Spiegare perché le fragole debbano costare di più è forse inutile, nonostante decenni di cultura politica à la Slow Food le vaschette da pochi spicci imperversano al supermercato. E a quanto pare la cosa ci piace. Forse un racconto in prima persona potrebbe aiutare, rinvenuto da una vita precedente di stagioni passate a raccogliere fragole e, purtroppo, estremamente attuale.
Una realtà con cui a fatica ci si confronta finché non la si conosce direttamente: difficilmente nell’acquistare due dozzine di fragoloni in plastica si pensa al lavoro agricolo che comporta, alla dose di fatica difficilmente quantificabile che implica dalla microimpresa a conduzione familiare alle distese di latifondi.
Oltre lo storytelling romantico dell’agricoltura, c’è una quantità abnorme di gente che lavora incessantemente. Molto ci sarebbe da dire sulle condizioni di lavoro, sui contratti, sullo sfruttamento delle fasce deboli. L’avvento dell’agricoltura meccanizzata ha sensibilmente ridotto la quantità di lavoro fatta in modalità “manuale”. Possiamo parlare, a tutti gli effetti, di manodopera altamente specializzata.
La Campania è una terra ad alta vocazione agricola: capita che un po’ tutti – chi prima, chi poi – si ritrovi a lavorare anche per un brevissimo periodo in questo settore. Lo stesso che è capitato a me: prima di lavorare in industria conserviera, ho avuto un approccio al mondo agricolo, nella conosciutissima Piana del Sele. I fatti si sono svolti circa una decina d’anni fa, ma poco o niente è cambiato nella metodologia di lavoro, che si rivela essere una delle più efficaci.
Il posto delle fragole
La piana del Sele è immensa almeno quanto le sue potenzialità economiche. Se fino all’ultima propaggine del Cilento le bufale sono le padrone incontrastate, non c’è da dimenticarsi il fortissimo comparto agricolo di questa terra grassa ed amara: tantissimo pomodoro, ortaggi e verdure; da qualche anno la valorizzazione dei vini “magnogreci” è uno dei cavalli di battaglia.
Eclatante è il caso della valorizzazione della rucola della Piana del Sele, un business che da solo vale diversi miliardi di euro in seno all’Unione Europea, guadagnandosi una IGP e il titolo di “eccellenza tra le meglio esportate”.
Dimenticatevi del piccolo pezzetto di terra romantico del contadino: quelle della Piana del Sele sono distese a perdita d’occhio, spesso proprietà di un’unica azienda o persona. Dove non ci sono bufale e terreni, vi sono le serre: è qui che si svolge la maggior parte del lavoro, soprattutto nel settore delle fragole.
Un territorio che esporta fuori dai propri confini più della metà delle fragole prodotte. Le tipologie di fragole in questione sono principalmente la Melissa (messa a punto per spuntare sul finire dell’inverno), la Sabrosa, la Sabrina. Bacche grosse e generose, molto profumate ma altrettanto fragili da raccogliere e mettere in vaschetta.
In realtà il lavoro di chi raccoglie le fragole inizia molto prima. Inizia dal viaggio, che spesso si fa in pulmino.
Il pulmino
Il pulmino era parte fondamentale del lavoro. Senza pulmino, ‘e femmene – perché quasi sempre di donne si tratta, nel caso delle fragole – non potevano andare a lavorare. Spesso erano donne senza patente o ancora senza auto (perché la vettura era unica e magari da lasciare al marito), o ancora non volevano sobbarcarsi il costo oneroso di una trasferta di quasi 100 km al giorno. Ci aggiravamo intorno ai cinquanta, sessant’anni d’età. Di media, poi c’erano quelle “prestate” come me che abbassavano sensibilmente la media. I volti tutti segnati da anni e anni di sole, la pelle consumata, naturalmente abbronzate in pratica. Le mani, nodose come tronchi d’albero: mi riusciva difficile pensare che quelle stesse mani riuscissero a fare movimenti rapidi e delicati allo stesso tempo.
Il motivo per cui si partiva per così lontano era molto semplice: non tanto la paga – che nella maggior parte dei casi è molto modesta – ma per una questione di inquadramento e pagamento dei contributi. L’inquadramento professionale dei braccianti agricoli prevede un minor numero di giornate per accedere, poi, ai sussidi di disoccupazione in tempi di stallo. In buona sostanza: tre mesi di lavoro, due mesi di disoccupazione, poi di nuovo a lavorare con i raccolti estivi.
Almeno la metà delle stesse facce sul pulmino, poi, le avrei ritrovate nelle fabbriche di conserve di pomodoro della mia zona.
La sveglia e il viaggio per arrivarci fanno già parte del lavoro: anche perché tutto è, tranne che comodo. Certo, la mia parte della provincia di Salerno è decisamente lontana dalla piana del Sele. Sarò ad una cinquantina di km dai centri più grandi come Eboli e Battipaglia, quindi erano “poche” le persone che da qui si avventuravano fin laggiù. Però c’era sempre qualche cooperativa, qualche “caposquadra” che imbastiva questi piccoli mezzi e ci si dirigeva per un mese, due mesi, verso la piana del Sele. Va da sé che la maggior parte delle donne proveniva (e proviene, ancora oggi) dai paesi tutt’intorno a queste grandi distese.
Si partiva molto presto al mattino, se mattino lo si poteva chiamare: le tre e trenta, le quattro. Mezz’oretta abbondante, se non tre quarti d’ora attraversare praticamente tutto un pezzo di Campania che cambia continuamente di paesaggi.
Importante era arrivare in tempo per l’alba, anche un po’ prima. Si sfruttano le ore meno calde della giornata per raccogliere, anche se, una volta sotto la serra, si suda sempre, incessantemente.
La raccolta
La raccolta delle fragole è una delle più insidiose e stancanti che esistano nel campo dell’agricoltura. C’è bisogno di velocità, di cura ed attenzioni: dimentichi una sola di queste cose? Sei redarguita – che dico, cazziata! – e magari il giorno dopo sei fuori.
La raccolta è metodica, letteralmente spinosa, sfiancante. La pianta delle fragole è molto bassa, rasoterra: ci si china per bene, praticamente strusciando il ginocchio a terra per non alzarsi in continuazione, la schiena piegata,. La bacca si intravede facilmente dal fogliame e si tira con altrettanta delicatezza, per non spezzare la pianta. E così per tutta la linea, per tutto il giorno. La fragola va toccata una sola volta dalla pianta: è molto delicata, con un solo movimento fluido la si stacca con il picciolo. L’altro tocco che deve “subire” la fragola è solo quello della messa in vaschette, che spesso avviene direttamente in loco
Durante le prime settimane sotto la serra, c’è un nemico ancora più fastidioso ed insidioso del caldo – che verso aprile e maggio e ancora sopportabile. Sto parlando di quello che le donne chiamano ‘e mmerecine, cioè fitofarmaci e diserbanti. L’odore dei fitofarmaci stona, brucia al naso. Quando invece il caldo aumenta, è il sudore il primo nemico, la disidratazione: ma le fragole diventano più buone, perché c’è bisogno di meno aggressività per proteggerle.
Iniziare a lavorare così presto al mattino, soprattutto nei periodi più caldi, comporta che per le ore 12/13 si sia completamente fuori uso. Per la maggior parte delle persone, la fine della giornata lavorativa coincideva con il ritorno a casa. Figli e famiglia e piedi che si gonfiano.
A letto presto, la sveglia suona di nuovo prima dell’alba per andare nel posto delle fragole.