Non avete mai mangiato le oche latte e miele di Michele Littamè: dove avete sbagliato?

Negli ultimi 30 giorni di allevamento, Michele Littamè mette latte e miele nel mangime delle sue oche. Il risultato è che la carne dell’oca risulta più delicata e più saporita allo stesso tempo. Le avete mai mangiate?

Non avete mai mangiato le oche latte e miele di Michele Littamè: dove avete sbagliato?

Tra le più rinomate oche d’Italia ci sono quelle della Lomellina, a Pavia, quelle del Piacentino, e quelle del Veneziano e Padovano. Ecco perché l’allevamento con agriturismo di Michele Littamè si trova nella zona doc della produzione.

Per la precisione a Sant’Urbano, uno degli ultimi comuni della provincia di Padova prima di entrare in quella di Rovigo, che significa Polesine, nebbie, paludi, zanzare, malinconia e pregiudizi da film.

Di Michele Littamè si occupano spesso le gazzette locali per il suo meraviglioso allevamento, ma in particolare per un procedimento brevettato alla Camera di Commercio di Padova. Alleva le sue oche a latte e miele, e non è un modo di dire.

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Negli ultimi 30 giorni di allevamento mette latte e miele nel mangime delle sue oche. Il risultato è che la carne dell’oca risulta più delicata e più saporita allo stesso tempo.

Bisogna andarci a Sant’Urbano, ci siamo detti, ed eccoci nel viale sterrato tratteggiato dagli alberi che porta all’azienda agricola di Michele Littamè.

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Chi come noi, ogni volta che esce dalla città coltiva il sogno sempliciotto di tornare alla terra e alla campagna subisce il fascino del posto, del piccolo produttore e dell’artigianalità. Salvo poi risalire in auto tornando tutto contento a casa propria: provateci voi a vivere e lavorare qui tutto l’anno, con l’afa appiccicosa d’estate e l’umidità grigia d’inverno, che ti rosicchiano le ossa piano piano.

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Sorriso aperto, praticità e scaltrezza, Michele Littamè ha scelto le oche dopo la crisi della mucca pazza. Cercando un’alternativa ai bovini è entrato in una nicchia di mercato dove si è buttato a capofitto.

La scelta è caduta sulla razza romagnola: piumaggio bianco, becco largo, forte, di un arancione acceso. L’oca dei libri delle favole, insomma.

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A vederle in gruppo, appiccicate, impaurite, chiassose e ondeggianti quasi fino a fare il giro dell’oca (un vortice che può diventare letale), sembrano uscite da un fumetto: comiche involontarie per quel fondoschiena basso, decisamente impegnativo.

Littamè ha scelto l’allevamento semibrado: di giorno le oche pascolano nel terreno dell’allevamento, tra alberi, siepi e campi di mais. Di notte vengono trasferite in un ricovero coperto, con acqua corrente e luce elettrica.

Acquistate quando sono pulcini, le prime arrivano a gennaio e poi ancora fino a luglio, il mese in cui l’oca smette di fare uova. Se immaginate una storia alla Konrad Lorenz e all’oca Martina, sappiate che è vera: le oche riconoscono Michele, rispondono ai richiami, la sua presenza serve a calmarle.

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Ogni mese e mezzo la famiglia iniziale si allarga, con l’acquisto scaglionato di circa 500 pulcini alla volta, per avere un allevamento a crescita dilazionata, come del resto la macellazione, così si lavora per tutta la stagione. Il numero massimo a cui si arriva è di 3000-4000 oche: una distesa bianca e vociante.

Alimentate con granaglie, cereali, crusca, erba medica, mais autoprodotto e verdure, in 5 mesi circa le oche romagnole raggiungono il peso di 5 kg, 5 kg ½ e sono pronte per essere macellate.

Non prima però, nell’ultimo mese di allevamento, di essere alimentate a latte e miele.

Ora capite? Torniamo sulle ricadute che ha questa nutrizione brevettata sulla carne delle oche.

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La delicatezza sorprende, così come insolita è la dolcezza. Non a caso, petti, cosce, salami, prosciutti e paté hanno conquistato il blasone di un ristorante tre stelle Michelin: la famiglia Alajmo ha eletto Michele Littamè a fornitore ufficiale, con le oche protagoniste sia nei piatti de Le Calandre che della Montecchia.

Altrettanto hanno fatto Piergiorgio Siviero al ristorante Lazzaro 1915 di Pontelongo, Francesco Brutto all’11 Vineria di Treviso, Oliver Piras all’Aga di San Vito di Cadore (tutti 1 stella Michelin) e la firma della pizza gourmet Simone Padoan ai Tigli.

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La voce si è sparsa e dal padovano ha raggiunto San Cassiano e il St. Hubertus di Norbert Niederkofler, che ha offerto a Littamè con le sue oche latte e miele una vetrina importante come Care’s Ethical Chef Days.

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Per non parlare di Jock Zonfrillo, chef australiano di origini italo-scozzesi il cui ristorante, Orana, è considerato tra i migliori d’Australia: presente pure lui a Care’s è stato conquistato dalle bianche romagnole tanto da farne un piatto memorabile (alla brace, con riduzione di erbe di montagna e pino).

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La lista potrebbe continuare, ma torniamo a volare basso, visto che Littamè ama l’umiltà.

Vi lasciamo con un elenco ragionato dei suoi prodotti che si possono assaggiare:

— oche intere e farcite;
— petti e cosce;
— salami, salsicce, prosciutti, speck e porchette;
— ciccioli e macinato;
— collo ripieno e patè;
— tagliata e hamburger.

Ovviamente l’oca in onto, piatto per stomaci forti, presidio Slow Food e versione contadina del più nobile confit.

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È carne d’oca conservata cruda o cotta nel suo grasso, in passato dentro vasi di terracotta oggi in vetro. Le carni riposano sotto sale per alcuni giorni oppure vengono cotte con erbe, aromi e un po’ di vino rosso. Più tardi si ripongono nel vaso di vetro.

L’oca in onto versione cruda alterna pezzetti di carne a grasso d’oca fuso e foglie d’alloro (a seconda delle ricette anche bacche di ginepro, timo, maggiorana, semi di finocchio, chiodi di garofano, noce moscata), nella versione cotta l’ultimo strato viene completato con il grasso fuso, poi si chiude il vaso.

Preparata a novembre, mese in cui un tempo si macellavano le oche, veniva consumata in primavera. In passato era anche una strategia di sopravvivenza, mentre oggi gli scrupoli salutisti ne riducono il consumo.

Se avete occasione assaggiatela: al colore rosato delle carni, con crosticina grassa sopra, unisce una consistenza invitante. Nell’allevamento di Littamè se ne fanno primi piatti (condimento per tagliatelle o gnocchi) o si accompagna con la polenta.

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Se avete intenzione di fare un giro nella Bassa, sappiate pure che potreste incrociare un food truck a tema oca: è sempre lui, Michele, che ha ideato la versione itinerante della sua azienda. Il panino con il prosciutto d’oca latte e miele è lì che vi aspetta.

Azienda agricola Michele Littamé
via Dosso, 235040 Sant’Urbano – Padova – Italy

[Immagini: Caterina Vianello, Matteo Mingardo, Ufficio stampa Alajmo]