Data di scadenza: è ora di cambiare. C’è una differenza enorme tra due espressioni per tutti molto familiari, e in apparenza molto simili: “da consumarsi entro” e “da consumarsi preferibilmente entro“. La maggior parte di noi le interpreta quasi come sinonimi, con enormi conseguenze economiche e ambientali.
E proprio in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, il 5 giugno, parte l’iniziativa Etichetta Consapevole: per cambiare le cose nel piccolo, ma a partire dalla radice, cioè nel posto dove l’equivoco si annida, l’etichetta degli alimenti. L’idea è di Too good to go – l’app che è nata proprio con l’intento di evitare gli sprechi di invenduto – ed è stata già promossa in altri paesi europei, mentre qui inizia a raccogliere rapidamente appoggi e adesioni da parte dei produttori.
Il 10% dello spreco alimentare in Europa è attribuibile a quella parolina, “preferibilmente”, e al fatto che ne trascuriamo il pesante significato. Quella percentuale equivale a 9 milioni di tonnellate di cibo sprecate ogni anno, e di conseguenza a più di 22 milioni di tonnellate di CO2e immesse nell’atmosfera. In Italia, da una recente indagine di Altroconsumo, risulta che solo il 37% dei consumatori è davvero consapevole della notevole differenza che corre tra data di scadenza e termine minimo di conservazione: prenderne atto e comportarsi di conseguenza, in cucina, potrebbe abbattere sensibilmente quel numero altissimo, 27 kg a persona, che indica il cibo che buttiamo nella pattumiera.
In cosa consiste l’iniziativa Etichetta consapevole? L’idea approfitta del fatto che per legge ci sono delle indicazioni obbligatorie da apporre in etichetta, ma per il resto informazioni aggiuntive e altre indicazioni possono essere messe liberamente (purché corrispondano a verità e non siano ingannevoli) dal produttore. La proposta allora è quella di aggiungere, accanto alla dicitura “da consumarsi preferibilmente”, la scritta “Spesso buono oltre”, seguita dall’invito a osservare, annusare, assaggiare. Perché la differenza enorme, in sostanza, è proprio quella: i prodotti scaduti non si possono mangiare, i prodotti da consumarsi preferibilmente, quasi sempre sì. Il progetto sembra funzionare: a un anno dal lancio in Danimarca (paese di nascita di Too Good To Go), il 70% dei consumatori ha dichiarato di essere più consapevole sul tema e il 60% di aver sprecato meno cibo.
Ma precisamente cosa significano queste frasi che si possono o si devono mettere in etichetta, e su quali alimenti vanno? Vediamoci chiaro.
Una premessa. La legge – che è un Regolamento UE, il n. 1169 del 2011 – parla di indicazioni da inserire sull’etichetta degli alimenti pre-imballati, e dice che si deve indicare la data di scadenza oppure il termine minimo di conservazione (TMC). Quindi, due cose importanti: innanzitutto non tutti gli alimenti devono avere queste indicazioni in etichetta, ma solo quelli confezionati, è escluso il fresco. E poi, che scadenza e termine minimo sono in alternativa: sono due cose diverse, due regimi differenti che si applicano ad alimenti differenti. Ma prima parliamo di un’altra categoria ancora di prodotti, quelli che non hanno nessuna data.
Data di scadenza: quando non è necessaria
Siamo così abituati a vedere scadenze dappertutto, anche sui cosmetici, che magari ci dimentichiamo che non tutto scade. Anche in cucina: un esempio classico è il sale. Si dirà vabbè, ma quello è un minerale, un caso più unico che raro, perché tutti gli altri alimenti sono materia organica. Eppure ci sono molti altri cibi sui quali, per i motivi più vari, non è obbligatoria alcuna indicazione di data. Eccoli: prodotti ortofrutticoli freschi, comprese le patate, non trattati (non sbucciati, tagliati o che non hanno subito trattamenti analoghi); vini, vini liquorosi, vini spumanti, vini aromatizzati e prodotti simili ottenuti a base di frutta diversa dall’uva, nonché delle bevande del codice NC 2206 00 ottenute da uva o mosto di uva; bevande con un contenuto di alcol pari o superiore al 10% in volume; prodotti di panetteria o pasticceria che per loro natura sono normalmente consumati entro le 24 ore dalla fabbricazione; aceti, sale da cucina, zuccheri allo stato solido, prodotti di confetteria consistenti quasi unicamente in zuccheri aromatizzati e/o colorati e gomme da masticare e prodotti analoghi.
