Giuro di aver visto fermentare il miso giapponese con la musica di Bach in sottofondo: ho le prove e sono pronto a dirvi com’è rispetto agli altri tipi di miso che conosciamo.
Ho visitato l’azienda Marujyu, nella città di Yamagata, che realizza, fra i suoi prodotti, un tipo di fermentato sulle note di Bach in sottofondo. Si tratta un processo, di cui forse avrete già sentito parlare a proposito di vini biodinamici o allevamenti di mucche (la Tenuta Vannulo di Capaccio, SA, vi dirà sicuramente qualcosa) che utilizza la presenza costante della musica classica, sfruttandone le onde sonore, per ottenere, nel caso del miso, una fermentazione migliore – definita proprio così, senza troppi tecnicismi, dal proprietario di Marujyu, Tomoaki Sato.
Parlando di musica e cibo, fino ad ora molti studi si sono focalizzati sull’effetto dei diversi generi musicali sul gusto, per capire meglio come funziona la nostra percezione a tavola e rimarcare l’influenza dell’ambiente circostante su cosa scegliamo di mangiare e, soprattutto, su quanto ci piace; se non altro, è molto più facile comprendere il ruolo della musica nella nostra spesa (alimentari, ma anche in altri campi). Vi è mai capitato, per esempio, di lasciare che le frequenze aumentate e il volume a palla vi guidassero ritmicamente verso un bancone da bar, a ordinare un drink dopo l’altro senza la reale intenzione di farlo, solo perché trasporatati dall’insospettabile influenza della musica? A me sì.
In questo caso, però, stiamo parlando di un processo molto più diretto, di una tresca instaurata fra musica e batteri, consumatasi da qualche parte, in mezzo fra una comunissima vasca da fermentazione, nonché nel sotto-cassa meno ignobile che possa esistere – precisiamolo: la scelta del genere di musica non è casuale, poiché sono proprio la frequenza e i tipi di suoni ad essere ritenuti gli elementi determinanti nello sviluppo del prodotto, come nel caso della green music, un misto classica e suoni della natura, utilizzata per crescere piante più rigogliose in vigna o per far produrre più latte alle vacche.
È difficile stabilire, in mancanza di prove empiriche specifiche per il miso, se si tratti semplicemente di un tentativo, magari un po’ farlocco, per lanciare un prodotto sul mercato – l’azienda che lo produce è quella della salsa di soia, di cui vi ho parlato in questo articolo, che per competere con l’egemonia di poche grandi aziende, si è trovata a dover variegare la propria produzione, con alimenti come preparati di curry o derivati della soia e del riso. Oppure, quella della musica classica potrebbe veramente essere una pratica rivoluzionaria applicabile in molti campi della produzione alimentare, per allettare piante, animali e microbi e per compiacere, di conseguenza, i nostri palati.
Prima di provare a dare un verdetto ed assaggiare il miso prodotto da quest’azienda (e da Bach), che ho riportato a casa dal Giappone, due parole sulla produzione di miso:
Che cos’è il miso?
Il miso è un prodotto fermentato, peraltro molto proteico, ottenibile da vari ingredienti, come la soia gialla, il riso ed altri cereali; questi vengono generalmente cotti e, successivamente, fermentati in acqua salata, tramite l’utlizzo dell koji (Aspergillus ozyzae), un fungo filamentoso che pre-digerisce e trasforma gli amidi in zuccheri – si tratta di un processo molto antico, che può richiedere fino a qualche anno di tempo, se fatto al naturale, ma che industrialmente può avvenire anche in pochi giorni.
Esistono, perciò, diversi tipi di miso, a seconda dell’ingrediente principale di partenza, e si classificano in komé miso (di riso), mugi miso (di orzo) e mamé miso (di soia); che si dividono, a loro volta, in diverse tipologie, ad esempio lo shiro miso, dal colore giallo chiaro, fatto con la soia ed una perncentuale più alta di riso (che quindi rientra nel tipo komé), e maturato attraverso una fermentazione breve, che conferisce un sapore delicato e dolciastro – decisamente il più versatile in cucina e più facile da approcciare fra i tipi di miso, rispetto all’aka miso, rosso e dal sapore più intenso e salato.
Com’è il miso fermentato con la musica di Bach?
Veniamo al dunque. Il miso fermentato con la musica di Bach, chiamato Bahha no Yuraku Kyoichiraku, è uno dei prodotti più notevoli di quest’azienda – ma non certamente l’unico tipo di miso. L’idea di questa lavorazione particolare – mi dicono – si ispira a quella di un conoscente produttore di sakè con la musica di Mozart, in modo un po’ sperimentale – della serie “proviamo anche noi a vedere cosa vien fuori” -, ma più personalizzato, visto che il proprietario dell’azienda predilige Bach.
E il caso vuole che, sul mercato, questo miso funzioni alla grande. Si tratta di un prodotto dal costo pari a 630 yen giapponesi (poco più di 5 euro) per 300 grammi, più economico se confrontato col miso che si trova in molti negozi italiani, ma che in realtà, acquistato nel suo paese d’origine, è più un prodotto di lusso.
Già a questo punto, mi sorge un piccolo dubbio: al di là dei possibili effetti positivi della musica classica sulla qualità del prodotto (per cui, personalmente, mi piace credere che qualcosa di buono a livello microbiologico accada, grazie alle onde sonore), può essere che l’immagine di Bach sulla confezione, rispettabile e allo stesso tempo divertente, sia in realtà un modo per proporre un comunissimo cibo ad un potenziale gruppo di acquirenti pseudo-letterati e disposti a spendere qualcosa di più per riportare a casa una confezione di miso con la faccia dell’esimio compositore? Boh.
In realtà, il prezzo è giustificato anche dalla qualità degli ingredienti, selezionatissimi e reperiti in loco.
Per tagliare la testa al toro, rispetto ad un giudizio finale su questo miso, ci vuole decisamente una prova d’assaggio. Essendo un tipo di miso abbastanza leggero e dal colore arancione chiaro, il suo gusto non è troppo pervadente, salato al punto giusto, ma con una tendenza spiccata al dolce, che racchiude anche un profilo aromatico più floreale; al cucchiaio, ricorda quasi un sapore di crema di fagioli, delicata e con dei profumi che a tratti somigliano ad alcune birre; la consistenza è piuttosto cremosa e scioglievole, ma non perfettamente liscia, con dei grumi (come è giusto che sia); è perfetto da mangiare così, sul pane, ma anche per fare una zuppa, partendo dal dashi, il brodo alla base di moltissime preparazioni tipiche giapponesi.
Rispetto ad altri tipi di miso che ho assaggiato, sicuramente, questo è uno dei migliori; rimane il dubbio su quale sia, in modo specifico, l’influenza della musica sulla fermentazione, su cosa accada ai miliardi di batteri coinvolti in questo processo quando si suona un genere piuttosto che un altro e su come cambino i prodotti finali a livello organolettico; mancano, insomma, degli studi comparativi in materia (qualche volontario?), delle prove empiriche per dire “è scientificamente provato che, se il miso ascolta Bach, è sicuramente più buono”.