Sono sicura che subito dopo aver letto la classifica dei migliori pandori artigianali a qualcuno è venuto in mente di non avere mai assaggiato un pandoro artigianale, e sono sicura che quella stessa persona avrà assaggiato molti panettoni artigianali. Un confronto tra pandoro artigianale e pandoro industriale (quello del supermercato, per intendersi) non può non partire da qui, da quanto cioè il panettone artigianale sia diventato un imprescindibile natalizio pressoché a ogni latitudine.
Determinare che un panettone artigianale sia nettamente superiore a quello industriale è abbastanza semplice, bastano anche solo i canditi artigianali, grossi come falangi e succulenti, a dimostrare la loro superiorità rispetto ai cubetti secchi dell’industria. Nel pandoro zucchero-burro-vaniglia le differenze sono più difficili da reperire.
Per fugare dubbi, noi come sempre ci abbiamo messo il naso, e abbiamo acquistato e assaggiato un pandoro industriale. Abbiamo scelto quello di Melegatti, inevitabilmente, dato che se conoscete la storia del pandoro sapete che il dolce è nato da un brevetto di questa industria veronese. Il pandoro artigianale con cui lo abbiamo confrontato è quello della pasticceria Olivieri 1882 di Arzignano (VI), un pandoro “territoriale”, molto vicino a Verona, con un aspetto, una consistenza e un sapore coerenti con quello che siamo abituati a chiamare pandoro. E una costanza produttiva notevole (ché nell’artigianato ci fa..).
Le differenze oggettive
La differenza tra pandoro artigianale e industriale è la data di scadenza: nel migliore (o peggiore?) dei casi un pandoro artigianale scade a sessanta giorni dal confezionamento; il pandoro Melegatti scade il 30 aprile 2021, il pandoro di Olivieri scade il 21 gennaio 2021.
Tra gli ingredienti del pandoro industriale compaiono emulsionanti (mono-digliceridi degli acidi grassi di origine vegetale), aromi e vanillina, non compare invece la vaniglia vera. Non che le etichette dei pandori artigianali siano completamente ineffabili, ma la cosa che più ci ha fatto arricciare il naso è trovarci ogni tanto scritto “latte in polvere” (che del resto usa anche Melegatti). Però sono lista di ingredienti molto più brevi, tutti comprabili nella bottega sotto casa e in quasi tutti, oltre alla vaniglia vera, compare la pasta madre, a volte il miele, e persino la panna fresca. Tra gli ingredienti di Olivieri (a parte il latte in polvere) ci sono la pasta di scorza di limone candito e la vaniglia Thaiti.
Se poi uno guarda alla forma, il pandoro industriale ha quella confezione a tronco di piramide che non si sa mai da che parte aprire, e che finisce sempre sul pavimento a testa in giù. Il packaging del pandoro artigianale, anche quando non è particolarmente originale, è almeno sempre richiudibile, il che garantisce una migliore conservazione.
L’altra differenza oggettiva è il prezzo: il mio Melegatti è costato 3,49 euro, un pandoro artigianale costa dai 30 ai 40 euro al kg, quello di Olivieri in particolare ne costa 38.
Come si presenta un pandoro della GDO?
Il pandoro industriale dovrebbe essere, o almeno doveva esserlo nel mio pregiudizio, scevro da difetti formali: invece non è assolutamente così. Il pandoro industriale che mi è capitato in sorte dagli scaffali della Coop aveva la base stracotta, il che lo rendeva bicolore: bruno sul fondo e marrone chiaro sulla sommità. Nemmeno la forma della stelle era ineccepibile, alcune punte risultavano un po’ smussate.
Sono difetti che abbiamo riscontrato anche in molti pandori artigianali: la cottura all’interno dello stampo di metallo è forse una delle fasi più difficili del perfezionamento di questo prodotto. E anche le punte, che per star ritte han bisogno di nervo, non ne possono pretendere troppo, pena la perdita della sofficità.
