Ma che buono, il sapore littorio della pasta. Lo sentite anche voi quell’inconfondibile retrogusto di quando c’era lui che vi sale in bocca quando mangiate le Abissine rigate 25 de La Molisana? No? Non c’è problema, a ricordarvelo c’è lo “storytelling” preparato ad hoc dall’azienda. O almeno, c’era, prima che qualcuno facesse notare lo scivolone comunicativo e si decidesse di rimediare con una descrizione più soft e politicamente corretta.
Ma procediamo con ordine. Non siamo nuovi a cibi dalla nomenclatura nostalgica. In Italia come altrove, visto che certamente ricorderete il caso dei Moretti, ritirati da una catena di supermercati svizzera perché considerati razzisti. I casi di questo genere sono innumerevoli, e nell’era del politically correct e delle sacrosante proteste antirazziste negli Usa stanno venendo fuori come funghi dopo la pioggia. Certo, certi nomi andrebbero contestualizzati: gli anni Trenta e Quaranta, con la loro spinta colonialista, sono dietro l’angolo, e ancora negli anni Ottanta si poteva ridere di cose che oggi farebbero inorridire (avete presente il jingle delle caramelle Tabù, o lo sculettare della modella di colore delle Morositas?).
Insomma: su alcune cose si può chiudere un occhio, in nome di una contestualizzazione storica che probabilmente non andrebbe eliminata con un colpo di spugna, ma che è lì anche per ricordarci chi eravamo. Così non vediamo il problema di mangiare una pasta che si chiama Abissina.
Semmai, il problema è insistere volutamente sullo “storytelling” (citiamo testualmente) che il nome di questo formato rievoca, e magari elogiarlo più del dovuto, soffermandosi sul “sapore littorio” di quella pasta (che all’estero si trasforma in “shells”, nome decisamente più neutro) o sul fatto che “la pasta di semola diventa un elemento aggregante” “per la stagione del colonialismo”, commentando il tutto con un “perché no!” finale.
Una scelta di comunicazione quantomeno discutibile, ma su cui La Molisana ha puntato con convinzione. Prova ne è la descrizione delle Tripoline che, spiega l’azienda, hanno un “sapore coloniale”.
Accortasi del corto circuito dopo qualche segnalazione sui social, l’azienda ha provveduto a cambiare le descrizioni, eliminando ogni frase dal sapore nostalgico.
Ma gli screenshot rimangono (e soprattuto, la wayback machine non sbaglia, lei si che è parecchio nostalgica) lasciando in bocca un sapore che non sapremmo definire: che dite, è il caso di chiedere aiuto al copywriter de La Molisana?