Come vi abbiamo detto, il 2020 è stato l’anno del miele: i dati Ismea, dal punto di vista dei consumi, hanno segnato un aumento sia in volume (+14,6%), sia in valore (+16,3%), in netta controtendenza con l’andamento registrato nel 2019 (quantità, -3%; valore, -3%).
Uno sguardo alla produzione e alla filiera rivela tuttavia una condizione ben diversa: proseguendo un trend negativo iniziato negli anni scorsi e culminato nel 2019 – una delle peggiori annate di sempre – anche il 2020 è stato un anno da dimenticare: da un lato le condizioni meteo non costanti, dall’altro i cambiamenti climatici che influiscono sulla produzione di nettare da parte delle piante e conseguentemente sulla vita degli alveari ed il lavoro delle api, hanno infatti acuito una serie di problemi produttivi in atto da molti anni sui quali, peraltro, si dovrebbe riflettere in modo più approfondito e non liquidare superficialmente solo come carenza di prodotto.
Al di là delle varietà di mieli (una sessantina circa) che fa dell’Italia uno dei produttori migliori e che può indicare lo stato del comparto, è infatti alla salute delle api che bisogna fare attenzione: il loro ruolo fondamentale di impollinatrici ci dice molto sulle condizioni dell’ecosistema e dell’ambiente. Ecco perché uno sguardo al mercato del miele, nazionale, europeo e mondiale, è in grado di svelarci molti dettagli che vanno oltre la semplice dimensione economico-produttiva.
Il mercato del miele in Italia
Una fotografia attendibile sul mercato italiano è quella elaborata dall’Osservatorio nazionale miele: nato nel 1988, è l’organismo nazionale di supporto nel settore apistico che associa organizzazioni apistiche a livello nazionale e regionale. Svolge un monitoraggio sistematico della produzione, del mercato e della qualità, con l’obiettivo di migliorare e valorizzare i mieli di qualità, formando apicoltori e operatori.
I report sono annuali e si basano sulla Banca Dati Apistica Nazionale, alla quale tutti gli apicoltori devono essere obbligatoriamente registrati dichiarando gli alveari detenuti e la loro posizione geografica. La relazione per il 2020 è in chiaroscuro, disegnando una situazione complessiva leggermente migliore del 2019 (evidenziando un elevato numero di apicoltori ed alveari più alto del previsto e in aumento rispetto agli anni precedenti) ma comunque non particolarmente felice.
Gli apicoltori in Italia sono 68.684, di cui 47.957 producono per autoconsumo (69,8%) e 20.727 sono a partita Iva che producono per il mercato (30,2%). Gli apicoltori italiani detengono in totale 1.412.792 alveari e 220.033 sciami (totale 1.632.825). Il 75,2% degli alveari totali (1.062.774), sono gestiti da apicoltori commerciali che allevano le api per professione. La regione con il più elevato numero di alveari detenuti da apicoltori professionisti è il Piemonte con 165.589 alveari per commercio su 193.502 ovvero l’85%. La grande prevalenza di alveari detenuti da apicoltori con partita Iva sottolinea l’elevata professionalità del settore e l’importanza del comparto nel contesto agro-economico.
La produzione nazionale si attesa attorno alle 18.500 tonnellate, segnando un incremento rispetto al 2019 dovuto in parte però all’aumento del numero degli alveari. Osservando i dati produttivi medi per regione, la resa media a livello nazionale è di circa 22 kg/alveare, contro i 18 kg del 2019.
