La focaccia di Recco originale si può preparare, somministrare e vendere soltanto all’interno dei suoi tradizionali confini, che sono racchiusi tra la capitale Recco, Camogli, Sori e Avegno.
Pochi chilometri per difendere una specialità tutelata dal marchio europeo e da un disciplinare di sei pagine che stabilisce caratteristiche, regole, vincoli e divieti.
Chi prova a sgarrare passa un guaio, viene denunciato per frode in commercio.
Esagerato? Per referenze chiedete agli stessi rappresentanti del consorzio (Consorzio Focaccia di Recco), che per impedire alla concorrenza di realizzare e vendere nel resto d’Italia e del mondo il loro piatto forte, hanno disposto regole tanto assurde che oggi, per fare un esempio, la focaccia di Recco non può essere imbarcata su un volo per gli Stati Uniti.
A Dicembre 2015 il consorzio ha aperto uno stand alla fiera dell’artigianato di Rho per promuovere la sua focaccia, quella con il marchio Igp. Le cose sono andate bene con tanto di fila alla cassa e al banco fino a quando non si sono presentati i carabinieri dei Nas di Milano. Risultato: stand chiuso e denuncia per frode in commercio ai gestori.
Non importa dove viene preparata la focaccia ma è vietato venderla fuori dai confini, anche se a farlo sono gli stessi estensori del disciplinare.
Il paradosso è stato ricordato ieri dal Post per commentare un articolo dell’Economist sull’eccesso di protezionismo che l’Italia tradisce per difendere i suoi prodotti tipici: l’autorevole settimanale britannico parla di “sacralizzazione”.
Tra DOP (Denominazione di Origine Protetta), IGP (Indicazione Geografica Protetta) STG (Specialità Tradizionale Garantita) e altri tipi di tutele abbiamo 924 prodotti italiani “garantiti” dall’Europa, contro 754 dei francesi e 361 degli spagnoli.
Siamo meno bravi a venderlo questo benedetto Made in Italy alimentare, mancano centri di distribuzione capaci di portarli nel mondo, ad eccezione di Eataly forse, che tuttavia con 400 milioni di fatturato annuo è distante dalle decine di miliardi dei veri colossi.
Secondo l’Economist il simbolo del Made in Italy e di questa ossessione nazionale per la tutela è la pizza.
Il fatto che sia nata in Italia ma che i maggiori profitti li facciano gli americani, arrivando addirittura a imporre da noi le loro catene, vedi il caso Domino’s, dice molto sui problemi della nostra economia.
Una mancanza di adattabilità, conclude l’Economist, che non fa onore al genio e all’inventiva italiana.
[Crediti | Link: Il Post, The Economist]