Non smetterò mai di stupirmi di quanto il Delta del Po abbia un potenziale turistico enorme che la gente non coglie, fatto salvo per sporadici cicloturisti e qualche bagnante v.i.p. dell’Isola di Albarella. Eppure si tratta di un territorio incredibile, pressoché intatto, con le barene folte che nulla hanno da invidiare alla Camargue, gli stormi di fenicotteri rosa, e molto altro da dire, anche a livello gastronomico. Ad esempio nel Delta vive e lavora Alessio Greguoldo, fino a 10 anni fa uno degli allevatori di cozze della sacca di Scardovari, un’insenatura lagunare dove si producono le uniche cozze d.o.p. d’Italia (un prodotto, va detto pur cedendo a un po’ di populismo, che riconoscono più gli stranieri che gli italiani). Negli ultimi 10 anni Alessio è diventato il produttore della migliore ostrica italiana, la Perla rosa del Delta. Tutto comincia quando, tra gli stranieri amanti della piccola cozza di Scardovari, un francese di nome Florent Tarbouriech decide di raccontare agli allevatori di cozze la sua esperienza con le ostriche, e di chiedere se qualcuno di loro era disposto ad associarsi con lui e a dar vita ad un allevamento di ostriche Tarbouriech nella sacca. Solo uno rispose convinto ed era Greguoldo.
Tarbouriech, se fossimo sul sole 24 Ore, lo chiamerebbero imprenditore visionario: non solo è stato capace di creare e brevettare un sistema di allevamento che simula le maree e produce ostriche tra le migliori del mondo, ma ha creato un domaine di lusso nella laguna di Thau, nei pressi di Monpellier, in cui si mangiano ostriche, si bevono vini che tengono il passo e si fa l’Ostreathérapie, un trattamento benessere che parte dai micronutrienti dell’ostrica per apportare al corpo umano dei solidi benefici [o una solida esperienza di lusso, che fa pur sempre bene]. L’impero in espansione di Taburiech prevede anche la multi-nazionalità, prima è stata la volta delle lagune spagnole, vicinissime a casa sua, e poi, il Delta.
Dopo 11 anni da quel sì, la cavana di Greguoldo, la palafitta tipica dei pescatori del Delta, è più grande delle altre, e lui e il socio Tarbouriech hanno 6 dipendenti e 8 tavole in acqua in cui allevano le ostriche, con la previsione di montarne altre 2 entro il 2022. Ci sono stati 6 anni di esperimenti per trovare il modo giusto, ma nel 2016 è nata la Perla del Delta, un’ostrica che piace agli chef stellati e che compete con le ostriche migliori del mondo.
Greguoldo è passato da un lavoro impegnativo, ma pur sempre stagionale, come quello con la cozza, a un lavoro impegnativo annuale, eppure è visibilmente soddisfatto, nonostante un 2020 quasi senza ordini, dato che il suo commercio è rivolto esclusivamente ai privati, la maggior parte dei quali sono ristoranti. Per fortuna, con il 2021, è migliorato il commercio online (se anche voi volete unirvi alla degnissima tradizione francese del plateau de fruit de mer per le feste, sul sito Tarbouriech si trovano i panieri con spedizione in tutta Italia, a partire da un centinaio di euro). Ovviamente, per chi abita in zona, si possono anche acquistare al consorzio dei pescatori di Scardovari, in cui, se andaste, vi consiglio di fare incetta anche di vongole e di cozze.
Non aspettatevi infatti solo Bottura e company tra gli acquirenti, anche se tutti i nomi famosi che vi vengono in mente ci sono. I ristoranti che acquistano la Perla rosa del Delta sono i più vari, in generale sono quei posti che fanno molta ricerca sulla materia prima, e, soprattutto qui sul Delta, capita di imbattersi in ittiturismi (gli agriturismi dei pescatori) e ristoranti di pesce sinceri e senza fronzoli che in carta hanno le sue ostriche. A quanto? 6 euro l’una, un prezzo ragguardevole anche per un’ostrica di livello.
Il motivo è che questa è un’ostrica gran cru, che non vuol dire solo buona, ma anche che ha molto mollusco: praticamente il suo frutto pesa come tre frutti di un’ostrica meno pregiata. Così, alla fine, vi basta ordinarne una o due per mangiare la stessa quantità che mangereste in una mezza dozzina di ostriche meno pregiate.
Come funziona il metodo Tarbouriech?
L’ostrica Tarbouriech è un ostrica di allevamento che cresce in laguna, ma la sua caratteristica fondamentale è l’accrescimento in verticale su corda. La fase di crescita di un’ostrica di allevamento attraversa tre stadi: il pre-ingrasso nei pernet, i tipici cestini di rete a base quadrata o rettangolare, l’accrescimento (che Tarbouriech fa su corda), e l’affinamento di nuovo in cestini, leggermente più grandi.
Il pre-ingrasso indica quella fase da quando arriva il seme (qui si compra un seme francese triploide, ovvero sterile) a quando l’ostrica raggiunge una grandezza sufficiente da poter essere incollata su corda per l’accrescimento. Per farlo, si usano delle “scaffalature” di metallo in cui si mette una prima fila di ostriche e si incollano, con del cemento marino atossico, ad una corda lunga 2 metri, poi si aggiungono altre ostriche in modo che ogni punto di ancoraggio preveda tre ostriche.
