Anche Matteo Salvini dice la sua sulla storia della pasta La Molisana, chiamando in causa i Tripolini della comunistissima Coop come esempio di uno sdegno che – a suo dire – dovrebbe essere bipartisan ma non lo è.
Salvini che si occupa di pastasciutta è esattamente la prova di quanto la questione sia, in maniera probabilmente inappropriata, diventata oggetto di dibattito mainstream. Un dibattito – questo sì – andato fin troppo per le lunghe, probabilmente, come succede a certi argomenti che prendono la piega giusta sui social network. Ma, giusto per non chiudere qui la questione, e visto che il leader della Lega ci costringe a tornarci su, vorremmo dire ancora due parole a chi evidentemente non ha capito il succo della vicenda.
Che – come avevamo già scritto a suo tempo – il problema non è tanto il nome dato alla pasta, anche se forse è lecito discutere anche su quello. Vuoi mangiare le Abissine? Va bene, mangiale, non saremo noi a chiedere di cambiare una definizione in nome del politically correct.
Il problema qui, semmai, è insistere volutamente sulla rievocazione del periodo storico (quello fascista e quello coloniale, il più buio della nostra storia) nel descrivere quel formato di pasta. Usare metafore come “dal sapore littorio”, totalmente prive di senso se non quello di ammiccare a quanti – tanti – hanno ancora nostalgia di quel periodo, forse dimenticandosi che il sapore, ai tempi, era nel migliore dei casi quello dell’olio di ricino.
Qua sta la questione: non nell’utilizzare un nome che ha una sua storia, ma nel considerare quel nome come parte di uno “storytelling” vincente. Voglio chiamare mio figlio Benito? Problema mio e suo, ma forse dovrei mettere in conto che quel nome porta con sé un tot di implicazioni storiche, soprattutto se poi lo mando a scuola con una maglietta con stampato su il fascio littorio e racconto a tutti che quel nome porta con sé uno “storytelling” interessante.
La Molisana, dopo lo scivolone e le polemiche, s’è scusata e ha rimosso le descrizioni incriminate dal suo sito, e francamente a noi tanto basta. Ma a quanti sostengono che ora è l’azienda a meritare delle scuse da parte di chi l’ha accusata, rispondiamo che davvero, da parte nostra, non vediamo di cosa dovremmo scusarci. A quanti sostengono che “massì, cosa vuoi che sia” e “che palle con ‘sto politicamente corretto”, rispondiamo che certe frasi suonano nella testa come quelle che accusano una ragazza carina che non ride a una battuta sessista di non essere simpatica e ironica.
Non vogliamo il boicottaggio de La Molisana. Non vogliamo rovinare un’azienda o metterla in croce per un errore che comprensibilmente può scappare. Ma nemmeno possiamo pensare di tacere un episodio del genere, in un Paese che troppo spesso, e con troppa facilità, rievoca un periodo della nostra storia di cui nessuno dovrebbe avere nostalgia.
E invece il momento che stiamo vivendo è teatro di una nostalgia forse senza precedenti per il fascismo, il che rende ancora più pericolosa ogni riga che lo rievochi strizzando l’occhio a quanti lo rimpiangono. Lo sapeva probabilmente chi ha scritto e autorizzato i testi de La Molisana, lo sa probabilmente Matteo Salvini, che posta un meme con protagonista Laura Boldrini (che per prima poteva evitare di spostare una vicenda di pasta sul piano politico) e i Tripolini della Coop, facendo notare come anche questi siano inadeguati e commentando “Se un piatto di pasta fa scattare al PD il tic “antifascista”, sentiranno aria di elezioni?”. Come tutti, caro Matteo. Come tutti.