Da consumarsi entro: cosa significa
La data di scadenza va applicata ad alimenti molto deperibili dal punto di vista microbiologico, che potrebbero pertanto costituire, dopo un breve periodo, un pericolo immediato per la salute umana. Successivamente alla data di scadenza un alimento è considerato a rischio, sempre secondo la normativa comunitaria. Questa è una indicazione importante non solo per i consumatori ma anche per i ristoratori, per dire.
La scadenza va indicata con la dicitura “da consumare entro” seguito dall’indicazione della data stessa, oppure dal punto in cui la data è riportata sull’etichetta (“guardare tappo” e simili). Inoltre sono obbligatorie le condizioni di conservazione da rispettare, sia per il prodotto ancora chiuso (“in luogo fresco e asciutto”, “lontano da fonti di calore” e simili) sia per il cibo quando la confezione è aperta (“conservare in frigo e consumare entro due o tre giorni”, per esempio). Quindi, se un prodotto è scaduto c’è una sola cosa da fare: non mangiarlo.
Da consumarsi entro: su quali alimenti va
La data di scadenza, con l’indicazione “da consumarsi entro” va sui prodotti che sono molto deperibili dal punto di vista microbiologico, come gli alimenti pre-confezionati freschi. Un elenco non completo ma solo indicativo potrebbe comprendere: latte, uova, formaggi freschi, carne, pesce, ma anche insalate confezionate e pasta fresca confezionata.
Da consumarsi preferibilmente entro: cosa significa
Tutt’altra storia per il termine minimo di conservazione. Questo indica la data fino alla quale il prodotto conserva le sue proprietà specifiche (in adeguate condizioni di conservazione: se necessario, la legge obbliga il produttore a specificarle). Viene indicato con la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro il” seguito dall’indicazione del giorno/mese/anno; oppure “da consumarsi preferibilmente entro fine” quando il termine è indicato con mese/anno o solo con l’anno (oppure con la solita indicazione del punto in cui la data è riportata sulla confezione).
Il termine minimo insomma costituisce un “termine di garanzia”, che assicurerà al consumatore che l’alimento, se idoneamente conservato, entro quella data manterrà tutte le sue qualità sensoriali. E dopo? Dopo magari perderà un po’ di gusto, di fragranza, di consistenza – ma non è detto che succeda – però resterà assolutamente sicuro da mangiare. Ecco la chiave del “preferibile”: se lo consumiamo entro questo termine, è meglio, è buono come se fosse appena confezionato. Se il termine è passato, magari non è spettacolare ma comunque non costituisce un pericolo per la salute. Sempre tenendo presente d’adeguata conservazione: è per questo che, a ogni buon conto, l’etichetta di Too Good To Go non invita a mangiare a occhi chiusi, bensì a provare, osservare, annusare. Dopo quella data, perché non si può parlare tecnicamente di “scadenza”, è questione di gusti.
Da consumarsi preferibilmente entro: su quali alimenti va
Il termine minimo di conservazione è pensato per prodotti che non siano molto deperibili da un punto di vista microbiologico. Per avere un’idea, un elenco ancora una volta non esaustivo ma indicativo: prodotti secchi confezionati, alimenti in scatola, confetture e conserve, conserve sott’olio, prodotti surgelati, bevande confezionate e bevande UHT, salse, spezie ed erbe aromatiche, farine, cereali, caffè, the e infusi.