Difficile raccontare l’emozione che ho provato ieri mattina, quando mia figlia ha iniziato la prima elementare. Oggi è partito un percorso che la farà crescere, un viaggio in cui imparerà un sacco di cose meravigliose: la matematica, la grammatica, la storia, e pure a preparare le sfogliatelle con zucchine e fettalpine della Latteria Inalpi. Il fatto è che il kit d’ordinanza con cui mia figlia ha affrontato la prima elementare prevedeva che noi genitori acquistassimo diverse cose: la cartella, i quaderni, il portapenne, il grembiulino azzurro, ma il diario scolastico no, quello ce lo avrebbero consegnato direttamente a scuola.
Obbligatorio e uguale per tutti.
Un po’ bolscevica come scelta, ma in fondo anche comprensibile: magari così le differenze tra chi può permettersi un diario griffato e chi no saranno meno evidenti. O almeno così pensavo io, un po’ ingenuamente. E così ho spiegato a Matilda, che c’era rimasta parecchio male sapendo di dover lasciare a casa il diario che aveva già comprato con tanto entusiasmo. Ma va bene così: nuova scuola, nuove regole.
Vai, figlia mia, preparati a crescere, e porta a casa questo bel diario, che mamma alla fine è pure un po’ curiosa.
E meno male.
Allora sfogliamolo, questo diario obbligatorio adottato in una qualunque scuola pubblica di Torino. In apertura, viene presentata la famiglia Inalpi, che farà sentire meno soli i bambini durante il loro percorso scolastico. C’è Nonna Caterina, che insieme a nonno Cesare ha fondato Latterie Inalpi. C’è Romina, che è cresciuta tra i corridoi dell’azienda di famiglia; c’è Jean Pierre, a capo del laboratorio che controlla la qualità del latte e c’è Guido, che nel suo ristorante seleziona ingredienti genuini (Inalpi, presumiamo).
Insomma, il diario di mia figlia è un album di famiglia di qualcun altro, e almeno fossero i Flintstones o gli Addams.
Mica è finita (magari lo fosse). Qua e là, tra lo spazio per un compito da fare e quello per una nota per non essersi applicati abbastanza, ci sono le “curiosità Inalpi” (“Oggi, Latterie Inalpi è una realtà che produce e vende in tutto il mondo”, “Inalpi è al fianco dell’Associazione Papa Giovanni XXIII per aiutare donne e uomini rifugiati” e via così). Ci sono le ricette targate Inalpi, utilissime e interessantissime per i bambini di sei anni. E, come se non bastasse, ci sono ovviamente le pagine pubblicitarie tradizionali.
Di più. Visto che i bambini a scuola devono pure fare merenda, ci sono anche i consigli per una pausa gustosa anti-noia, nel caso mamma e papà siano a corto di idee.
Così, mia figlia passerà un intero anno scolastico in compagnia di Inalpi (no che non lo farà, ovviamente, questo è certo). Perché evitare che i bambini subiscano discriminazioni per il loro diario più o meno bello, in effetti, è importante. Ma come si fa se non ci sono fondi per garantire gli strumenti a tutti quanti? Nessun problema, ci pensa mamma Inalpi a comprarlo agli studenti, pure a quelli che non se lo possono permettere. Contenti? No, per niente.
Perché nel caso sia necessario, vale la pena di ricordare che la legge italiana tutela i minorenni dai messaggi pubblicitari che “esortano direttamente all’acquisto, sfruttando l’inesperienza o la credulità dei bambini” o che “esortano a convincere i genitori all’acquisto”. Ah, e la stessa legge proibisce anche “lo sfruttamento della fiducia che i bambini ripongono nei genitori o negli insegnanti”.
Scuola pubblica e sponsor: cosa dice la legge?
E, se è pur vero che il Decreto Interministeriale 1 febbraio 2001 n. 44 prevede la possibilità per le istituzioni scolastiche di concludere accordi di sponsorizzazione con soggetti pubblici o privati (sic), è bene conoscere la differenza tra una sponsorizzazione e una pubblicità. E pure quella tra un decreto interministeriale e una legge.
Qui non stiamo solo parlando (solo) di pubblicità, bensì di quella che potremmo definire pubblicità istituzionalizzata. L’alternativa per il diario di mia figlia sarebbe stata quella di comprare il diario dei Me Contro Te, o dei My Little Pony: un prodotto commerciale, in buona sostanza. Che quindi l’avrebbe comunque sottoposta a un messaggio pubblicitario, magari – anzi, sicuramente – più diseducativo di quello di Inalpi (ricordate la nostra polemica di qualche mese fa sui Me Contro Te e i fast food?). Di fatto, si veicolano messaggi pubblicitari attraverso uno strumento obbligatorio di formazione scolastica, in una scuola pubblica. Possiamo davvero permetterlo senza alzare la manina e chiedere cortesemente se siamo proprio sicuri che sia tutto a posto?
“Perché nessuno pensa ai bambini?” strillava Helen Lovejoy in una puntata dei Simpson. E alla fine tocca dare ragione pure a lei. Perché la questione non è per nulla di poco conto: davvero possiamo e vogliamo permettere alle aziende commerciali (di qualsiasi natura siano) di intromettersi in maniera così ingombrante nell’educazione dei nostri figli, fino a permeare le istituzioni scolastiche, fino a riempire le pagine di un diario imposto a tutti dalla scuola? E se anche il diario incriminato non fosse obbligatorio, ma fosse pensato solo per i bambini che non se ne possono permettere uno, sarebbe davvero meno grave? Come funziona: i bambini poveri possono studiare ma solo al costo di un messaggio pubblicitario infilato – neanche troppo velatamente – qua e là?
Dunque, Inalpi, grazie davvero per il pensiero, ma ora dobbiamo proprio parlarne (con chi, poi?): che ne facciamo del vostro diario obbligatorio?