n. 853/2004, che definisce i requisiti sanitari per la produzione, di igiene nelle aziende produttrici, le caratteristiche del latte, i riferimenti per il trattamento termico e l’etichettatura. In particolare, proprio in relazione a quest’ultimo punto, l’utilizzo di latte crudo nella produzione di formaggi freschi è consentito, purché il latte soddisfi determinati requisiti specifici igienico-sanitari: in questo caso, l’etichetta del formaggio dovrà riportare la dicitura “fabbricato con latte crudo”.

Sono inoltre previste alcune deroghe che permettono l’utilizzo di latte crudo non conforme ai parametri microbiologici standard, purché il formaggio ottenuto sia sottoposto a un periodo minimo di stagionatura di almeno due mesi: la stagionatura, infatti, abbatte i rischi legati alla lavorazione di latte non conforme ai requisiti standard* (addirittura potrebbe risanare anche prodotti contaminati da batteri come la Salmonella spp. Distruggendoli completamente dopo questo tempo di stagionatura in alcuni casi è consentita, prima di eliminare formaggi non ancora posti in vendita, una stagionatura ulteriore per abbattere la carica batterica).

La normativa definisce di fatto una cornice generale all’interno della quale la produzione e la commercializzazione del formaggio è consentita solo al termine di una catena di controlli condotti dalle autorità competenti svolti sugli animali (che, se bovini e bufalini, devono essere indenni da Brucellosi e Tubercolosi, e se ovini e caprini, da Brucellosi) e le loro condizioni di salute, sull’igiene di locali, attrezzature e personale, su quella delle fasi di mungitura, raccolta e trasporto, definendo criteri distinti per latte vaccino, bufalino, ovino e caprino (piccolo inciso: all’uscita della mammella il latte è praticamente sterile ma diventa poi colonizzabile da microrganismi provenienti dall’animale, dall’uomo, dall’ambiente, dalle attrezzature di mungitura, dall’aria, dall’acqua e dal suolo), e garantendo la tracciabilità sino alla tavola. Microrganismi patogeni possono derivare da un infezioni sistemiche (attraverso il passaggio diretto dal sangue), da affezioni della mammella (mastite), oppure per contaminazione ambientale (durante o dopo la mungitura) o da contatto umano.

I controlli sugli animali e le malattie da evitare

castelmagno stagionatoIl Castelmagno d’Alpeggio (che è a latte crudo) stagionato

Per quanto riguarda gli animali, due in particolare sono i punti critici cui porre attenzione e che, se non gestiti correttamente, possono influire sulla salubrità del latte: le mastiti e le cellule somatiche. La mastite è un’infiammazione della ghiandola mammaria provocata da un danno alla mammella. Le cause non sono solo batteriologiche, ma anche derivate da agenti chimici o fisici: ecco che sanità della mammella (che, non a caso è citata dal Regolamento CE) igiene di chi è addetto alla mungitura, dell’ambiente e dell’impianto hanno un ruolo non secondario. Le cellule somatiche sono cellule del sistema immunitario che si sono trasferite dal sangue alla mammella e che hanno il compito di controllarne le infezioni. Il loro numero aumenta nel latte quando nelle mammelle è presente una quantità eccessiva di microrganismi indesiderati. Ebbene, la legge impone precisi valori di riferimento per latte crudo latte bovino, fissando anche i limiti per la carica batterica: se sui numeri soprassediamo immaginando che il dato tecnico non dica molto al consumatore, è comunque rilevante per gli operatori del settore, ai fini della lavorazione e consumo. Il casaro ha infatti tutti gli strumenti (normativi e tecnologici), in grado di valutare se il latte che lavora è sano o meno.

Un ruolo determinante, nelle fasi successive, è poi quello della temperatura di refrigerazione: il regolamento fissa anche in questo caso dei paletti, utili per evitare la proliferazione di patogeni e specifica che la catena del freddo deve essere mantenuta, non solo per chi lavora il proprio latte, ma anche nel caso in cui il latte sia conferito ad altri, durante il trasporto e all’arrivo presso lo stabilimento di destinazione. Il quadro normativo non si ferma qui: per poter commercializzare latte crudo bisogna possedere un’azienda registrata o riconosciuta, oltre all’etichettatura specifica, di cui si è già detto. I decreti che regolano le condizioni ottimali di lavorazione fanno parte del cosiddetto “pacchetto igiene” dell’Unione Europea (Regolamenti (CE) 852, 853, 854/2004 625/2017 e Direttiva 2002/99), che hanno stabilito in modo chiaro il modo di produrre latte e formaggio a latte crudo, segnando un discrimine ed il modo di effettuare i controlli.

