Che il ministro della sovranità alimentare Francesco Lollobrigida non dorma sonni tranquilli ormai è chiaro. Ce lo immaginiamo lì, armato fino ai denti di mozzarelle da usare a mo’ di bombe e spaghetti affilati come freccette, a fare la guardia per difendere il Made in Italy dagli attacchi che arrivano da ogni dove. C’è chi mette in discussione perfino la carbonara e il tiramisù. C’è chi vorrebbe introdurre la carne sintetica, con buona pace della Fassona e della Chianina.
Insomma, non c’è pace per chi vuole difendere il buon nome della cucina italiana dagli attacchi esterni. Che poi, a dirla tutta, è proprio all’estero che il Ministro Lollobrigida dovrebbe volgere lo sguardo (almeno un minuto, su, giusto per riposarsi un secondo tra un proclama e l’altro), perché è lì – negli Stati Uniti – che si sta mettendo in atto la più epica battaglia in difesa del Made in Italy.
La class action per pubblicità ingannevole
Che negli Usa ci sia la tendenza alla class action facile, non c’è dubbio. Ne sa qualcosa Barilla, che si è trovata citata in tribunale per essersi proposta ai consumatori americani in un modo che alcuni hanno trovato ingannevole.
Il punto della discordia è: Barilla è o non è pasta italiana? Perché da un lato il claim riportato sulle confezioni americane dice “la marca di pasta n. 1 in Italia“, ma alla fine, dicono i consumatori che hanno intentato la causa, quella pasta viene prodotta in America, e noi siamo ingannevolmente indotti “a credere che i prodotti Barilla siano realizzati e/o fabbricati in Italia utilizzando ingredienti provenienti dall’Italia”.
A pensarla così, in particolare, sono Matthew Sinatro e Jessica Prost – Ministro Lollobrigida, prenda nota – paladini della difesa del vero Made in Italy che hanno affermato di aver acquistato più scatole di pasta Barilla pensando che fossero prodotte in Italia. E non si sono limitate a non comprarle più una volta scoperto che non era così, ma hanno portato il marchio in tribunale chiedendo giustizia. Peraltro, sostenendo quello che sicuramente condivide anche il Ministro rispetto all’utilizzo del tricolore italiano per orientare i consumatori all’acquisto di un prodotto Made in Italy. “Barilla rafforza questa rappresentazione sull’origine dei prodotti replicando i colori verde, bianco e rosso della bandiera italiana”, si legge nei documenti depositati alla Corte distrettuale del Nord della California, “perpetuando ulteriormente l’idea che i Prodotti siano autentiche paste italiane”.
La linea difensiva di Barilla
Dal canto suo, Barilla ha sostenuto che “nessun consumatore ragionevole potrebbe essere ingannato” perché tutte le diverse tipologie di pasta vendute in America sono chiaramente contrassegnate sulla confezione come Made in USA, con l’ubicazione della sede della Barilla a Illinois. L’azienda, in effetti, precisa anche sul suo sito che la sua pasta “venduta negli Stati Uniti è prodotta nei nostri stabilimenti di Ames, Iowa e Avon, New York, con poche eccezioni. Barilla Tortellini e Barilla Oven Le lasagne pronte sono made in Italy.” “”La ricetta e la miscela di grano sono le stesse utilizzate a Parma, in Italia”, prosegue la descrizione sul sito.
Ma, alla fine, non è bastato: il giudice Donna M. Ryu ha negato in parte l’istanza di archiviazione della Barilla e ha dichiarato che la causa può procedere. Insomma: la vicenda legale va avanti, e la difesa del Made in Italy pure.