Non si arresta, per ora, la scarsità di burro, una vera psicosi per i francesi preoccupati per gli amati croissant. Due le cause principali:
— la decisione dell’Unione Europea, nel 2015, di non imporre più le quote latte ai Paesi aderenti, che ha portato a un esubero di prodotto calmierato l’anno dopo con un taglio della produzione del 3% circa;
— l’aumento della richiesta interna che ha convinto gli Stati Uniti a ridurre le esportazioni, mentre in Nuova Zelanda, principale esportatore di latte al mondo, la siccità ha ridotto la produzione del latte.
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Oggi il mercato del burro si divide in due segmenti: burro al dettaglio, di largo consumo, prodotto con latte di diversi caseifici; burro “mono-origine”, prodotto con latte di un solo caseificio, contrassegnato in Francia con una denominazione di origine territoriale, l’AOP, e disponibile quasi soltanto per ordini privati.
Questo spiega perché alcuni chef arrivano a pagare il burro di pregio più di 40 euro al chilo.
Ma come si misura il livello del burro che portiamo in tavola?
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Il modo più semplice è calcolare la quantità di materia grassa, che per legge non può essere inferiore all’80%. È importante anche considerare come viene prodotto. Il burro si ricava separando il latte dalla sua componente grassa, la panna, seguendo due metodi: per affioramento o per centrifugazione.
Con il metodo dell’affioramento, usato in Italia, il latte viene lasciato riposare qualche ora per fare affiorare la panna, poi prelevata per ottenere il burro. In questo modo si ottiene una panna meno ricca, che lascia molte componenti nel latte residuo utilizzato per produrre pregiati formaggi nazionali come Grana o Parmigiano, ma dà luogo a un burro di minore qualità. In pratica, si sacrifica il burro per ottenere formaggi migliori.
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Negli altri Paesi si utilizza in genere il metodo di separazione per centrifugazione, che dà luogo a una panna ricca e di conseguenza a una migliore qualità del burro.
Una volta ottenuta la panna, inizia il processo di pastorizzazione per eliminare eventuali microorganismi, segue la fermentazione, ovvero l’immissione di alcuni batteri “buoni” nel prodotto per aggiungere sapore. Attenzione però, non nei Paesi nordici che di solito eseguono una salagione, ottenendo il burro salato.
Il burro di qualità, più ricco e cremoso, con una quantità di umidità inferiore, reagisce meglio al calore della cottura, si degrada meno facilmente alle alte temperature e trasferisce a ogni preparazione un aroma inconfondibile.
L’agenzia di stampa Bloomberg ha stilato una classifica dei burri migliori del mondo, che include alcune marche italiane, vediamola nel dettaglio.
Delitia (1)
Prodotto in Italia con lo stesso latte del Parmigiano Reggiano, che conferisce sapore dolce e note erbacee, viene commercializzato negli Stati Uniti con il marchio Delitia. Contiene l’84% di grasso e costa circa 12 euro al chilo.
Animal Farm (2)
Una piccola fattoria di Orwell, nel Vermont, Stati Uniti, specializzata in prodotti caseari ottenuti da bovini allevati al pascolo per l’intero ciclo di vita, dalla nascita alla macellazione (“grass-fed”). Il burro, commercializzato con il marchio St. Clair e preda quasi esclusiva di Thomas Keller, chef del Per Se, uno dei più blasonati ristoranti di New York, contiene una percentuale di grasso dell’87%. Alle calde tonalità gialle del colore contribuisce la fermentazione di 24 ore nello stesso latticello delle mucche.
Plugra (3)
Il primo testimonial è un noto pasticciere francese, François Payard, che lo paragona a Lescure, burro transalpino tra i più amati. Eppure, per quanto risulti più morbido dei prodotti in vendita nei supermercati americani, non è un burro prodotto con latte mono-origine. Molto vantaggioso il rapporto qualità-prezzo.
Double Devon Cream Butter (4)
Gli appassionati di scones apprezzeranno questo ricco burro in barattolo di vetro prodotto nel sud dell’Inghilterra. Leggermente salato, si trova anche su Amazon UK.
Echiré Beurre de Baratte (5)
Prodotto con latte proveniente da mucche allevate a Celles-sur-Belle nella Francia occidentale, questo burro AOP lavorato a mano in botti di legno che risalgono al 1894, dalla consistenza setosa che lo rende facilmente spalmabile, contiene l’84% di grasso. Venduto anche online, costa tra 16 e 20 euro al chilo.
Straus Family Creamery (6)
Azienda agricola bio e a conduzione familiare di Marshall, sulla costa californiana, realizza burro dal 1992. Prodotto con latte proveniente da allevamenti regionali sostenibili, il burro Straus è venduto in negozi selezionati, tra cui Whole Foods negli USA, e ha il classico sapore che un sommelier potrebbe definire “rotondo”. A partire da 18 euro al chilo.
Delitia (7)
Altro prodotto italiano commercializzato negli Stati Uniti con il marchio Delitia è il burro da latte di bufala. Una specialità in vendita a circa 13 euro al chilo.
Ampersand (8)
Lo chef Grant Harrington che ha lavorato anche per Gordon Ramsay, fa maturare il suo latte da mucche del Jersey per circa due settimane, quindi aggiunge sale rosa dell’Himalaya e lo lavora a mano, per soddisfare le richieste dei ristoranti stellati Michelin nel Regno Unito, a un prezzo di circa 5 euro per 200 grammi.
[Crediti: Bloomberg, Dissapore]