Belle le tradizioni a Natale. La mia sta diventando quella di avere una decina di pandori del supermercato impilati sopra ai mobili alti della cucina, che aspettano impazienti di essere consumati come dio comanda, dopo che li ho fotografati, annusati, assaggiati col sopracciglio alzato, che se non parti un po’ prevenuta tutto quello zucchero ti ammorbidisce. Mi deliziano le colazioni almeno da novembre all’epifania, e quando anche il giogo dell’ultima fetta è caduto e nel mio sangue banchettano felici grassi insaturi da competizione, anche un porrige di avena integrale, di quelli da spalmare con la cazzuola, mi sembra nettare e ambrosia.
Ma per la conoscenza è giusto soffrire, quindi eccoci arrivati alla prova di assaggio dei maggiori pandori industriali.
[disclaimer] Non risponderò alla domanda se il pandoro industriale è più cattivo di quello artigianale, perché è una domanda difficile (alla quale, peraltro, ho già provato a rispondere). In breve la risposta potrebbe essere: “dipende”, o anche “è più facile trovare un pandoro industriale tecnicamente perfetto, il gusto però non lo è quasi mai”. Però aggiungerei questa notazione: se in casa avessi 20 pandori artigianali non mi sentirei così in colpa a mangiare pandoro per due mesi, con quelli industriali qualche domanda me la faccio, anzi mi chiedo proprio se mi faranno poi così bene quegli “aromi” non meglio specificati e quei mono digliceridi degli acidi grassi cotti ad alte temperature. Ma andiamo con ordine.
La selezione delle aziende
Abbiamo coscienziosamente escluso le private label, che normalmente sono doppioni dei grandi marchi. Dunque all’appello sono arrivati, in ordine alfabetico e non di sostanza: Balocco, Bauli, Le Tre Marie, Maina, Melegatti, Motta, Paluani. Ci è parso questo il greatest-hits dolciario da supermercato, una selezione che ha anche un prezzo al pubblico abbastanza omogeneo: dai 3,99 di Melegatti ai 6,49 di Bauli, l’unico al di sopra della media è Le Tre Marie , venduto a 10 euro e 90, e da sempre considerato il top di gamma da grande distribuzione; ma non potevamo non includerlo, anche in ragione della sua tronfia confezione in cui il pandoro non è, prosaicamente, solo il pandoro, ma addirittura “il magnifico”.
Quattro di questi sono grandi aziende del veronese (Melegatti, Motta, Bauli e Paluani), in cui, tra i lievitati stagionali, il pandoro è forse più importante del panettone. Ripassino di storia: il pandoro è stato inventato nel 1894 nella pasticceria Melegatti, ancora ben lungi dall’essere ancora la grande azienda che è oggi. Si tratta di un’attestazione affidabile perché proviene da fonti documentali: il brevetto richiesto dalla pasticceria al Ministero di Agricoltura e Commercio del Regno d’Italia. Eppure anche le altre industrie veronesi si danno lustro ammiccando, senza esplicitarlo, a date memorabili per la storia del pandoro: Bauli ne attribuisce la messa a punto al capostipite Ruggero Bauli, nel 1922. Ovviamente, in onore alla storia (a di chi la conosce), non si dice mai che ne fu l’inventore.
Le altre aziende sono piemontesi lombarde: Balocco e Mania sono di Fossano (CN) e Tre Marie (alias Galbusera) di Como. Ecco quindi che salta subito all’occhio una questione forse palese, ma abbastanza deprimente: i grandi lievitati industriali, a differenza di quanto avviene nel mondo degli artigianali, sono ancora solo una questione appannaggio del Nord Italia.
Le promesse del packaging
I packaging sono quelli abituali, che, con varianti minime, si trascinano dalla notte dei tempi: nelle quattro decadi della mia vita una delle poche certezze è stato il rosa Bauli, col fondo tondo che si toglie completamente, o il blu-cielo-del-presepe di Melegatti.
Eppure, un poco di differenze ci sono e un po’ di marketing contemporaneo lo si fa lo stesso: ad esempio Motta sottolinea come il suo pandoro lieviti 30 ore e sia il frutto di tre impasti, mentre Le Tre Marie ne segnala addirittura 40. Ora, di tre impasti il pandoro non avrebbe bisogno, quello è il cugino nobile, il panettone.
Le tre Marie, poi, punta tutto sulla materia prima, raccontando davvero nel dettaglio la provenienza del suo burro francese (beurre Charentes Poitu A.O.P), ovvero Appellation d’Origine Protégée, l’esatto corrispettivo della nostra D.O.P. che viene anche segnato in etichetta con tanto di percentuale, il 20%. Peccato che nel disciplinare del pandoro (D.M. 22 luglio 2005) si dica esplicitamente che il pandoro deve essere fatto da “burro ottenuto direttamente ed esclusivamente dalle creme di latte vaccino” e che la percentuale di burro nell’impasto non debba scendere sotto al 20%.
Dunque possiamo ridimensionare: l’apporto del burro A.O.P. di le Tre Marie è interessante per il fatto che le mucche sono allevate al pascolo, ma non per l’esoticità di un burro francese (in Italia non viene fatto il burro di panna per ragioni che è troppo lungo spiegare qui); dunque è lecito pensare che anche tutti gli altri usino burri francesi, o, al più, tedeschi o belgi, come poi fanno tutti i pasticceri.
