Sono al banco pescheria di un grande supermercato trevigiano. Il cartellino conficcato sul ghiaccio tritato dà il persico del Nilo a 15,90 €/kg. A fronte del branzino pescato del Mediterrano che costa quasi il doppio, la signora davanti a me si fa incartare due filetti di persico da 400 g ciascuno per un totale di circa 6 euro a pezzo.
Mentre la guardo, penso a Mary Anyango che assieme ai suoi sette figli vive a Kisimu, lungo la riva keniota del lago Vittoria, e da qualche tempo non riesce più a sbarcare il lunario con il suo lavoro di venditrice di pesce. Per questo sua figlia di 26 anni ha dovuto fare come altri 300 mila keniani prima di lei ed emigrare nel golfo arabo a caccia di un lavoro come domestica. Oggi sua figlia guadagna 250 dollari al mese, più o meno cinque volte di più rispetto alla madre.
Ma questa vita che si svolge a un mondo di distanza dal mio, in che modo mi può riguardare, e in che modo riguarda la signora davanti a me che nel frattempo sta infilando il suo sacchettino nel carrello? Il punto di congiunzione fra questi esseri umani divisi da due continenti è un prodotto dalla filiera lunghissima che dal primo lago africano arriva ai banchi dei nostri supermercati. Il persico del Nilo (nile perch o persico africano) è molto apprezzato nel nostro paese, e più in generale in Europa, un po’ per le sue carni dal sapore neutro ma sopratutto per il costo che tuttavia negli ultimi anni ha subito un aumento ragguardevole.
Lo si acquista spesso e volentieri perché non ci si fa molte domande sulla sua provenienza, e c’è chi addirittura pensa che non ci sia differenza tra quel persico e il nostro persico italiano. A questo proposito è il caso di fare una distinzione: il pregiato persico reale dei laghi del Nord non c’azzecca proprio nulla con il persico del Nilo che troviamo filettato nei supermercati italiani.
Ma cosa sappiamo di questo prodotto? E soprattutto quanto conosciamo del contesto ambientale e sociale in cui viene pescato? Il persico del Nilo arriva dal lago Vittoria, un immenso bacino diviso fra Kenya, Uganda e Tanzania dal quale traggono sostentamento almeno 40 milioni di persone in Africa Orientale. Questa specie è detta alloctona in quanto introdotta artificialmente negli anni Cinquanta. L’operazione ha causato la drastica diminuzione della biodiversità lacustre a scapito delle specie autoctone che fino ad allora erano alla base di una piccola economia di pesca appannaggio degli abitanti locali.
Dopo l’introduzione di questo gigante d’acqua dolce – il persico del Nilo può arrivare fino a due metri di lunghezza e 200 kg di peso – e la sua straordinaria proliferazione, hanno causato un boom economico che in breve ha attirato capitali dall’estero tanto da essere paragonato ad una vera e propria “corsa all’oro”. Questo pesciolone piace eccome ai mercati europei e asiatici dove la domanda è cresciuta in modo esponenziale dagli anni Ottanta ad oggi. Nonostante il persico non sia mai andato a genio alle popolazioni che vivono sul Nyanza (altro nome del lago Vittoria) la pesca ha assunto un’importanza tale da rappresentare l’unica fonte di guadagno per le almeno 800 mila kenioti e ugandesi impegnati direttamente in un business ormai multimilionario (dati del Lake Victoria Fisheries Organization).
Pare che da questa miniera d’oro però la comunità locale tragga ben poco beneficio e che i problemi legati alla pesca selvaggia e all’inquinamento siano fuori controllo. Senza girarci attorno, che si peschi in una fogna, è noto da tempo. Guardando alle inchieste recenti balza all’occhio quella del maggiore quotidiano keniano Daily Nation e ripresa anche da Nigrizia che denuncia la presenza di liquami umani (gli scarichi delle fogne attorno al bacino si gettano nel lago) oltre a metalli pesanti e soprattutto pesticidi riversati nelle acque del Nyanza come residuo delle attività agricole svolte a monte e trasportate dai fiumi.
Il WWF stesso ha dedicato un suo dossier all’inquinamento del fiume Mara colpito nel 2020 da una sospetta moria di pesci. Lo stesso vale per il lago Vittoria dove a gennaio 2021 avremmo visto migliaia di persici morti galleggiare sull’acqua senza una precisa spiegazione al di fuori dell’inquinamento e dell’effetto di piante infestanti “mangia ossigeno”. I fiumi che si immettono nel lago Vittoria infatti vanno ad irrigare le piantagioni di tè e caffè dove si fanno largo uso di pesticidi e fertilizzanti che in assenza di qualsivoglia controllo finiscono diretti nelle acque. Ma non è tutto. In un’intervista ad Al Jazeera, Brian Waswala della Naasai Mara University porta all’attenzione pubblica il dramma del giacinto d’acqua.