La consistenza e la sezione del pandoro Melgatti invece sono da manuale: alveolatura fitta e omogenea, forma ben rigida anche dopo il taglio della fetta, elastico e solo leggermente secco
Artigianale e industriale alla Prova d’assaggio
Nonostante il peso sia lo stesso, Melegatti è più denso, sembra che abbia un peso specifico più alto quando lo si soppesa con la mano. Il colore, sia per quanto riguarda la parte esterna che l’interno, pende tutto dalla parte di Olivieri, il cui pandoro è effettivamente dorato, mentre quello di Melegatti ha un colore che vira verso il marrone all’esterno e verso il beige all’interno.
All’assaggio il pandoro Melegatti risulta più soffice di quanto non sembri al tatto, ma il suo problema è il gusto anonimo che fa venire la voglia di mangiarlo con la crema al mascarpone, con un barattolo di Nutella da 1,5 kg, di tagliarlo a stella e decorarlo con i babbi natale di zucchero [ovvero datemi un modo qualsiasi per renderlo meno noioso e sarò felice].
La differenza fondamentale nell’assaggio la fa la vaniglia: la vanillina del pandoro Melegatti è invadente, si appropria del tuo naso e non se ne va più per diversi quarti dora anche dopo che hai finito di mangiarlo. Credo che l’eccesso di vanillina aggiunta ai pandori industriali sia uno dei motivi per quei questi dolci stancano presto: non c’è nessun altro tono, tutto il sapore ne viene coperto. Questa cosa non succede con il pandoro artigianale in cui la vaniglia naturale è solo una delle note sul pentagramma, si sente già all’olfatto nettamente il burro, una nota salina e, nel caso del pandoro di Olivieri, anche il limone. Al palato poi è come se il pandoro artigianale sapesse più di pane, come se il gusto della farina fosse sopravvissuto alla lavorazione e all’aggiunta degli altri ingredienti.
Dunque?
Dunque noi tutti siamo abituati a fare delle equazioni semplicistiche sul fatto che la grande distribuzione organizzata sia il male, e il prodotto artigianale sia il bene. E invece qui secondo me dovremmo venire più facilmente a più miti consigli. Il pandoro di Olivieri è un artigianale ben riuscito, ma nelle nostre sessioni di assaggio non tutti erano così equilibrati, anche se il gusto non è mai stato anonimo abbiamo trovato falle nella cottura, forme brutte, croste unte e interni secchi.
C’è un motivo per cui anche il gastrofregno tipico non ha assaggiato il pandoro artigianale: il motivo è che il pandoro piace meno, di conseguenza ha un mercato di nicchia, il che lo rende un investimento non sempre sicuro per il produttore, e un’opzione trascurabile nel panorama di competenze del gastrofighetto natalizio.
Io credo che questa considerazione sia alla base di una evidenza che ci è apparsa chiara come un baleno mentre compilavamo la classifica dei migliori pandori: ovvero che nella produzione di pandoro artigianale c’è una evidente approssimazione sulla tecnica; a parte alcuni casi di eccellenza, che però sono davvero pochi, il pandoro tradizionale spesso ha difetti importanti nella forma, nella lievitazione e nella cottura che rendono davvero poco simpatico il prezzo al chilo.
Ci sembra che chi si mette a produrre pandoro nel suo laboratorio artigianale creda di godere di una deroga speciale per la buona volontà, come se quei pandori ci dicessero: “Mi sono impegnato tanto, e poi guarda come è ti è sempre piaciuto il mio panettone!”
Questa mi sembra la vera discriminante del pandoro artigianale: si tratta di un prodotto che non esiste senza il cugino famoso. Non c’è nessun pasticcere che si mette a produrre il pandoro se prima non ha fatto un panettone coi contro. Il pandoro artigianale, anche quando è delizioso, è una stellina su un’uniforme già pluridecorata. E’ la domanda per la lode.
Dal punto di vista del lievitista dunque il pandoro rappresenta anche un territorio da esplorare, in cui concedersi qualche volo pindarico sapendo di non finire troppo sotto i riflettori. Neanche un po’ di questa tensione risiede in un pandoro industriale.
Da qui una considerazione non così amara come potrebbe sembrare: può succedere, e nemmeno così raramente, che un pandoro industriale sia tecnicamente migliore di un pandoro artigianale. Specialmente se non si è palati molto fini.
Però quello che vi lascia dentro, quella è un’altra storia.