Queste corde vengono poi portate sulle tavole, le “isole” di allevamento in laguna, e legate a degli speciali pali motorizzati che girano su se stessi arrotolando e srotolando la corda in modo da immergere più o meno le ostriche in acqua. Quanto immergere lo decide l’allevatore con un’App. Dovete immaginarvi lo stesso movimento che fate inzuppando una bustina di tè, ma molto più lento. L’impianto di motorizzazione è mosso da energie rinnovabili, anche perché il Parco del Delta del Po, di cui la sacca di Scardovari fa parte, è una riserva ambientale tutelata e patrimonio Unesco.
L’accrescimento in verticale dà più spazio all’ostrica, che quindi assume una forma sferica propria delle ostriche più pregiate, inoltre lo stare molto fuori dall’acqua la irrobustisce, favorendo il fatto che rimanga chiusa e fresca anche per 15 giorni dopo essere stata raccolta. Inoltre, il non venire a contatto con i fondali evita che le ostriche diventino la casa della polidora, un verme marino che le renderebbe immangiabili, Ultimo, ma non da ultimo, tutto il sole che prendono le conchiglie dà alla superficie una bella sfumatura rosa acceso, il che dà il nome alla varietà.
Quando arrivano a dimensione, vengono prelevate e staccate a mano e pulite, sempre a mano, una per una. Poi vengono divise per calibro (per grandezza) e messe ad affinare nei cesti – questa volta un po’ più grandi di quelli di pre-ingrasso – a pelo d’acqua e qui si lascia al naturale scorrere delle maree di dare il suo contributo al sapore. Durante questa fase le ostriche hanno molto meno spazio vitale, e dunque sfregano su se stesse, il che le rende lisce e senza parti taglienti: diventano ostriche perfette per la gola, quelle che in francese si chiamano efficacemente plates (piatte).
Se questa convivenza forzata in spazi ridotti venisse fatta anche durante l’accrescimento otterremmo delle ostriche oblunghe, di forme ingegnose, che sul mercato varrebbero molto meno.
Il plusvalore del Delta
Fin qui è tutta tecnica brevettata da Tarbuoriech. Ma il Delta del Po conferisce il suo plusvalore a questi frutti di mare che qui crescono in 18 mesi invece che in 3 anni. I tempi ridotti derivano dal fatto che il ricircolo dell’acqua è molto più importante qui che nella laguna francese, e di conseguenza i microorganismi dell’acqua, di cui l’ostrica si nutre, sono maggiori e migliori: il che dà vita a ostriche ciccione.
La produzione avviene tutto l’anno, quindi dimenticatevi le storie dei mesi con la “r” e assimilate, il gusto ovviamente cambia: dai sentori di nocciola a quelli di cetriolo, dicono i nasi professionisti. Ma il vero punto sul gusto il Delta lo dà per la salinità, queste sono ostriche più salate e in cui è meno presente il sapore di iodio rispetto alle blasonate ostriche dei mari freddi del Nord Europa. In parole povere significa che hanno uno spettro di gusto più rotondo, dal dolce al salato, e sanno meno di “mare”, o “di freschino” come si dice qui a Venezia con un termine bellissimo e intraducibile altrove.
Quanto alla consistenza del mollusco, questo è grosso e molto croccante come si confà alle greatest hits del mondo ostricolo. In effetti, anche per chi, come me, aveva sempre e solo assaggiato le ostriche del nord della Francia, tra cui le celeberrime Belon bretoni, queste ostriche sono sorprendenti in primis per il volume del mollusco e per la sua consistenza particolarmente croccante [dovete masticare] , e poi per il gusto salato con un retrogusto freschissimo anche quando sono degustate in purezza, senza limone [dio ce ne scampi!], senza pepe, senza nulla.
Le altre ostriche italiane e del perché dovremmo mangiare più ostriche
Gli allevamenti di ostriche in Italia si sono sviluppati moltissimo negli ultimi anni, tanto che si stima che la produzione totale sia aumentata del 150% nell’ultimo anno , tuttavia siamo ancora molto distanti dai livelli di produzione francese: noi produciamo circa 170 tonnellate all’anno, la Francia 120 mila (fonte Ristorazione Italiana Magazine) .
Di ostriche lagunari, come quella del Delta, ce n’è un’altra nella laguna del Varano, nel Parco Naturale del Gargano, in cui si produce l’ostrica San Michele, qui però il parco ostricolo è partito solo nel 2019 ed è un progetto di Oyster Oasis, il distributore principale di ostriche nel nostro Paese.
Ci sono poi ostriche meno pregiate, allevate in mare aperto, come l’ostrica d’oro di Goro, un progetto scientifico di recupero di un’ostrica autoctona dei nostri mari. E ancora l’ostrica verde del Golfo dei Poeti, nel borgo di Portovenere, nelle Cinque Terre, un’altra varietà autoctona prodotta da oltre un secolo.
E infine, uno dei territori che compete maggiormente alla produzione di ostriche in Italia è la Sardegna, in cui è attivo il progetto Ostrinnova, principalmente in tre siti: le lagune di San Teodoro, Tortolì e Santa Gilla, per un totale di circa 500 ettari di parco ostricolo.
È assai probabile che nei prossimi anni l’allevamento di ostriche subirà un’impennata ancora maggiore nel nostro Paese, non solo per gli evidenti vantaggi economici, ma anche perché è stato dimostrato che l’ostrica, per formare la propria conchiglia, consuma molta più CO2 di qualsiasi altro mollusco. Nelle marine americane sono già attivi progetti di oyster gardening per contribuire alla de-acidificazione degli oceani.