La pianta altamente infestante prolifera proprio grazie al nutrimenti dei fertilizzanti e la sua crescita fuori controllo oltre ad assorbire ossigeno impedisce alla luce di filtrare dando, come dire, la mazzata finale all’ecosistema lacustre e all’attività dei piccoli pescatori. Chi è disperato ricorre a metodi estremi pur di trovare qualche pesce. Quando questi non galleggiano morti sulla superficie, c’è chi avvelena le acque di proposito per farli emergere dai fondali. “17 pescatori arrestati per avvelenamento delle acque” si legge tra le pagine recenti del giornale ugandese Post Media Ldt.
L’evidente poca salubrità delle acque è lungi dal frenare il commercio di persico del Nilo e così la sua pesca selvaggia. Alla grande richiesta del prodotto da parte del mercato europeo e nord americano, dove i pesci esotici come persico, tilapia e pangasio sono molto apprezzati, si aggiunge la domanda asiatica. In Cina in particolare c’è un’enorme richiesta di vescica natatoria di persico africano dove questo bizzarro prodotto si fa pagare a peso d’oro (fino a 1000 $/kg) per le sue (presunte) proprietà afrodisiache. Stando al quotidiano indipendente ugandese Daily Monitor, nel 2020 Cina e Uganda hanno firmato un accordo commerciale per venire incontro alla domanda di “viagra naturale” il cui valore d’esportazione dall’Africa Orientale al paese asiatico ammonta a circa 86 milioni di dollari l’anno.
Se da un lato si guarda ad accordi multimilionari, dall’alto lato c’è chi vive ai margini della società senza trarre alcun beneficio da questo business internazionale. Mila Akiny, 51 anni, vende pesce essiccato dai primi anni Novanta. Da quando le grandi compagnie hanno messo piede sulle rive del lago Vittoria, per lei rimane sempre meno pesce. Anche nella trasformazione non c’è spazio per i locals perché i centri dove il pesce viene lavorato sono dislocati rispetto al lago. Per questo, come la figlia di Mary citata sopra, anche la sua si è vista costretta ad emigrare in Arabia Saudita dove lavora alle dipendenze di qualche facoltosa famiglia di petrolieri. Anche a Brenda è capitata la stessa sorte della figlia di Mila e Mary con la differenza che dopo neanche un anno ha fatto ritorno in Kenya perché le sue condizione di lavoro erano «paragonabili allo schiavismo».
Tra le altre testimonianze raccolte lo sorso anno dal reporter di Al Jazeera Sebastian Castelier c’è quella di Enos Awele, un pescatore secondo cui la pesca oggi è talmente poco remunerativa che anche chi è disoccupato ormai ha perso interesse per l’attività lasciando libero terreno a grosse aziende esportatrici di cui non conosciamo il nome. I governi africani sono i primi a non lasciarsi sfuggire i capitali esteri. Come riporta kenyanews.co.uk, a febbraio 2022 è in arrivo (l’ennesima) nonché innominata compagnia, in questo caso israeliana, che attraverso un sopralluogo valuterà la fattibilità di un allevamento di persico del Nilo a Kisumu. Il dipartimento di pesca del paese ha già predisposto centinaia di ettari di suolo pubblico da destinare all’allevamento.
Guardando al futuro del lago Vittoria la svolta verso l’allevamento intensivo di persico del Nilo sembra quella più appetibile per chi trae profitto dal business della pesca. I pesci sono sempre meno perché si cattura senza rispettare le norme che non consentono la pesca di esemplari prima che abbiano raggiunto la maturità riproduttiva. Uno scenario di allevamenti di persico non va a genio alla comunità locale che rischia di vedersi tagliata fuori da un flusso di denaro che dalle acque del loro lago potrebbe scorrere dritto all’estero lasciando grand poca ricchezza a chi sul Nyanza è nato e cresciuto. Anche per questo i giovani sono sempre più propensi a lasciare l’Africa orientale per lavorare nel Golfo. Ormai le rimesse di chi se n’è andato sono una delle poche fonti di ricchezza sicure per chi rimane a casa dove si combatte la guerra dei poveri.
Proprio il lago Vittoria fa da cornice a quella che è stata ribattezzata la più piccola guerra d’Africa. Sulla minuscola isola di Migingo ugandesi e kenioti si contendono una “terra di nessuno” divisa fra Kenya e Uganda senza precisi confini. Le acque profonde che circondano l’isolotto di baracche sono ideali per pescare grossi esemplari di persico adulto. Ciononostante tornare con qualcosa nella rete evitando la polizia è un’impresa e dunque non resta che inventarsi un piano B come ha fatto Daniel Obadha, un ex- elettricista che a Migingo ricarica i cellulari raccimolando pochi spiccioli per il servizio.
Insomma, questa storia del persico del Nilo lascia l’amaro in bocca. Vorrei fermare la signora che si allontana tra gli scaffali del supermercato e domandarle quanto sappia di quei filetti appena entrati nel suo carrello. Poi ripenso che anche io ne so così poco. È il mio turno in pescheria. Ma mi è passata la voglia, ringrazio e tiro dritto.