Un approccio un po’ più pop ma altrettanto contemporaneo, è quello di Balocco che segnala proprio sul davanti della confezione, che il latte usato è di alta qualità e italiano e che le uova provengono da galline allevate a terra. In effetti il latte fresco tra gli ingredienti non è così comune, e ce l’hanno in quattro: Le Tre Marie, Maina e Paluani, oltre a Balocco.
L’etichetta
Chiaramente sarebbe superficiale fermarsi a quello che strilla la confezione senza leggere le etichette. Il risultato di questa ulteriore analisi è molto meno sfaccettato: questi pandori sono tutti più o meno uguali, c’è chi aggiunge un po’ di sale, chi mette il latte fresco, chi un po’ più zucchero, ma sono due gli ingredienti che saltano davvero all’occhio e che sono presenti in tutti: gli emulsionanti mono digliceridi degli acidi grassi, e quella sibillina scritta “aromi” che se ne sta al posto della vaniglia vera.
I mono digliceridi degli acidi grassi sono grassi sintetici ottenuti dal glicerolo e dagli acidi grassi naturali prevalentemente di origine vegetale (cocco, soia e palma) ma anche animale. Servono principalmente a trattenere acqua nell’impasto e a dargli stabilità, e questo, oltre a migliorarne la consistenza subito, ne allunga molto la shelf life, ovvero porta molto in avanti la data di scadenza. L’altro dato infatti abbastanza agghiacciante è che tutti questi pandori hanno data di scadenza al 30 aprile 2022, ed essendo stati comprati a metà novembre si può supporre che rimangano perfetti per oltre 6 mesi.
Un unicum, infine, nell’etichetta di Le Tre Marie, la presenza dello zucchero invertito, che ha un potere dolcificante superiore allo zucchero tradizionale e aiuta (anche lui) a trattenere umidità, mantenendo il pandoro soffice nel tempo (altro aiutino per la scadenza).
Ma veniamo alla questione cruciale: quali sono i migliori pandori del supermercato?
1. Pandoro Motta
Prezzo: 4,9 euro
Forma pendente, praticamente piallato da un lato, ma un ottimo odore di caramello e l’aroma di vaniglia nella bustina è pungente ma non stomachevole. Al gusto il pandoro è ben cotto, ma quello che fa la differenza è la sua consistenza: in bocca a una nuvoletta di zucchero filato, molto dolce ma saporito.
Voto: 7,5 (sarebbe stato 8 se non fosse brutto da vedere).
2. Pandoro Le Tre Marie
Prezzo: 10,9 euro
Una forma e una colore da manuale, ma al taglio si sbriciola un po’e all’assaggio risulta leggermente pieno, però ha un gusto molto deciso di burro, senza voli pindarici ma se vi piace il gusto del burro e dello zucchero è il pandoro che fa per voi.
Voto: 7,5
3. Pandoro Balocco
Prezzo: 4,9 euro
Ha una forma abbastanza buona, un profumo interessante perché sa leggermente di caramello, è più cotto degli altri ma non sa di bruciato. All’assaggio è solo un po’ secco ma con un gusto deciso e decisamente diverso dagli altri: poco zuccherino, con un retrogusto profumato di fiori e un po’ alcolico.
Voto: 7
4. Pandoro Bauli
Prezzo: 6,49 euro
L’unico pandoro con il fondo bombato e non collassato, segnale di uno sviluppo molto ampio, forse addirittura eccessivo in cottura. La forma è però un po’ ammaccata. La bustina alla vaniglia invece ha un profumo intenso e gradevole che ravviva il pandoro. Al taglio, pur sbriciolandosi leggermente, è soffice, arioso e saporito con carattere, non sa solo di zucchero ma anche di burro e di latte e ha persino un retrogusto salino. Forse poteva essere cotto un po’ più a lungo.
Voto: 6,5
5. Pandoro Maina
Prezzo: 4,69 euro
La forma è perfetta, il colore dorato, la consistenza abbastanza corposa. Il gusto è zuccherino e vanigliato in equilibrio, un po’ denso da masticare (la sensazione è che hai bisogno di pugno sul petto per mandarlo giù) ma è una sensazione momentanea, e ben inumidito dalla saliva diventa presto scioglievole. Ci sono degli strani buchini sulla base, che probabilmente risalgono all’asciugatura.
Voto: 6,5
6. Pandoro Paluani
Prezzo: 4,25 euro
La base è bruciata anche se la forma è un capolavoro. La bustina di zucchero odora eccessivamente di vanillina, in modo stucchevole come solo la vanillina sa essere. Al taglio il pandoro si sbriciola, anticipando il difetto al gusto: il pandoro è troppo secco e, oltretutto, non molto saporito.
Voto: 5
7. Pandoro Melegatti
Prezzo: 3,99 (acquistato in un supermercato diverso dagli altri)
Forma non perfetta, colore brunito, odora di bruciato il fondo è molto scuro. Al gusto è un po’ insipido e, nonostante sia così scuro (e certamente è stato cotto), sa di crudo.
Voto: 5