Una nuova legge ha senso?

stagionatura del formaggio

In merito alla proposta di legge di cui si discute, che mira a rendere obbligatoria l’indicazione in etichetta dei potenziali rischi di questi prodotti per i bambini di età inferiore ai 10 anni, gli anziani e i soggetti immunodepressi, in maniera visibile e leggibile, abbiamo chiesto ad Angelo Citro, Medico veterinario di igiene degli alimenti e delle produzioni zootecniche dell’Als di Salerno e referente nazionale per le piccole produzioni locali della Società veterinaria nazionale, di spiegarci se effettivamente i formaggi a latte crudo possano rappresentare un rischio per tali soggetti. Citro spiega che le difese immunitarie di questi soggetti sono più basse rispetto agli altri e quindi, nel caso in cui il latte crudo non sia trattato nel rispetto della normativa che fissa requisiti di carica microbica, igiene, temperatura e lavorazione, eventuali patologie possono colpire i soggetti a rischio. In particolare Escherichia coli, Campylobacter jejuni, Salmonella, e Listeria monocytogenes sono i principali patogeni di rilevanza sanitaria, quelli soggetti a sorveglianza e controllo mirati e normati, in latte e derivati.

Se i decreti fissano rigidi riferimenti, per capire ancor meglio cosa significa lavorare correttamente latte crudo e cosa si perde utilizzando quello pastorizzato, vale la pena parlare di composizione batterica del latte. La composizione e le caratteristiche chimiche e chimico-fisiche fanno del latte un contesto ideale per la crescita microbica. In pratica, il latte crudo in tutti i casi contiene batteri buoni (e utili: per fermentazione, definizione di caratteristiche organolettiche, effetti salutistici) e batteri cattivi, il cui controllo è necessario. Citro spiega che la pastorizzazione imposta dai Regolamenti Ue non tiene conto della biocompetizione naturale, che è quella che vede appunto opposti batteri buoni e cattivi: il latte pastorizzato non ha batteri buoni e quindi è incapace di contrastare i batteri cattivi. Paradossalmente (ma nemmeno poi tanto), una contaminazione di latte pastorizzato non potrebbe essere contrastata allo stesso modo di quanto avviene nel caso del latte crudo adeguatamente lavorato. E qui entra in gioco la necessità (e il ruolo) di un buon innesto. Derivato dal latte o dal siero, l’innesto non solo consente ai batteri buoni di prevalere ma è anche responsabile delle caratteristiche qualitative e organolettiche del formaggio.

Perché i formaggi a latte crudo sono più buoni

comptèIl Comptè AOP, celebre e pregiato formaggio a latte crudo francese

Un formaggio a latte crudo, innestato con siero (praticamente il “lievito madre” del formaggio”, il non plus ultra) o con latte, è un concentrato di famiglie di fermenti di tanti ceppi diversi, responsabili dell’ampiezza del suo valore sensoriale. Un formaggio a latte crudo, è per questo, unico nel suo genere ed espressione di un territorio, dei suoi animali e del casaro. Un formaggio pastorizzato contiene al massimo 3 famiglie di fermenti (quindi con molta meno ricchezza organolettica), che se usate a ripetizione, devono esser cambiate 1 volta a settimana altrimenti si ha una riduzione della qualità. Ecco perché i formaggi a latte crudo sono sempre diversi ed ecco perché quelli industriali sono tutti uguali.

Lavorare latte crudo non è semplice, poiché richiede competenze, abilità, esperienza, controlli costanti: se si decide di utilizzarlo, allora, la consapevolezza deve essere quella di farlo al meglio, rispettando gli animali, la materia prima, i consumatori e la loro salute. Dall’altra parte, un’informazione corretta, senza allarmismi né pregiudizi, è il favore migliore che si può fare ai consumatori, e anche al latte, oltre a chi lo lavora.

*Uno studio realizzato nel 1999 dal Dott. Citro (con l’Istituto di Ispezione degli alimenti di origine animale della Facoltà di Medicina Veterinaria di Napoli) sulla mozzarella di bufala ha permesso di stabilire che la corretta filatura non solo consente un notevole abbattimento della carica batterica totale e dei germi contaminanti, ma anche la distruzione dei patogeni presenti nel latte crudo di partenza. L’esperimento è stato condotto contaminando il latte con salmonella: la filatura ha abbattuto i germi e di fatto la funzionato come una pastorizzazione.