Cioccolato del Commercio equo e solidale e sorprese didattiche, con tanti bei messaggi per diventare grandi rispettando l’ambiente: l’uovo di Pasqua “Solidal” dei supermercati Coop è impeccabile, sulla carta. Ma qualcosa non ci torna.
Credo che possiamo essere tutti d’accordo sul fatto che non abbiamo mai avuto una Pasqua così strana. In isolamento, con la paura di comprare l’uovo di cioccolato (sarà considerato un bene di prima necessità?) e, soprattutto per chi ha figli, talvolta anche un po’ di senso di colpa nei confronti di un mondo che va a rotoli.
Io ci ho provato, a espiare i miei peccati durante questa Pasqua, e mi sono lasciata tentare dalle uova Solidal della Coop, prodotto pasquale firmato dalla (ottima) private label del supermercato. Cacao proveniente dal Fair Trade e una sorpresa didattica, che prometteva di insegnare ai miei figli a “imparare a rispettare il mare divertendosi”. Urrà. Qualcosa da fare, e pure qualcosa di formativo. D’altronde, il mare quest’anno lo vedranno col binocolo, almeno che capiscano che l’anno prossimo non ci devono disperdere le formine per le sculture di sabbia.
E non si può dire che le promesse siano state disattese: due uova di Pasqua comprate, due sorprese educative trovate. Identiche, come è bene che sia per due fratelli in isolamento, pronti a litigare pure per l’ultima briciola di pane e Nutella. Dalle due uova Solidal Coop non sarà uscita la sorpresa più esaltante per i bambini, ma almeno era un’occasione didattica, altro che ovetto Kinder.
Quel che abbiamo trovato in entrambe le uova era infatti una manciata di carte quiz, corrispondenti a un gioco da tavolo (le cui regole dobbiamo ancora imparare, lo ammetto), il cui focus era il rispetto dell’ambiente marino. E qual è il nemico numero uno dei nostri oceani? Ma la plastica, ovviamente. E quindi pussa via, cannuccia malefica. Vade retro, contenitore usa e getta.
Tu, bambino, lo sai quanto tempo ci impiega un bicchiere di plastica a decomporsi?
Tutte nozioni utilissime, non c’è dubbio, e d’altra parte me l’ero cercata. Se non fosse che c’era ben poco di plastic-free dell’uovo (cioccolato a parte, s’intende). L’incarto era un classico incarto da uovo di Pasqua, azzarderemmo in polipropilene (un composto plastico) ma non essendone certi lo abbiamo comunque buttato nell’indifferenziato. L’uovo era sorretto – indovinate un po’ – dalla classica base a coppetta in plastica.
E il mazzo di carte moralizzatrici (in carta plastificata, ovviamente), erano contenute in un tipico contenitore da uovo di Pasqua, quelli giganteschi, in plastica, che si aprono in due.
Insomma, alla fine l’unico messaggio ecologico era demandato ai poveri polipetti e alle tartarughine che, carta dopo carta, provavano a spiegare ai bambini quanto fosse dannosa la plastica per il loro ecosistema. Peccato che loro, nel frattempo, fossero andati in corto circuito, troppo impegnati a capire che fine far fare a tutti quei rifiuti plasticosi.