La GDO costituisce il principale canale di commercializzazione: i supermercati coprono il 43% del totale vendite in valore, seguiti dagli ipermercati (25%) e dai discount (19%). In coda i punti vendita di piccole dimensioni, che si attestano attorno al 13%. I prezzi si posizionano attorno ai 9,57 euro/kg: Super e Iper registrano prezzi sostanzialmente allineati (attorno a 10,50 euro/kg), più bassi per i Discount (6,85 euro/kg). Più alti per il dettaglio tradizionale, il cui prezzo medio si attesta attorno ai 10,85 euro/kg. Se il consumo medio annuo è cresciuto, passando da 1,7 kg per famiglia del 2019 agli 1,8 kg del 2020, i gusti degli italiani rimangono pressoché immutati: al primo posto il millefiori (51% della spesa nazionale a scontrino), seguito da acacia (26%), quindi in coda castagno (5,1%), arancio (2,7%) e fiori (2,1%).
La produzione interna tuttavia è di gran lunga inferiore alla quantità importata. Con un incremento di circa il 20% rispetto allo scorso anno, le importazioni di prodotto dall’estero (soprattutto da Ungheria e Cina) hanno raggiunto circa le 28 tonnellate, con prezzi “concorrenziali”: il prezzo medio d’ingresso per il miele cinese è di 1,24 euro/kg, contro i 3 euro abbondanti dei mieli ungheresi e rumeni e i 2,15 euro del prodotto argentino, che seguono a ruota tra i paesi da cui l’Italia importa.
Vi abbiamo già raccontato come il miele straniero sia a maggior rischio contraffazione e di qualità inferiore, e se in Italia la normativa sull’origine in etichetta (i controlli sulla filiera) è più severa, uno sguardo al mercato europeo delinea invece una situazione abbastanza confusa, della quale approfitta, ancora una volta, la Cina.
Il mercato del miele in Europa
I principali paesi produttori di miele sono Romania, Spagna, Germania, Ungheria, Italia, Polonia, Francia e Grecia. Il numero complessivo di apicoltori si attesta attorno alle 612.000 unità (la Germania è in testa, con oltre 129 mila, seguita da Polonia, Cecoslovacchia e Italia), per un totale di circa 18 milioni di alveari. Nel 2018 – secondo i dati più aggiornati – la produzione è stata di 283.000 tonnellate. Uno sguardo dettagliato permette di individuare diverse categorie di paesi: c’è chi esporta gran parte della propria produzione verso altri Stati membri (Ungheria, Bulgaria e Romania), c’è chi non esporta ma importa (da altri Stati membri o paesi terzi), confeziona e riesporta, c’è chi non solo esporta ma anche confeziona e riesporta il miele importato (Spagna, Portogallo e Polonia). Una situazione abbastanza articolata, che ha riflessi soprattutto sulla filiera e sulla possibilità di un tracciamento reale e senza triangolazioni.
Seconda produttrice mondiale, l’Unione Europea è prima per importazioni. I principali fornitori sono attualmente la Cina (con il 40% delle importazioni dell’Ue, anche se i primi otto mesi del 2020 si è registrato un -18,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente) e l’Ucraina (per il 20% delle importazioni dell’Ue), con un prezzo di importazione sempre più basso: il prezzo del miele cinese varia da 1,30€/kg e1,64€/kg (scesi ulteriormente a 1,24€/kg nel 2019), mentre quello ucraino è compreso tra 1,69€/kg e 2,16€/kg. Dopo Cina e Ucraina, seguono Argentina e Messico, in linea con quanto avviene a livello globale.
Il mercato del miele nel mondo
I dati FAO (aggiornati al 2018) vedono una produzione mondiale che si attesta attorno a 1,86 milioni di tonnellate e che è concentrata prevalentemente in tre continenti: Asia, che da sola pesa per il 49% (con il ruolo guida della Cina), Europa (con il 21%) e Americhe (18%).
Il mercato asiatico è dominato dalla Cina, capace di numeri di incremento impressionanti: si è passati dalle 230 mila tonnellate del 2016 alle 543 mila del 2018 coprendo così il 29% della produzione mondiale. Segue la Turchia, e, guardando al continente americano, l’Argentina.
[Fonti: Osservatorio Nazionale Miele, Copa-Cogeca, Ismea]